giovedì 4 gennaio 2007

Kurotschka, Vanna Gessa, Etica.

Napoli, Guida, 2006, pp. 211, € 12,80  ISBN 88-6042-175-6.

Recensione di Gennaro De Falco - 04/01/2007

Etica

Diviso in tre parti, il testo di Kurotschka ripercorre l’etica a partire dall’antichità sino ai nostri giorni, rendendo palesi al lettore le differenze e lo sviluppo che essa ha attraversato con il passare dei secoli.
La prima parte è dedicata all’antichità greca sino al periodo ellenistico-romano (pp. 11-91): sono presi in analisi i tre massimi pensatori del periodo, Platone, Socrate e Aristotele.
Comune alle loro costruzioni filosofiche è la massima realizzazione dell’essere umano attraverso la ricerca di se stessi e del bene; tale ricerca deve tenere necessariamente conto dell’individuo in rapporto alla comunità, alla polis in cui si trova a vivere: “il bene della città è infatti quel bene da cui tutti gli altri dipendono” (p. 17).
Per Platone la ricerca del bene – e dunque uno dei compiti della filosofia – è imprescindibile “dall’acquisire il sentimento che le cose umane non meritano gran conto” (p. 15): ciò dovrebbe indurre l’uomo ad agire nella propria vita in modo tale da non commettere mai azioni nocive o distruttive. L’uomo, dunque, coltivando la filosofia, non “si sporcherà”, proprio perché saprà sempre misurare se stesso e modulare la propria azione in ogni situazione: un comportamento diverso da quello appena descritto sarebbe segno di arroganza e follia (p. 21).
Benchè abbia una costruzione teorica diversa, anche Socrate giunge alle conclusioni che l’uomo sa sempre scegliere in base a ciò che è bene e ciò che è male per lui, tale pensiero significando che, attraverso la sapienza umana (pp. 27 sg.), l’uomo acquisirà “la capacità di distinguere di volta in volta ciò che ci porterà piacere […] e ciò che, invece, ci porterà dolore […]” (p. 31).
Alla sapienza socratica segue, nell’analisi condotta da Kurotschka, la saggezza aristotelica intesa come “uno stato abituale che produce scelte”(p. 60): non si tratta di una scienza o un’arte ma di una condizione di vita calata nella realtà e caratterizzata dal sillogismo pratico, laddove il ragionamento vero e il desiderio corretto sono i due elementi della scelta migliore (p. 61 sg.).
Ciò che emerge dalle pagine della prima parte del testo – come già accennato – è il rapporto dell’uomo con la propria comunità: nel periodo odierno caratterizzato dalla disgregazione politica, dalla scomparsa della cittadinanza e dalla morte della nazione-comunità, il lettore troverà utile riflettere sulla necessità – ravvisata dai filosofi di cui si è fatto cenno – del buon governo della città in quanto presupposto del bene individuale.
Platone considerava indispensabile, ai fini del buon governo, che le classi dei reggitori e dei guerrieri non avessero beni privati né ricchezze e che condividessero le donne e la famiglia (p. 44). Per Aristotele la necessità del buon governo nasceva dalla constatazione che l’uomo non è un essere autosufficiente ed è quindi bisognoso di vivere con altri a lui simili per realizzare la propria felicità (p. 76): egli addirittura sosteneva che il politico “deve conoscere l’anima per poter assolvere il suo compito perché il suo compito consiste nel creare le condizioni che rendono a ciascuno possibile realizzare individualmente la virtù umana […]” (p. 78). Quanto tali affermazioni possano apparire lontane dal comportamento dei politici mestieranti di oggi è fin troppo evidente!
Abbandonata l’antichità, la seconda parte del testo si concentra sulla concezione moderna dell’etica: il primo degli autori citati è Hobbes (pp. 95-101) il quale contesta la concezione aristotelica della felicità, nel De Homine egli scrive: “il sommo bene, ovvero, come si dice, la felicità e il fine ultimo non si può trovare in questa vita” (p. 99). La filosofia dell’autore inglese, infatti, è fondata su una visione della vita come un moto continuo causato dal desiderio e dalle passioni umane.
Anche Kant, come Hobbes, vede l’azione animale ed umana, quando è mossa dal desiderio di raggiungere un determinato scopo, come “moto regolato dalle leggi che permettono di conoscere i fenomeni fisici” (p. 108): per questo motivo l’agire umano, in quanto conoscibile attraverso le stesse modalità di conoscenza di ogni altro fenomeno fisico, è diverso dall’agire morale (pp. 110-114). L’azione può avere una qualità morale se “il suo contenuto è scelto e voluto da chi agisce solo a condizione che la massima che conduce a realizzarlo sia universalizzabile” (p. 117): ciò porta il lettore a riflettere sul fatto che la morale vive di principi formulati prima delle azioni tant’è che Kant, nella Critica della ragion pratica, scriveva che “la moralità è l’unica legalità delle azioni che possa essere ricavata a priori da principi” (p. 118).
Tocca poi ad Hegel chiudere la seconda parte del testo: il filosofo celebra la soggettività libera perchè solo attraverso di essa può essere determinato ciò che è morale e ciò che è immorale (p. 133 sg.). Kurotschka considera inquietanti tali affermazioni in quanto la celebrazione della soggettività libera, e quindi dell’individuo, porta all’estrema conseguenza che il bene ed il male sono definiti tali in rapporto al diritto della volontà soggettiva “definito da Hegel come diritto a riconoscere come buono solo ciò che da lei viene conosciuto come valido” (p. 133).
La terza parte si apre con la concezione filosofica di Nietzsche (p. 141-151) a cui l’autore dedica diverse pagine per l’evidente importanza che tale filosofo ha avuto nel secolo scorso: la singolarità dell’individuo e la sua capacità di creare valori universali si riflettono nella necessità che la morale comune sia superata da una morale aristocratica, capace di stabilire ciò che è buono e ciò che non lo è. Questa nuova epoca presuppone la morte di Dio (p. 146) e la nascita di un’umanità superiore; in una delle sue opere, La gaia scienza, il filosofo scriveva: “gli uomini di alto livello si distinguono dagli inferiori per il fatto che vedono e ascoltano indicibilmente di più […]” (p. 147). La morale diviene dunque creazione poetica ed ha per protagonista “un individuo in grado di creare come un poeta qualcosa che ancora non esiste” (p. 151).
Le ultime pagine del libro sono dedicate alla seconda metà del novecento: sono prese in analisi spinte filosofiche sviluppatesi sulla condivisa singolarità dell’individuo in quanto agente morale e controspinte che, memori delle tragedie naziste, si sono focalizzate sulla necessità di regole universali capaci di dirigere l’agire umano (p. 157). Su tale scia è interessante il recupero dell’importanza della poesia operato da Nussbaum: “i conflitti narrati dalla poesia, e con i quali attraverso la poesia entriamo in contatto, sviluppano, infatti, in noi l’immaginazione […]” (p. 161).
Ed è proprio all’immaginazione che ricorre Arendt quando, parlando dell’eccidio nazista, sostiene che chi si è astenuto da simili barbarie lo ha fatto assecondando una morale autonoma, diversa da quella allora comune, utilizzando appunto “l’immaginazione per rappresentarsi con orrore l’eccidio di un intero popolo di esseri umani simili in tutto a loro” (p. 186).
Gli spunti di riflessione che offre il testo in analisi sono molteplici, la rassegna di autori è così ampia che alcuni di essi sono solo accennati, con il rischio che non se ne possa comprendere pienamente il messaggio: ciò che appare efficace e risulta evidente al lettore sono i caratteri essenziali dell’etica nei tre periodi affrontati.
Il testo può essere letto come un invito a riscoprire certe concezioni, come quelle dell’antichità greca, non tanto per la possibilità di calarle integralmente nella realtà odierna, quanto per il vigore e per la dedizione alla realizzazione della felicità dell’individuo che esse promuovevano all’interno della comunità; al pari andrebbe riscoperta la poesia quale mezzo offerto all’uomo per calarsi nella dimensione e nelle emozioni di altri uomini in modo tale da rispettarne le diversità e l’unicità.
Oggi più di ieri l’etica appare necessaria: lo sviluppo tecnologico, e non solo, richiede che vi siano delle regole generali da applicare ai comportamenti dell’uomo. Purtroppo proprio oggi che se ne ravvisa un’estrema necessità, paradossalmente, si assiste ad un abuso della parola “etica”: basta pensare ai tanto decantati codici etici delle multinazionali, dei quali la maggior parte resta vuota parola; ancora si pensi all’abuso che di questa parola fanno gli stessi politici per perorare le proprie candidature.
Arendt, nella sua opera Vita Activa. La condizione umana, giustamente scriveva che certe condotte non possono essere lasciate “alla decisione degli scienziati di professione e neppure a quella dei politici di professione” (p. 187), ciò che invece sta succedendo oggi, dove sembra sparito il ruolo autonomo che filosofia ed etica dovrebbero ricoprire.

Indice

Introduzione 
I. Parte prima 
1. Poesia e filosofia. Il contenuto etico della tragedia 
2. L’unicità della virtù e l’architettonica del bene 
3. Il bene molteplice
4. Le passioni malate e la terapia filosofica II. Parte seconda 
1. La fisica delle passioni 
2. Etica dei principi 
3. Autonomia ed Eticità 
III. Parte terza 
1. Il valore della singolarità 
2. Letture contemporanee dell’etica antica 
3. La rilevanza etica del gusto 
Postfazione 
Il giudizio della poesia 
Glossario 
Bibliografia


L'autore

Vanna Gessa Kurotschka è professore ordinario di Etica presso l’Università di Cagliari dove insegna Antropologia Filosofica ed Etica della Scienza. Fra le sue pubblicazioni si ricordano Ricostruzione della soggettività (2004), Il sapere poetico e gli universali fantastici. La presenza di Vico nella riflessione filosofica contemporanea (2004), Umano e post-umano. Potere, sapere, etica nell’età globale (2004), I saperi umani, il sapere umano e la consulenza filosofica (2005).

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