sabato 14 ottobre 2006

Coliva, Annalisa, Moore e Wittgenstein. Scetticismo, certezza e senso comune.

Padova, Il Poligrafo, 2003, pp. 188, € 19,00, ISBN 88-7115-347-2.

Recensione di Chiara Pastorini – 14/10/2006

Filosofia del linguaggio, Epistemologia

«Ecco qui una mano. Ed eccone qui un’altra». Può l’affermazione di queste parole insieme all’esibizione stessa delle due mani, fornire una prova valida per l’esistenza del mondo esterno? Tale interrogativo è ciò su cui si interroga Annalisa Coliva in questo volume, partendo dal riferimento al filosofo George Edward Moore, e in particolare alla sua celeberrima Proof of an External World del 1939.
L’analisi dell’opera di Moore ha un duplice scopo: non solo si tratta di valutarla come tale, ma anche di mettere in evidenza quale ne sia stata l’interpretazione fornita da Ludwig Wittgenstein in Über Gewißheit (Della Certezza), opera scritta secondo uno stile frammentario e provvisorio durante gli ultimi diciotto mesi di vita del filosofo.
Coliva, attraverso un esame molto accurato dei testi originali ed un rigore argomentativo eccellente, ricostruisce lo sfondo epistemologico alla base delle prospettive di Moore e Wittgenstein, facendo emergere la dissoluzione wittgensteiniana di problemi malposti sia da parte degli scettici che dei sostenitori del senso comune. Wittgenstein, pur ereditando da Moore la critica alla possibilità da parte dello scetticismo di scalzare le nostre certezze condivise, si distanzia dal filosofo negando la legittimità di inquadrare propriamente le verità del senso comune in una cornice epistemica, di conoscenza. In particolare, come sottolinea Coliva, Wittgenstein riporta il discorso sulla conoscenza e i suoi limiti a considerazioni di carattere linguistico, attraverso l’analisi di espressioni come “sapere”, “essere certi”, e “dubitare”.
Il volume si suddivide in quattro capitoli.
Nel primo capitolo, l’autrice prende in considerazione i due articoli di Moore che costituiscono l’antecedente polemico delle osservazioni annotate da Wittgenstein in Über Gewißheit: A Defence of Common Sense, del 1925, e Proof of an External World, del 1939. Il primo articolo di Moore rappresenta un appello al senso comune, di contro a tesi filosofiche idealiste o scettiche che negano rispettivamente l’esistenza o lo statuto epistemico di verità secondo il filosofo autoevidenti e indimostrabili, come la realtà degli oggetti materiali, dello spazio, del tempo e dell’io. Nel secondo articolo, invece, Moore tenta di provare che la visione del mondo del senso comune è vera, contrariamente a quanto sostenuto nel primo articolo in cui questa viene assunta come tale e ritenuta indimostrabile. Prima di passare alla reinterpretazione wittgensteiniana delle tesi mooriane, Coliva introduce riflessioni sul pensiero di Moore da parte di altri filosofi: Norman Malcolm (Moore and Ordinary Language, 1942) Thompson Clarke e Barry Stroud (rispettivamente The legacy of Skepticism, 1972, e The Significance of Philosophical Scepticism, 1984) le cui interpretazioni sono alla base del cosiddetto contestualismo epistemico (esistono contesti differenti determinati da diversi standard di ammissibilità di ciò che vale come giustificazione, o prova, di una certezza) e, infine, Crispin Wright (Facts and Certainty, 1985).
Nel secondo capitolo Coliva prende in considerazione l’uso delle espressioni come “sapere”, “credere” ed “essere certi” e ne analizza l’impiego secondo le riflessioni wittgensteiniane. L’autrice riconosce nelle osservazioni del filosofo una pars destruens, volta a criticare una concezione filosofica del sapere molto diffusa e di cui la posizione di Moore rappresenta soltanto un caso particolare, ed una pars construens che, pur non assumendo mai le forme di una teoria della conoscenza, costituisce piuttosto una descrizione perspicua del nostro gioco linguistico con il sapere, la credenza e la certezza.
Il gioco linguistico del dubitare viene invece affrontato nel terzo capitolo, dove Coliva mette in evidenza l’insensatezza del dubbio scettico denunciata dal filosofo austriaco. Quindi, sono introdotti i due argomenti classici a favore dello scetticismo a proposito dell’esistenza del mondo esterno: l’argomento dell’(in)affidabilità dei sensi e l’argomento del sogno. Questi argomenti, se da una parte mettono in luce l’irrazionalità del dubbio scettico, dal momento che non vi sono logicamente ragioni che lo sostengano, dall’altra mostrano la sua non-sensatezza, dal momento che il dubbio, inteso come assoluto, farebbe venire meno i presupposti stessi per la sensatezza delle parole utilizzate per esprimerlo. In altre parole, secondo l’autrice, come per Wittgenstein, il dubbio presuppone un certo grado di certezza.
Il quarto e conclusivo capitolo dell’opera si concentra sulla legittimità o meno dell’impiego di termini epistemici o di un atteggiamento proposizionale nella descrizione di ciò che quotidianamente noi mostriamo con la nostra vita. Viene poi analizzata la tesi che Avrum Stroll (Moore and Wittgenstein on Certainty, 1994) ha recentemente sostenuto a proposito del fondazionalismo in Wittgenstein, e, cioè, che in Über Gewißheit il filosofo ha sviluppato una forma di fondazionalismo coerente con la convinzione della centralità in filosofia della pratica descrittiva a scapito di quella esplicativa. Secondo Stroll il fondamento wittgensteiniano del gioco linguistico starebbe al di fuori del gioco stesso e questo, attraverso una duplice modalità: relativa e assoluta. Nel primo caso, una delle proposizioni che costituiscono il fondamento per uno o più giochi entra in uno o più giochi linguistici differenti; nel secondo caso, invece, la proposizione fondamentale non rientra mai in alcun gioco linguistico. Stroll distingue anche due tipi di certezza nelle riflessioni wittgensteiniane: proposizionale e pratica. Coliva prende in considerazione questa posizione interpretativa, sia per quanto riguarda il fondazionalismo che per quanto concerne la natura della certezza, ma se ne distanzia parzialmente fornendo argomentazioni di una notevole finezza intellettuale.

Indice

Elenco delle abbreviazioni
Introduzione
I. G. E. Moore: scetticismo, certezza e senso comune
II. Wittgenstein: credere, sapere, essere certi
III. Wittgenstein: il gioco linguistico con “dubitare” e le insensatezze dello scetticismo
IV. Logica, esperienza, immagine del mondo e mitologia
Bibliografia
Indice di nomi

L'autrice

Annalisa Coliva, laureatasi a Bologna in filosofia, ha conseguito il dottorato di ricerca in filosofia del linguaggio a Vercelli, un Master e un PhD presso l’Università di St. Andrews. Dopo un periodo di insegnamento e ricerca presso l’Università di Bologna e un periodo di perfezionamento alla Columbia University (New York), è ora assegnista di ricerca all’Università di Modena. Autrice con Elisabetta Sacchi di Singular Thoughts. Perceptual Demonstrative Thoughts and I-Thoughts (2001), ha pubblicato in volumi collettanei e riviste italiane e internazionali numerosi articoli.

3 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Era adagio " cultural - filosofico", tra Anni '80 e '90 negli ambienti della Televisione di Stato e poi, con minor successo, in Privata, che avviava (piano — altrimenti adagio non sarebbe stato) alla fantasia con smentita, come in spartito per musica classica, dello "Homo Spectator": come potrebbe esisterne così, datoché a mirar messaggi visivi soltanto si perderebbero le occasioni delle altre azioni?

Ugualmente la verità e la realtà, True and Real, qualora se ne fraintendano rapporti logici.
Eppure "true" è partecipe del principio del 'tra', questo constatante (ah!), l'altro meravigliante (uh!) e richiedente (eh!) — il "real“ poco meno e non altro da 'reale', che pure ad interrogativi schiude.

Allora è sconfortante che si debba avviare distinzione tra filosofia dogmatica e dogmi religiosi, ovvero tra evidenze profonde che fanno da "sorgenti irrazionali del pensiero" (espressione di N. Abbagnano) e misteri ineluttabili che attuano 'sorprendenti costruzioni intellettuali' (affermazione di C. G. Jung).

A darne motivazione, i disperati falsi sensi comuni, ogni giorno sempre di più sempre peggio moltitudini di sprovveduti quasi tutti volontariamente tali negando la brevità delle orologerie sincronizzate su forza di gravità solare, dunque col sole in accelerazione gli orologi monotoni sèguiti, ma di fatto durate più brevi di corse più rapide del Lume in cielo e guai e morte trionfanti tra gli abitatori più civili del tempo (espressione quasi tutta di E. Severino). Eppure, ovvio!, la non immobile dissoluzione cela estraneità, non a volontà di vivere ma a modalità di vivere, non a scansioni cronologiche ma a imprevedibilità di vita non segnata ma da segnare col tempo, tipicamente europea... Da ciò una forza di opposizione intellettuale: da un odio contro evidenze profonde e vitali europee; e si scopre la Chimera sedurre dai luoghi a Sud nel mondo, ove civiltà è anche barriera al naturalismo di forza di natura, soverchiante e quindi non generosa, invece al Nord del mondo natura con brevità cui starvi poco e più che selvaggiamente...

Perciò lo schivar ovvietà stracolme di altri sensi è da parte di obliatori amici di remoti altrove, sognatori in 'frattempi' in collisione con bontà di destini locali, di colmi ananassi o sode banane...
Fino al punto che — si raccontò — miliardario americano, indispettito dal non poter aver neppure da ricchezze indefinite qualifica naturale di "spectator" se ne illuse di poterne trarre dal riesumar non solo ossa, uovi di paleolitici tutt'altro che umani “raptor" che a detta sua sarebber diventati giocattoloni in suo parco giochi ed ala rendergli l'altra qualifica... invece... era gioco, forse seduzione? di chi amava veder vita similissima a macchina, astiosa ed imperiosa contro chi volesse mirare senza fare qualcosa...
... tra due Mondi.
Fosser accadute Tirannie di Crono e non accadute schiuse anche di Tirannosauri avveneristicamente destinati, non ne muterebbe il filosofico giudizio.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

*!

Era adagio " cultural - filosofico", tra Anni '80 e '90 negli ambienti della Televisione di Stato e poi, con minor successo, in Privata, che avviava (piano — altrimenti adagio non sarebbe stato) alla fantasia con smentita, come in spartito per musica classica, dello "Homo Spectator": come potrebbe esisterne così, datoché a mirar messaggi visivi soltanto si perderebbero le occasioni delle altre azioni?

Ugualmente la verità e la realtà, True and Real, qualora se ne fraintendano rapporti logici.
Eppure "true" è partecipe del principio del 'tra', questo constatante (ah!), l'altro meravigliante (uh!) e richiedente (eh!) — il "real“ poco meno e non altro da 'reale', che pure ad interrogativi schiude.

Allora è sconfortante che si debba avviare distinzione tra filosofia dogmatica e dogmi religiosi, ovvero tra evidenze profonde che fanno da "sorgenti irrazionali del pensiero" (espressione di N. Abbagnano) e misteri ineluttabili che attuano 'sorprendenti costruzioni intellettuali' (affermazione di C. G. Jung).

A darne motivazione, i disperati falsi sensi comuni, ogni giorno sempre di più sempre peggio moltitudini di sprovveduti quasi tutti volontariamente tali negando la brevità delle orologerie sincronizzate su forza di gravità solare, dunque col sole in accelerazione gli orologi monotoni sèguiti, ma di fatto durate più brevi di corse più rapide del Lume in cielo e guai e morte trionfanti tra gli abitatori più civili del tempo (espressione quasi tutta di E. Severino). Eppure, ovvio!, la non immobile dissoluzione cela estraneità, non a volontà di vivere ma a modalità di vivere, non a scansioni cronologiche ma a imprevedibilità di vita non segnata ma da segnare col tempo, tipicamente europea... Da ciò una forza di opposizione intellettuale: da un odio contro evidenze profonde e vitali europee; e si scopre la Chimera sedurre dai luoghi a Sud nel mondo, ove civiltà è anche barriera al naturalismo di forza di natura, soverchiante e quindi non generosa, invece al Nord del mondo natura con brevità cui starvi poco e più che selvaggiamente...

Perciò lo schivar ovvietà stracolme di altri sensi è da parte di obliatori amici di remoti altrove, sognatori in 'frattempi' in collisione con bontà di destini locali, di colmi ananassi o sode banane...
Fino al punto che — si raccontò — miliardario americano, indispettito dal non poter aver neppure da ricchezze indefinite qualifica naturale di "spectator" se ne illuse di poterne trarre dal riesumar non solo ossa, uovi di paleolitici tutt'altro che umani “raptor" che a detta sua sarebber diventati giocattoloni in suo parco giochi ed a rendergli l'altra qualifica... invece... era gioco, forse seduzione? di chi amava veder vita similissima a macchina, astiosa ed imperiosa contro chi volesse mirare senza fare qualcosa...
... tra due Mondi.
Fosser accadute Tirannie di Crono e non accadute schiuse anche di Tirannosauri avveneristicamente destinati, non ne muterebbe il filosofico giudizio.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Sono dispiaciuto di inconveniente di scrittura che mi ha costretto a reinvio, inconveniente che è dipeso... (ne scrivo e riscrivo e riscrivo...!) da noie non solo a me arrecate delittuosamente da altri e durate tanto tempo e necessitantimi altre urgenti attenzioni alternative e cui non ho voluto opporre maggior impegno per mio filosofico senso del limite ed istintiva mia saggezza, anche perché Internet non è una libreria... allora sia bastato ultimare questa mia piccola fatica di stamattina con altro invio
( riuscitomi nonostante nei pressi di dove scrivo troppi odino combinazioni di felicità cercando, anche tentando di impedir contentezze ovvie, di sostituirne con ingannevoli coincidenze non liete ...e che attiran polveri e confondon camminatori e appassiscono pure i fiori).

MAURO PASTORE