domenica 15 ottobre 2006

Cappuccio, Massimiliano (a cura di), L’eredità di Alan Turing. 50 anni di intelligenza artificiale.

Milano, AlboVersorio, 2005, pp. 270, € 24,00, ISBN 88-89130-08-3.

Recensione di Andrea Tortoreto – 15/10/2006

Intelligenza artificiale, Filosofia della mente, Logica matematica

Il volume raccoglie gli atti del convegno omonimo, tenutosi il 3 e 4 Novembre 2004 presso l’Università degli Studi di Milano, organizzato in occasione del cinquantenario della morte del celebre matematico inglese. Il testo è inoltre arricchito da alcuni contributi, inediti in Italia, proposti dai maggiori studiosi di Turing e dedicati ai più importanti aspetti della sua attività.
L’opera si inserisce nel generale clima di rinascita degli studi sul pioniere dell’intelligenza artificiale che coincide, non certo casualmente, con un’analoga ripresa di quest’ultima dopo che, almeno nell’immaginario collettivo, pareva esser tramontato l’entusiasmo originario per i suoi progetti. Una ripresa che, paradossalmente, si verifica proprio allo scadere della celebre previsione formulata da Turing nel noto articolo, apparso nel 1950, Computing Machinary and Intelligence secondo la quale, alla fine del secolo appena trascorso, le macchine computazionali avrebbero raggiunto un tale livello di sviluppo da poter rivaleggiare con gli uomini nella quasi totalità delle attività intellettuali. Il tramontare di questo sogno non indica dunque la fine dell’intelligenza artificiale ma pare, al contrario, segnarne un nuovo inizio, contraddistinto da una maggiore maturità e quindi da una più piena e articolata consapevolezza delle proprie possibilità.
Il volume può dunque essere visto come un’emblematica attestazione di questo nuovo corso, nell’ambito del quale la figura dello stesso Turing viene approfondita alla luce di una sempre maggiore interdisciplinarietà, nella piena coscienza della rilevanza che la sua riflessione ha assunto in diversi e fondamentali aspetti dell’odierna ricerca scientifica tout court. L’ampiezza, la vastità, la profondità e la multivocità delle tematiche affrontate restituiscono quindi un’immagine poliedrica di Turing, pienamente in linea con la complessità di un personaggio, che Hodges gia definì enigmatico, il cui lavoro ha saputo influenzare i più svariati ambiti del sapere contemporaneo. Se da un lato emerge dunque un Turing “erede novecentesco dello spirito leonardesco” (p. 11), impegnato cioè in una ricerca costantemente motivata e sorretta dall’amore per la conoscenza, intesa universalmente, come trascendente e in grado di inverare al proprio interno la globalità dei saperi specialistici, dall’altro, sulla scia di quanto puntualmente sottolineato nell’Introduzione di Massimiliano Cappuccio, appare chiara l’esigenza di considerare come il matematico britannico abbia lasciato un segno indelebile non soltanto nelle scienze matematiche, nella psicologia cognitiva, nella filosofia della mente e perfino in alcune correnti dell’antropologia, ma i riflessi delle sue intuizioni si siano riversati “nella fattualità della storia così come nell’attualità della nostra società” (p. 13). La considerazione del mutamento che le tecnologie informatizzate hanno prodotto nella vita di ognuno, nella gestione e nella concretizzazione dei rapporti sociali e più in generale nello stesso sistema valoriale, deve spingere a considerare alcuni profondissimi effetti causati dalla speculazione di Turing ben al di la dell’ambito tecnico e naturalistico, e a intendere pienamente la valenza che la stessa assume proprio in ambito filosofico, laddove diviene inevitabile termine di confronto per chiunque si interroghi intorno alla gnoseologia computazionale, all’avvento “delle tecnologie digitali e dei medium informatici, alla ridefinizione del rapporto mente-corpo […], ai problemi di ermeneutica artificiale nel campo dei programmi intelligenti” (P. 13), con il susseguente correlato di implicazioni ontologiche che tutte queste tematiche comportano.
È proprio su alcuni concetti di particolare interesse filosofico che intendiamo soffermarci, prendendo le mosse da quello che può essere visto come una sorta di asse portante, di traccia più o meno sotterranea percorrente la quasi totalità delle relazioni presenti nel volume: la dicotomia “discreto/continuo”. La introduce con precisione Edoardo Ballo preoccupandosi di sottolineare come questo sia un “tema forte in tutto il pensiero di Turing” (p. 20) e che lo contraddistingue fin dai primi vagiti; le macchine di Turing sono infatti sempre macchine discrete, macchine cioè nelle quali ogni azione è perfettamente separabile dalle altre. Questo riconduce alla constatazione secondo la quale ogni attività analogica può essere ricondotta a un preciso numero di informazioni assunte in forma discreta. Il merito di Turing, in relazione a quanto emerge dalla dicotomia discreto/continuo, sta quindi nell’aver indicato che è possibile descrivere, stanti determinati limiti, un mondo che ci appare innegabilmente continuo, tramite metodiche meccaniche di tipo discreto.
Sottolineato ciò è bene chiarire, sulla base di quanto riferito nell’articolo di Ines Saltalamacchia, che questa nozione di macchina, analogica e fondata su di una meccanica di tipo discreto, è oggi almeno in parte da rivedere. Rivederla significa certo riconsiderare la tesi di Church/Turing ma, soprattutto, aprire le porte alla profondità della relazione che ormai intercorre tra tecnologia e società, tra mondo digitale e trasmissione linguistica, e alla complessità delle implicazioni di questa stessa relazione. Fin dove una macchina, discreta o meno, può infatti costituire un limite? Quando è invece un potenziamento, un’aggiunta alle capacità umane?
Su questi temi, che meriterebbero una trattazione molto più ampia, si interrogano di volta in volta Numerico, Magnani, Frixione, Longo e ancora Cappuccio, manifestando quante questioni possano essere rinvenute scavando in profondità le intuizioni turingiane. Ciò che è bene però rimarcare, restando ancorati al tema del rapporto discreto/continuo, è quanto evidenziato nell’articolo di Rossella Fabbrichesi Leo, dove la centralità della suddetta dicotomia viene riletta alla luce del percorso da essa stessa compiuto nella storia della filosofia. E qui Turing si accompagna a stimolanti richiami ad Alcmeone, a Wittgenstein, Pierce, per giungere a Leibniz e Kant. Questo affascinante cammino lungo la via del rapporto di natura percettiva e rappresentativa che l’uomo ha instaurato nei riguardi del mondo che abita, non poteva che concludersi con l’ancoraggio a una posizione, appunto, strutturalmente dicotomica: “non c’è dunque anteriorità, né ontologica, né epistemologica, dell’uno sull’altro, né si possono concepire un continuo puro e un discreto puro. Piuttosto la loro natura è duplice” (p. 228). La dicotomia si risolve quindi, leibnizianamente, in una simultaneità, in un costante reciproco rimando che deve spingere, tanto chi legge Turing da una prospettiva naturalistica, quanto chi lo legge con gli strumenti forniti dalla filosofia, a considerare l’ineliminabile complessità del reale.
Sulla scorta di queste riflessioni si può tornare a considerare l’attuale portata del progetto turingiano di realizzare macchine pensanti e, di conseguenza, l’attuale valenza delle prospettive dischiuse dall’intelligenza artificiale. Lo stato di maturità raggiunto da quest’ultima, e di cui si è detto sopra, si incarna nel riconoscimento, messo in risalto nell’articolo di Giolito, della possibilità ormai evidente di utilizzare strumenti informatici per l’indagine della mente umana, o, per meglio dire, di alcuni aspetti della stessa.
D’altro canto, l’inesauribile complessità della mente stessa, su cui le medesime riflessioni di Turing spingono a riflettere, ci invita a sottolineare come sia attualmente possibile, usando le parole di Odifreddi, “guardare al cervello come a qualche specie di macchina soltanto attraverso delle semplificazioni molto grezze” (p. 54).
Ciò non equivale a sancire la sconfitta del sogno del geniale Turing e l’esclusiva accettabilità di una visione debole dell’intelligenza artificiale ma, al contrario, a mostrare la necessità di un attento esame delle opere del matematico inglese nell’ambito di qualunque progetto di ricerca volto a indagare le principali tematiche della filosofia della mente. Questo ci sembra possa essere il messaggio generale che attraversa trasversalmente le singole posizioni degli autori i cui contributi sono contenuti nel volume; un messaggio la cui centralità va ben al di la delle superficiali etichettature o delle intransigenti prese di posizione.
Notare l’innegabile differenza sostanziale dell’uomo da una macchina, del cervello biologico da qualsiasi sua ricostruzione artificiale, non equivale, in altre parole, a misconoscere la grandezza e la rilevanza della speculazione di Alan Turing nè, tanto meno, a ravvisarla esclusivamente all’interno di posizioni radicalmente funzionaliste, alla Dennet per intenderci ma vuol dire, al contrario, comprendere Turing all’interno di una visione più ampia, riconoscere che ha molto da dire anche a chi, tanto per fare un esempio, è scettico sulla completa risoluzione del mistero della coscienza tramite spiegazioni radicalmente riduzioniste. Comprendere ciò equivale a comprendere davvero lo stesso matematico inglese, a estrarlo dalla nicchia nella quale ha rischiato di restare intrappolato per dischiudere il senso delle sue implicazioni alla comunità filosofica, intesa nella sua globalità, che non sempre è stata disposta ad accoglierlo. Se non è questo il messaggio più esplicito e rilevante del volume, non pare forzato sottolineare come costituisca una sorta di invito sotterraneo, quasi un effetto secondario, indiretto quanto assolutamente necessario.

Indice

Introduzione
di M. Cappuccio
Dalla macchina di Turing ai calcolatori digitali
di E. Ballo
Turing: il coraggio dell’ingenuità
di G. Lolli
La tesi di Turing
di P. Odifreddi
La computazione oltre i limiti della macchina di Turing
Teoria della commutabilità e ipercomputazione
di I. Saltalamacchia
L’impatto di Turing sulla logica
di M. D’Agostino
Linguaggio, Logica e Matematica in Alan Turing
di S. Bozzi
Macchine non organizzate e simulazione dell’intelligenza nell’opera di Alan Turing
di T. Numerico
Turing e la filosofia della mente
di B. Giolito
Il ruolo delle macchine di Turing nelle scienze cognitive
di M. Frixione
Menti Mimetiche
Il ruolo dei mediatori cognitivi e delle rappresentazioni esterne
di L. Magnani
Alan Turing, una filosofia matematica della natura
di G. Giorello e C. Sinigaglia
Dalla catastrofe dell’alfabeto alla “Discrete State Machine”
Espressività e limiti del tagliare il mondo con l’accetta
di G. Longo
Continuo e discreto: un approccio sinechistico
di R. Fabbrichesi Leo
Un’ipotesi controfattuale: la macchina di Turing ideografica
di M. Cappuccio
Dal miraggio dell’intelligenza Artificiale alla simulazione di un sistema vivente
di P. D’alessandro

Il teatro continuo di una vita discreta
Le visioni e le ragioni di un testo teatrale “Alan’s apple – Hacking the Turino test”
di V. Patera

L'autore

Massimiliano Cappuccio svolge un dottorato di ricerca preso l’Università degli Studi di Pavia. È fondatore e condirettore della rivista “Chora”. Ha pubblicato numerosi articoli su temi di filosofia contemporanea, filosofia della mente e semiotica. È autore del volume L’uomo, la macchina, l’enigma. Per una genealogia dell’incomputabile, dedicato propria a Turing.

Links

Il dettagliatissimo sito curato dal biografo Andrew Hodges

Pagina della Stanford Encyclopedia of Philosophy dedicata a Turing

Sito italiano con brani antologici

5 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Quanto di filosofico muoveva la attività di A. M. Turing era la ricerca di un rimedio al rischio, che poi sarebbe diventato pericolo, che il sistema tecno-scientifico delle automatizzazioni perdesse anche il controllo operato con gli stessi metodi tecno-scientifici.
Ciò che egli faceva in qualità di scienziato era la valutazione, non consulenza, scientifica, in ruolo di esperto di matematica applicata, non perito-tecnico né insegnante. Le sue valutazioni concernevano i rapporti tra scienza e tecnica per la costruzione di funzioni macchina e funzionamenti automatici, in particolare di calcolatori e calcolatori-elaboratori. Lavorando a questi scopi e compresa la successiva evoluzione ingegneristica dei soli elaboratori, aveva sentito necessità di una saggezza aperta alle novità della conoscenza perché aveva notato la natura coincidenziale, fortuita non determinata, di alcuni successi e di molti possibili futuri, a causa dei lavori di gruppo dalle tattiche non unite a strategie, che ottenevano i risultati da poteri non esplicitabili per la scienza oppure non comunicabili né conoscibili nelle origini. Quanto i teorici della scienza matematica già proponevano ai 5ecnici era la relazione tra interezze ed infinitesimi, affinché si potesse evolvere la cibernetica in cibernetica-informatica e quindi informatica-cibernetica. Turing, che applicava queste teoresi alle commissioni tecniche senza esserne il teoreta, aveva potuto sapere ciò che i teoreti stessi non avevano potuto e d'altronde non si poteva reagire alle incognite senza una disciplina di studi volontaristicamente-arbitrariamente determinata e favorevole a criteri di sicurezza diretti e indiretti. Questa disciplina era la attività filosofica inerente. Alle proprie valutazioni scientifiche Turing aggiunse le proprie consulenze filosofiche, riuscendo a mostrare tramite esposizioni di scenari futuri possibili e plausibili rischi di casualità preponderanti non individuabili prontamente e con conseguenze a discapito dell'utilizzo vantaggioso o vitale dei prodotti cibernetici-informatici anche se con funzionalità esente e funzionamenti esatti. Quindi ideava dei modelli di funzioni e funzionamenti uguali ma con risultati di utilizzo alternativi, fino a dover smettere quando la evoluzione passò alla informatica-cibernetica e dunque tali accorgimenti filosofici ebbero continuazione per attenzione filosofica, scientifica e tecnologica di chi altro faceva ulteriori valutazioni basate anche su matrici non solo algoritmi.
Codeste attività filosofiche non solo di Turing erano volte ad appurare limiti epistemologici e assenze gnoseologiche delle attività di tecnoscienza cibernetiche-informatiche nonché informatiche-cibernetiche. Coi progressi della robotica si sono aggiunte prospettive filosofiche di limiti gnoseologici e assenze epistemologiche.
Le strategie filosofiche di Turing erano limitate da concezioni di pensiero sistematiche che alla matematica applicata davano utilità generica e non utilizzazioni generali, queste date da simulazioni di ambienti di situaggio.
Alla vigilia della "corsa allo spazio" americana la consulenza filosofica aveva agito ad ampio raggio ed infatti i nuovi problemi riguardarono questioni scientifico-tecniche irrisolte oppure mancanti, non viceversa.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Nel messaggio precedente '5ecnici' sta per: tecnici.

Sono spiacente dell'inconveniente di scrittura, non dipeso dall'impegno mio che ho potuto e voluto stabilire ma da continui altrui disturbi di falsi prudenti e diffusori di panico, che sfruttano anche cose, persone, animali, creando osticità ambientali senza avvedersi neppure di tutte le conseguenze contro altrui libertà di azione ed agiscono anche con complici intromessi in Stato e dediti a tentare continue tutele abusive od abusi di tutela o segnali che incitano alla disonestà od alla calunnia per sola antipatia o simpatia diversa.
Reinvierò testo corretto.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Quanto di filosofico muoveva la attività di A. M. Turing era la ricerca di un rimedio al rischio, che poi sarebbe diventato pericolo, che il sistema tecno-scientifico delle automatizzazioni perdesse anche il controllo operato con gli stessi metodi tecno-scientifici.
Ciò che egli faceva in qualità di scienziato era la valutazione, non consulenza, scientifica, in ruolo di esperto di matematica applicata, non perito-tecnico né insegnante. Le sue valutazioni concernevano i rapporti tra scienza e tecnica per la costruzione di funzioni macchina e funzionamenti automatici, in particolare di calcolatori e calcolatori-elaboratori. Lavorando a questi scopi e compresa la successiva evoluzione ingegneristica dei soli elaboratori, aveva sentito necessità di una saggezza aperta alle novità della conoscenza perché aveva notato la natura coincidenziale, fortuita non determinata, di alcuni successi e di molti possibili futuri, a causa dei lavori di gruppo dalle tattiche non unite a strategie, che ottenevano i risultati da poteri non esplicitabili per la scienza oppure non comunicabili né conoscibili nelle origini. Quanto i teorici della scienza matematica già proponevano ai tecnici era la relazione tra interezze ed infinitesimi, affinché si potesse evolvere la cibernetica in cibernetica-informatica e quindi informatica-cibernetica. Turing, che applicava queste teoresi alle commissioni tecniche senza esserne il teoreta, aveva potuto sapere ciò che i teoreti stessi non avevano potuto e d'altronde non si poteva reagire alle incognite senza una disciplina di studi volontaristicamente-arbitrariamente determinata e favorevole a criteri di sicurezza diretti e indiretti. Questa disciplina era la attività filosofica inerente. Alle proprie valutazioni scientifiche Turing aggiunse le proprie consulenze filosofiche, riuscendo a mostrare tramite esposizioni di scenari futuri possibili e plausibili rischi di casualità preponderanti non individuabili prontamente e con conseguenze a discapito dell'utilizzo vantaggioso o vitale dei prodotti cibernetici-informatici anche se con funzionalità esente e funzionamenti esatti. Quindi ideava dei modelli di funzioni e funzionamenti uguali ma con risultati di utilizzo alternativi, fino a dover smettere quando la evoluzione passò alla informatica-cibernetica e dunque tali accorgimenti filosofici ebbero continuazione per attenzione filosofica, scientifica e tecnologica di chi altro faceva ulteriori valutazioni basate anche su matrici non solo algoritmi.
Codeste attività filosofiche non solo di Turing erano volte ad appurare limiti epistemologici e assenze gnoseologiche delle attività di tecnoscienza cibernetiche-informatiche nonché informatiche-cibernetiche. Coi progressi della robotica si sono aggiunte prospettive filosofiche di limiti gnoseologici e assenze epistemologiche.
Le strategie filosofiche di Turing erano limitate da concezioni di pensiero sistematiche che alla matematica applicata davano utilità generica e non utilizzazioni generali, queste date da simulazioni di ambienti di situaggio.
Alla vigilia della "corsa allo spazio" americana la consulenza filosofica aveva agito ad ampio raggio ed infatti i nuovi problemi riguardarono questioni scientifico-tecniche irrisolte oppure mancanti, non viceversa.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Le esposizioni di scenari futuri possibili e plausibili compiute da Turing filosoficamente ed i limiti del suo operato di consulente filosofico a causa del suo procedere per sistemi di riferimento erano variamente accolti da chi non del tutto in grado di capire o non del tutto interessato agli scopi delle sue iniziative. Da chi le riteneva o voleva trattarle per perdite di tempo o trastulli intellettuali per esercitare la mente nacque speranza che se ne potesse fare una estetica numerologica senza sopi reali oppure, quando la sua attività giungeva al suo culmine ed al passaggio di consegne, sperando gli altri che se ne traesse costante aritmetica o legge matematica perché nessuno ne aggiungesse di più. Da queste assurde iniziative nacque l'abitudine, a tutt'oggi non terminata purtroppo da positivisti, scientisti, tecnici fuori ruolo, di presentare le sue costanti di simulazioni sotto mentite spoglie di dimostrazioni reali e paradigmi scientifici. In realtà risulta che Turing non fu autore di teorie scientifiche e tantomeno matematiche.
Il suo intervento filosofico era in inizio una tesi logico-matematica, non di scienza matematica, che dopo la prima relativa simulazione con relativo modello non aveva più senso, essendo stata la simulazione persuasiva e con essa riuscendosi a far modificare le opere ingegneristiche per darne tutte le sicurezze richieste e da richiedere in presente e nel futuro non lontano.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Reinvio testo con parola corretta, 'sopi' infatti sta in messaggio precedente per: scopi.

Le esposizioni di scenari futuri possibili e plausibili compiute da Turing filosoficamente ed i limiti del suo operato di consulente filosofico a causa del suo procedere per sistemi di riferimento erano variamente accolti da chi non del tutto in grado di capire o non del tutto interessato agli scopi delle sue iniziative. Da chi le riteneva o voleva trattarle per perdite di tempo o trastulli intellettuali per esercitare la mente nacque speranza che se ne potesse fare una estetica numerologica senza scopi reali oppure, quando la sua attività giungeva al suo culmine ed al passaggio di consegne, sperando gli altri che se ne traesse costante aritmetica o legge matematica perché nessuno ne aggiungesse di più. Da queste assurde iniziative nacque l'abitudine, a tutt'oggi non terminata purtroppo da positivisti, scientisti, tecnici fuori ruolo, di presentare le sue costanti di simulazioni sotto mentite spoglie di dimostrazioni reali e paradigmi scientifici. In realtà risulta che Turing non fu autore di teorie scientifiche e tantomeno matematiche.
Il suo intervento filosofico era in inizio una tesi logico-matematica, non di scienza matematica, che dopo la prima relativa simulazione con relativo modello non aveva più senso, essendo stata la simulazione persuasiva e con essa riuscendosi a far modificare le opere ingegneristiche per darne tutte le sicurezze richieste e da richiedere in presente e nel futuro non lontano.

MAURO PASTORE