giovedì 25 gennaio 2007

Adorno, Theodor W., Metafisica. Concetto e problemi, a cura di Rolf Tiedemann.

Trad. it. e cura di Stefano Petrucciani, Torino, Einaudi, 2006, pp. 177, € 18, ISBN 88-06-15275-0.
[Ed. or.: Metaphysik. Begriff und Probleme <1965>. Hrsg. Rolf Tiedemann (Nachgel. Schr., Abt. IV, Bd. 14.) Frankfurt a.M. 1998]

Recensione di Raffaela Strina –25/01/2007

Filosofia teoretica

“Si può certo dire che il concetto di metafisica è lo scandalo della filosofia.” (p. 3) E’ proprio questo scandalo il filo conduttore dell’interpretazione della metafisica proposta da Adorno nel corso di lezioni dedicate all’argomento tenuto nel semestre estivo del 1965, e ora pubblicato da Einaudi in traduzione italiana. Lo scandalo risiede nel fatto che la metafisica, in quanto s’interroga sul senso ultimo della realtà, è la spina dorsale della filosofia, ma è molto difficile definire non solo quale sia il suo oggetto e se questo oggetto esista o meno, ma anche definire la metafisica di per sé stessa, soprattutto nel turbolento mondo contemporaneo, che, nel prendere le distanze dalla modernità, ha finito per mettere sotto processo la stessa metafisica, ridotta a “vana speculazione”, “semplice follia mentale” (p. 3).

L’origine della metafisica è la stessa della teologia: il bisogno dell’essere umano di trovare un ordine, un orizzonte di senso che possa trascendere la caducità dell’esistenza. La differenza risiede nel fatto che la teologia rinviene tale significato nel divino, in entità superiori trascendenti, che creano, ordinano e plasmano il mondo, laddove la metafisica “è il tentativo di stabilire, partendo dal puro pensiero, l’assoluto o le strutture costitutive dell’essere e della conoscenza” (p. 11), e ciò non più dogmaticamente a partire da una rivelazione data, bensì partendo dal vaglio critico della ragione e dal concetto. Da questo punto di vista, la metafisica è momento costitutivo dell’Aufklärung: in quanto espressione di quel pensiero in continuo progresso che disincanta miti, magia, religioni, la metafisica ha in sé un’anima critica, negativa, che secolarizza le credenze religiose, sostituendo l’accettazione passiva di un dato positivo fisso con la ragione e le sue strutture concettuali.

Il passaggio dalla teologia alla metafisica comporta un mutamento nel rapporto tra il mondo delle essenze e i fenomeni intramondani: mentre la divinità è trascendente, superiore e assolutamente altra rispetto al mondo creato, sussiste tra i concetti, le idee, i generi e le specie e la realtà mutevole e contingente una relazione problematica. La metafisica sorge appunto da una “rottura tra le essenze, quegli dei appunto secolarizzati in idee, e il mondo dei fenomeni, che è inevitabile nel momento in cui gli dei si trasformano in concetti e l’essere si trasforma anche in una relazione con l’ente” (p. 23). La peculiarità del pensiero metafisico è che assume come suo oggetto proprio quella tensione nel rapporto tra il mondo della trascendenza e del soprasensibile e il mondo dell’esperienza e di ciò che semplicemente è. Per questo Adorno intravede in Aristotele, e non in Platone, il primo vero metafisico della storia della filosofia. Platone è per Adorno ancora troppo teologico. Egli, è vero, ha per primo secolarizzato il pantheon delle divinità nel mondo iperuranico delle essenze, ma ciò che manca è l’elemento di tensione tra essenza e apparenza, la sua problematizzazione, che è invece per Adorno il nocciolo duro di ogni metafisica. Poiché il mondo sensibile è l’assoluto non – ente, il mondo fenomenico della pura illusione, in Platone non si pone il problema del rapporto tra essenza e fenomeno. Il primo metafisico è Aristotele, perché, sia nella sua critica antiplatonica contro la trascendenza e indipendenza delle idee dalla cosa, che nella sua concezione delle sostanze come sinolo di materia e forma, assume quale oggetto della metafisica il rapporto problematico di concetto e cosa. Paradossalmente, per Adorno è Aristotele il primo metafisico, perché, rispetto a Parmenide o a Platone, riconosce dignità e valore alla realtà intramondana, e si pone il problema di mediare universale e particolare, concetto e cosa.

Oltre che il primo metafisico Aristotele è, dunque, anche il primo filosofo della mediazione, nella misura in cui “ha sempre l’intenzione di trovare un elemento intermedio tra due estremi e quindi di pensare l’ente (…) come un elemento intermedio tra forma e materia” (p. 57). Ma tale questione, che egli per primo pone, non viene da lui né adeguatamente esplicitata né risolta, bensì solo prospettata, in quanto nella sua architettura filosofica sussiste un’aporia fondamentale tra l’affermata sostanzialità del particolare e del fenomeno concreto da un lato, e “la superiorità delle supreme determinazioni categoriali” (p. 50) dall’altro. Tali determinazioni non sono nominalisticamente intese come mere astrazioni del soggetto, bensì come forme sostanziali universali e necessarie, essenze “estratte” molteplicità dell’ente e trasformate platonicamente in un ente-in-sé (senza che questa astrazione venga riconosciuta come attività propria del soggetto); rispetto ad esse, l’elemento sensibile, materiale, “cosale”, appare come accidentale e inferiore. Il risultato è, secondo Adorno, una concezione additiva dell’ente, interpretato come “agglomerato quantitativo” dei due momenti, materia e forma, pensabili in modo indipendente l’uno dall’altro. La mediazione aristotelica fallisce perché è adialettica, è semplicemente “qualcosa tra gli estremi” (p. 57), e non ciò che si compie attraverso gli estremi stessi, implicando il reciproco rimando dell’uno all’altro.

Aristotele con questa mediazione additiva e non dialettica anticipa il corso della metafisica occidentale; essa, problematizzando il rapporto tra particolare e universale, ha sempre privilegiato questo secondo momento. Il problema fondamentale secondo Adorno è che la metafisica non ha un solo volto, ha un lato critico – negativo, illuministico, demitologizzante, ed uno conservatore e apologetico, in quanto il rischiaramento concettuale che spazza via gli dei, intimorito dal dissolvimento nominalistico delle essenze, “vorrebbe in un certo modo salvare o ripristinare o persino rigenerare, da sé, a partire solo dalla ragione, i concetti demoliti dalla ragione”(p. 62), cristallizzandoli di nuovo in quella sostanza immutabile e fissa, universale e necessaria, che può fare a meno del polo opposto, il particolare. Aristotele alla fine ritorna a Platone, la metafisica in fondo sembra ritornare alla teologia, nella misura in cui sostituisce al dio un nuovo assoluto, il pensiero, con l’aggravante ideologica che viene fatto passare per incondizionato qualcosa che è invece finito e condizionato, in quanto mediato dall’oggetto, dalla cosa.

Paradossalmente Adorno riconosce nella teologia, ed in particolare nelle forme apocrife e non gerarchizzate, come ad esempio la mistica o la cabbalah, il mantenimento di un elemento di autoriflessione critica che la metafisica sacrifica sull’altare dell’universale. Queste forme teologiche, che hanno posto l’assoluto come qualcosa di totalmente diverso dalla realtà mondana, non avevano la pretesa di ridurre e dissolvere tutto nel momento soggettivo – formale – concettuale, in quanto riconoscevano un limite al potere di comprendere e disporre da parte dell’uomo. Inoltre, nell’assoluta differenza tra divino trascendente ed esistente contingente, le teologie eretiche riconoscevano paradossalmente una grande rilevanza alla realtà intramondana e storica per la rappresentazione in negativo della trascendenza: è proprio nell’assoluta differenza tra questa realtà intramondana e il trascendente divino che l’uomo, che appartiene pur sempre al creato, al contingente, al finito, può rappresentarsi in negativo l’infinito, l’assoluto. Al contrario, la metafisica ha finito per dissolvere il finito, la cosa, la materia nell’elemento concettuale cristallizzato come essenza immutabile ed eterna, astorica.

Questo primato del concettuale sul momento “cosale”, materiale ha finito per svolgere una funzione ideologica e giustificatrice nei confronti del già dato: “proprio perché la forma è il perfetto e la materia è l’imperfetto e poiché alla forma si conferisce la priorità in ogni senso sulla realtà, proprio per questo la realtà è trasformata in un positivo, in qualcosa che, se non è già perfetto, per lo meno tende alla perfezione.” (p. 108) Ora, però, un pensiero che tende a rendere la realtà un positivo, e così a giustificarla, è ormai divenuto insostenibile. Dopo Auschwitz affermare che il mondo così com’è è teleologicamente strutturato, in sé dotato di senso, ordinato, bello e buono, sarebbe una sacrilega beffa nei confronti delle vittime. Secondo Adorno la metafisica in senso tradizionale, con tutto il bagaglio di positività e ottimismo che comporta, entra oggi in contrasto insostenibile con quella che è l’esperienza intramondana, con quella temporalità contingente ed imperfetta, che ogni metafisica incentrata sul sovratemporale universo dei concetti ha sempre ritenuto inessenziale Se la metafisica in senso tradizionale è posta sotto scacco per le sue pretese di comprendere il reale attraverso un pensiero divenuto assoluto e secondo un’intrinseca teleologia, sopravvive però l‘esperienza metafisica come interrogazione dell’uomo sul senso della propria vita, sul senso della propria morte, della propria finitezza, come riflessione critica sul mondo della contingenza, sul fenomeno.

Si comprende dunque meglio, ora, lo scandalo della metafisica in Adorno: intesa nel suo senso tradizionale, essa risulta effettivamente incomprensibile, un vaneggiare folle sul soprasensibile eterno che colpevolemente ignora il caduco mondo dell’esistenza umana; ma in quanto esperienza metafisica, riflessione critica sul senso della realtà intramondana, essa è ancora l’anima della filosofia, ciò per cui in fondo si inizia a filosofare. In questo senso le riflessioni che qui Adorno svolge sulla metafisica risultano fondamentali per poter inquadrare la sua complessa dialettica negativa, spesso interpretata banalmente come una critica postmoderna al soggetto e a tutta la tradizione metafisica. In realtà queste lezioni ci mostrano come il rapporto tra pensiero adorniano e metafisica sia molto più complesso e sottile. Ma allora Adorno è un metafisico o un critico della metafisica? Come al solito Adorno sfugge agli aut aut imposti dalle definizioni concettuali e potremmo concepire il suo rapporto alla metafisica come una costellazione di momenti diversi: è critico della metafisica in quanto assolutizzazione del pensiero e giustificazione del reale dato in quanto tale, ma è ancora metafisico nella misura in cui fa esperienza metafisica, riflettendo criticamente sul rapporto tra universale e particolare, concetto e cosa, non più alla luce di un predeterminato primato del concetto e del pensiero come assoluto, ma alla luce dell’esperienza negativa della morte, della non libertà, dell’adattamento, insomma dell’imperfezione e della finitezza dell’essere umano.

Indice

Introduzione di Stefano Petrucciani

Prima lezione. Che cos’è la metafisica?
Appunti per la seconda lezione. Dottrina del Primo
Appunti per la terza lezione. Storia del concetto
Sulla metafisica di Aristotele
Quarta lezione. Platone, Aristotele e Heidegger
Quinta lezione. Universale e singolare
Sesta lezione. Genesi e validità
Settima lezione. Mediazione e medio
Ottava lezione. Dottrina dell’immutabile
Nona lezione. Forma e materia
Decima lezione. Problema della mediazione
Undicesima lezione. Movimento, mutamento
Dodicesima lezione. Il motore immobile
Metafisica dopo Auschwitz
Tredicesima lezione. Atene e Auschwitz
Quattordicesima lezione. La liquidazione dell’Io
Quindicesima lezione. Metafisica e materialismo
Sedicesima lezione. Coscienza della negatività
Diciassettesima lezione. Morire oggi
Diciottesima lezione. Esperienza metafisica


L'autore

Theodor W. Adorno (1903-1969) è stato uno dei maestri della Scuola di Francoforte ed uno dei più lucidi pensatori del panorama filosofico contemporaneo; i suoi interessi hanno spaziato dalla filosofia teoretica alla musica, dall’estetica alla sociologia. Tra le sue opere maggiori tradotte in italiano si ricordano: Dialettica dell’illuminismo (Einaudi, 1966, 1980, 1997), Minima moralia (Einaudi, 1954, 2003), Dialettica negativa (Einaudi, 2004), Teoria Estetica (1975).

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