mercoledì 18 ottobre 2006

Rigotti, Francesca, Il pensiero pendolare.

Bologna, il Mulino, 2006, pp. 126, € 11,50, ISBN 88-15-11088-7.

Recensione di Giuseppe Pulina – 18/10/2006

C’è una condizione, uno stato dell’esistenza, che più di altri possa definire la propensione dell’uomo verso il pensiero? Dopo Cartesio, e grazie alle innovative e rivoluzionarie ricerche intorno al cogito e al metodo, abbiamo smesso di credere che il pensiero possa disincarnarsi e spogliarsi della dimensione umana. L’uomo di cui Cartesio parla sarà sì una res, ma pur sempre cogitans. Il pensiero, dunque, è il tratto che meglio qualifica l’uomo. Forse non lo differenzia in toto dagli animali non umani, ma questo è un discorso che, chiamando in causa la nuova etologia, esula dalle premesse che sono state sin qui svolte. Premesse che ci portano a dare una convincente risposta all’interrogativo delle prime righe ricorrendo alla tesi su cui gravita Il pensiero pendolare di Francesca Rigotti. Un libro che guida il lettore sin dal titolo e che fa luce sugli obiettivi che persegue fin dalle prime pagine. Pregio che non sempre si può accordare a tutti i prodotti dell’editoria filosofica, e del quale il lettore accorto sa bene quale uso fare.
Il pendolarismo merita, tra le modalità operative del pensiero, un posto di rilievo nient’affatto secondario e marginale: è questa la tesi centrale del libro di Francesca Rigotti, filosofa che cerca con acume di rendere alla filosofia la sua dimensione pratica, accostandone le ricerche alla stretta quotidianità (le piccole cose, il sapere culinario, il tessere, tutti temi di interessanti monografie). Il pendere, pendolare, di-pendere, pro-pendere, appendere, sospendere sono atti di cui tutti conosciamo la grande valenza esistenziale. Vivere, ad esempio, senza propendere per qualcosa non sarebbe atarassia, ma il corollario di un’esistenza anemica, vissuta senza trasporto, con un trascurabile, se non nullo, grado di coinvolgimento. Non apprezzare poi i vantaggi che la sospensione (del giudizio, ma anche di molti altri atti vitali) può dare sarebbe un errore imperdonabile. Vivere come se non ci fosse un perno attorno al quale ruotare, sul quale, come direbbe Michelstaedter, con-sistere, sarebbe infine una letale leggerezza. Non tutti, a dire il vero, credono che le cose stiano così. Il pensiero migrante, pendolare, nomade, che ricusa la rassicurante stasi della stanzialità può contare su un lungo elenco di avversari. Francesca Rigotti, che nel suo libro esalta le virtù del pensiero pendolare, ne tiene debitamente conto, evitando giustamente di vedere nel pensiero statico e rigido la deriva dogmatica del pendolarismo. Questo perché la più apprezzabile virtù del pendolarismo fatto pensiero sta nell’impossibilità di aderire a posizioni immodificabili, date una volta per tutte. «Il pensiero filosofico – scrive Francesca Rigotti – è mobile e oscillante […] La riflessione filosofica, la meditazione in genere, è stimolata dal moto, dal moto della nostra stessa persona, e dai moti esterni ad essa: l’oscillazione della fiamma del camino, il fremere e il vibrare delle foglie e dell’erba sotto l’azione del vento, il moto delle onde marine» (p. 76).
Basterebbe, dunque, osservare il moto per liberare l’energia del pensiero? Francesca Rigotti non dice esattamente questo. Per lei, il pensiero è metafora magniloquente della mobilità umana. Il pensiero pendolare di cui tesse le lodi e del quale riscatta la dignità può essere considerato un “sapere minore”, purché se ne riconosca la specificità, che è quella di un pensiero che oscilla (come lascia ben intendere l’immagine schopenhaueriana del pendolo), «ma attaccato, mobile ma ritornante, legato e non assoluto» (p. 114). Questo sapere per così dire minore «non potrà infatti che opporsi al sapere maggiore della razionalità classica che è un sapere stabile, stanziale, fondato. Ma anche ad un altro sapere minore, suo simile ma non gemello: il sapere mobile, assoluto, sciolto dai vincoli, senza un piano universale, il sapere che se ne va scivolando nello spazio liscio deleuziano senza curarsi della propria destinazione, il sapere nomade» (ivi). Questo è allora il punto: il pensiero pendolare, che incarna lo stile della persona che lo esercita vivendo una vita fatta di transiti e destinazioni da raggiungere con ricorrente ripetitività, non è un pensiero da intrattenimento, buono quando, in treno o nel metrò, non si ha nulla da leggere o quando le batterie del lettore mp3 si sono scaricate, e per ingannare il tempo non resta altro che affidarsi al pensiero, ultima risorsa per vincere la noia, scialacquare l’attesa. Premesso che il tempo difficilmente può essere ingannato, è da escludere che il pensiero possa seriamente nutrire questa aspirazione.
Per chi è stato pendolare almeno una volta nella vita (e chi non lo è stato, viene da chiedersi), il pensiero che pende, pendula e oscilla (per usare verbi cari all’autrice) ha il duro compito di ingaggiare una sfida difficile: abitare e dotare di senso i luoghi in cui si svolge e compie il suo passaggio. Luoghi che, sulla scorta di Marc Augé, potremmo chiamare “non luoghi”. Stazioni dall’aspetto trascurato e desolante, fredde e impersonali come i grandi supermercati, possono essere luoghi che sfidano il pensiero, non luoghi, verrebbe da dire, oltre i quali può non convenire procedere se non si transita in apnea, trattenendo il respiro e inibendo, per quanto possibile, il pensiero. Ma il pensiero pendolare, per giocare con le parole e aderire al senso della metafora impiegata da Francesca Rigotti, ha una sua disciplina: va diritto per la sua strada e, strada facendo, si arricchisce. È, d’altronde, la condizione quotidianamente sperimentata dal pendolare che «ad ogni suo viaggio … raccoglie nuove esperienze e nuovi stimoli. Il pendolare sapiente supera la frustrazione dell’andirivieni forzato, del dover attraversare gli stessi luoghi senza farci caso» (p. 87). È la condizione del pendolo sapiente che «sa che si può andare e tornare, smarrirsi e poi ritrovarsi, estinguersi e rinascere, errare e ritrovare la verità» (p. 15). Parole, queste ultime, che richiamano un’opera di Maria Zambrano, la filosofa spagnola che a quella dell’esule avrebbe preferito la dimensione del pendolare, di chi può tessere la propria esistenza seguendo più volte e ripetutamente direzioni già percorse, consapevole del fatto che il mondo è un luogo da abitare e che la sapienza pendolare può renderlo meno spoglio e inospitale.

Indice

Introduzione

Pendere
Pendolare


L'autrice

Francesca Rigotti insegna Dottrine e istituzioni politiche a Lugano, nell’Università della Svizzera Italiana. Collabora con diverse riviste, tra le quali anche ReF, ed è autrice di diversi saggi che riflettono un forte interesse per la filosofia pratica. Nel 2002 ha pubblicato La filosofia in cucina (Bologna, il Mulino) e nel 2005 La filosofia delle piccole cose (Novara, Interlinea) e, in collaborazione con G. Ferraro, Agli estremi della filosofia (Mantova, Tre Lune).

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