giovedì 14 dicembre 2006

Arendt, Hannah, La menzogna in politica. Riflessioni sui «Pentagons Papers», a cura di Olivia Guaraldo.

Testo originale a fronte, traduzione di Veronica Santini, Genova-Milano, Marietti,  2006, pp. 85, €. 12,00, ISBN 8821194426.

Recensione di Francesca Rigotti, 14/12/2006

Filosofia politica, Verità, Morale

L'uomo è un essere capace di mentire, lo dice persino la Bibbia: “omnis homo mendax” (Salmo 115, 11). Deve e può per questo mentire? In politica, il luogo delle scelte collettive e che interessano la collettività, si può mentire, certo. Si deve per questo farlo? Devono la pratica della menzogna e del mendacio essere, in politica, tollerate e perdonate se non addirittura incoraggiate? Deve essere la menzogna, per politici e diplomatici, un'arte del mestiere da apprendere ed esercitare?
Secondo Hannah Arendt pare di sì, a leggere il testo di questa conferenza, trasformata nel 1972 in articolo per la «New York Review of Books» e diretta a commentare la pubblicazione avvenuta l'anno prima di alcuni documenti relativi all'impegno americano nel sud-est asiatico dopo la seconda guerra mondiale (i «Pentagons Papers»). In quell'inglese stilisticamente duro e farraginoso nel quale si ostinava a scrivere personalmente, forse per accentuare la sua identificazione con il pubblico americano (“we were conducting a war in Vietnam”, (p. 30)). “We” chi? “We Americans”, lascia intendere Arendt che evidentemente tale si sentiva, nonostante le dichiarazioni pubbliche di tenore contrario (tra cui la celebre “ci resta la lingua”, alludendo alla lingua tedesca), Hannah Arendt giustifica la dissimulazione, l'inganno e la menzogna in quanto strumenti legittimi per l'ottenimento di fini politici, come ci ha ampiamente dimostrato l'ex (sia ringraziato il cielo) presidente Berlusconi.
Spiega Olivia Guaraldo nell'ottima prefazione che per l'A. l'uso politico della menzogna era autorizzato per es. in delicate operazioni di segretezza. Non lo era invece nel caso di una deliberata volontà – come quella dimostrata dagli uffici strategici di Washington – di trascurare se non addirittura disprezzare i fatti. Insomma la Arendt dimostra di sostenere la classica posizione dei “due pesi, due misure”, come se la menzogna saltuaria che copre un aspetto della realtà politica fosse moralmente lecita, quella che sostituisce la realtà invece no.
Ora, che a una corretta pratica democratica sia consentita e perdonata la torbidità invece della trasparenza, la dissimulazione e la segretezza al posto della visibilità è un pessimo segnale dello stato di salute della democrazia, che dovrebbe essere sempre limpida e trasparente. In circostanze di democrazia sana il bugiardo non soltanto è sconfitto dalla realtà, ma viene messo subito in ridicolo quando la altera, come nel caso della menzogna berlusconiana sullo stato dei conti pubblici nel trascorso (per fortuna) governo.
Un altro argomento arendtiano sostiene che la menzogna è lecita se rivolta verso il nemico, condannabile invece se praticata a uso interno nei confronti dei propri concittadini. Posizione morale molto consequenzialista e utilitarista, per non dire opportunistica e camaleontica. Ovviamente questa è una critica rivolta a Arendt dalla postura di chi assegna un posto fondamentale al dovere nella propria posizione morale, postura deontologica rigorosa e per la quale tra la menzogna tradizionale (mentire per ragion di stato) e la falsificazione dei fatti per ragioni di immagine non sussiste una differenza di qualità, come sostiene invece Hannah Arendt.
Se la distinzione di Arendt non è quindi moralmente generalizzabile né sostenibile da un punto di vista kantiano, più attraente risulta la posizione, messa in rilievo da Olivia Guaraldo alla fine della prefazione, che afferma l'importanza della radicale pluralità degli uomini (la “legge della terra”) che non esistono nemmeno in teoria come Uomo al singolare, ma sempre e unicamente al plurale, e nemmeno, scrive Guaraldo, come “entità fra loro slegate, bensì come esistenti unici costitutivamente in relazione l'uno con l'altro” (p. XXXVIII).

Indice

Le verità della politica
di Olivia Guaraldo

Lying in Politics
Reflections on the Pentagon Papers

La menzogna in politica
Riflessioni sui Pentagons Papers

L'autore

Hannah Arendt (Hannover 1906-New York 1975), allieva di Heidegger e Jaspers, lasciò la Germania nel 1933. Dopo un soggiorno in Francia nel 1941 arrivò negli Stati Uniti dove rimase anche dopo la fine della guerra insegnando nelle più prestigiose università d'oltreoceano.Tra le sue opere principali: Le origini del totalitarismo, Vita Activa, Sulla rivoluzione, La banalità del male, Tra passato e futuro, La vita della mente.

La curatrice

Olivia Guaraldo, dottore di ricerca in Political Science all’università di Jyvaskyla, Finlandia, insegna Filosofia Politica all’Università di Verona. Ha pubblicato Politica e racconto. Trame arendtiane della modernità, Meltemi, Roma 2004; con Leonida Tedoldi, Lo stato dello Stato. Riflessioni sul potere politico nell’era globale, ombre corte, Verona 2005. Ha inoltre curato e introdotto J. Butler, La disfatta del genere, Meltemi, Roma 2006.

Links

Berlin Arendt Networking Group (in tedesco e inglese)

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