martedì 27 febbraio 2007

Maria Cristina Fornari, La morale evolutiva del gregge. Nietzsche legge Spencer e Mill.

Pisa, Ets, 2006, pp. 360, € 21,00  ISBN 88-467-1526-8.

Recensione di Salvatore Stefanelli – 27/02/2007

Storia della filosofia (moderna)

L’intento della valente studiosa dell’opus nietzscheano Maria Cristina Fornari, in questo testo connotato da una attenta collocazione storica, è quello di interpretare il pensiero del filosofo di Röcken nel contesto della tendenza dominante nella vita intellettuale della seconda metà dell‘800 – l’evoluzionismo e il conseguente assunto teleologico delle teorie della morale “Englisch” di fin-de-siècle. Per essere più precisi, il tema di fondo di questo volume è l’onnipresente “problema della scienza in se stessa” che in modo particolare nel XIX secolo manifestò i prodromi di come le teorie scientifiche e la correlata tecnologia avrebbero in modo massivo e invasivo inciso sull’impianto materiale e intellettuale del consorzio sociale. Un filosofo impegnato come Nietzsche, ancora una volta rivoluzionario nel collegare con mossa a sorpresa scienza e metafisica, non poteva non lanciare il guanto di sfida alle teorie scientifiche del suo tempo, affermando che “la scienza stessa esige ormai una giustificazione (con ciò non si è ancora detto che ne esista una per lei).”(F. Nietzsche, Genealogia della morale, trad. it. Milano, Adelphi 200613, p. 147)
Con La morale evolutiva del gregge - mai scelta di titolo fu più fortunata nel dare immediata cognizione di cosa nel relativo libro si voglia sostenere - l’Autrice esplora la risposta di Nietzsche ai dibattiti intellettuali innescati dalla pubblicazione de L’origine delle specie di Charles Darwin e sostiene, a ragion veduta, che ”il passaggio attraverso Spencer e Mill […] fornisce […] a Nietzsche elementi di forte correzione critica delle sue posizioni.” e, al contempo, che “il confronto con gli inglesi matura anche […] l’elaborazione e la delineazione di quel metodo genealogico del cui autentico significato Nietzsche andava prendendo progressivamente coscienza.”(p. 12-13) Per ironia della sorte, il filosofo dell’Übermensch dovette difendersi dalle critiche di chi lo classificava come un darwinien sans le vouloir ritenendo che il concetto di superuomo avesse a che fare con il concetto spenceriano di “survival of the fittest”. In pratica, dopo aver imboccato, seguendo gli inglesi, la strada alla ricerca dell’origine della morale, il filosofo della volontà di potenza, preso atto della “cattiva ricerca” ascrivibile al darwinismo spenceriano, se ne allontanerà per opporre alle indefinite teleologie la sua Genealogie der Moral. In questo “Scritto polemico” Nietzsche smonterà quel feticcio rappresentante “la bestia darwiniana e l’ultramoderno modesto esserino morale, che ‘non morde più’, [mentre] si danno educatamente la mano” (Genealogia della morale, cit., p. 45).
La tesi della Fornari, che di seguito riassumeremo, si sviluppa lungo tre capitoli partendo dall’“inglese prussiano” Paul Rée, che per Nietzsche fu la “chiave d’accesso” ai filosofi inglesi Herbert Spencer e John S. Mill, di cui si parla nel secondo e terzo capitolo quali rappresentanti dell’evoluzionismo e dell’utilitarismo, e, quindi, raggiunge una argomentazione conclusiva in cui si sottolinea l’antidarwinismo del filosofo tedesco che in “opposizione alla lettura corrente della struggle for life, precisa il suo concetto di vita come dissipazione, ma soprattutto in che senso egli intenda la cosiddetta battaglia per l’esistenza”(p. 325-6) La scrittura dell’Autrice è coinvolgente nella ricostruzione di questa sfida intellettuale, resa ancor più intensa dal ricco apparato di note e rinvii ai testi dei filosofi inglesi glossati e sottolineati dall’attento lettore Nietzsche.
Dopo aver chiuso con Wagner, un nuovo colpo di fulmine doveva lampeggiare nella vita di Nietzsche in occasione della conoscenza di Paul Rée, che servì a trarlo fuori dall’isolamento in cui era precipitato a seguito della rottura con l’entourage wagneriano. Questo inconsueto personaggio ebbe un ruolo particolare nell’evoluzione mentale di Nietzsche che lo considerò un giovane “molto riflessivo e dotato” e culturalmente lo ritenne “una guida esperta attraverso mondi nuovi” in special modo nel tentativo di trattare i valori morali in una prospettiva relativistica ed evoluzionistica che Rée concretizzò nell’opera L’origine dei sentimenti morali definita da Nietzsche, mediante un neologismo, come un manifesto di Réealismo. Il significato dell’itinerario speculativo intrapreso da Rée è individuabile nel tentativo, da un lato, di affrancare da ogni assunto metafisico i rilevanti spunti di spiegazione fisiologica della vita morale presenti nella filosofia schopenhaueriana e, dall’altro lato, nella riformulazione di questi aspetti in una teoria evolutiva degli istinti rifacentesi ampiamente al darwinismo. Il punto di incontro intellettuale tra Nietzsche e Rée si concretizzerà alla confluenza del loro interesse per le nuove scienze naturali, derivante primariamente per entrambi dalla lettura della Storia del materialismo di Lange, con il fondo schopenhaueriano del pensiero dei due filosofi da cui scaturirà una critica alla metafisica della volontà radicalizzantesi per Nietzsche nella stesura di Umano, troppo umano. La pubblicazione di questo “Libro per spiriti liberi” innescò una catena di critiche taglienti da parte di lettori e amici del filosofo che dovette difendersi da accuse di quasi plagio nei confronti di Rée. Pur riscontrandosi un lessico intellettuale abbastanza comune e una più che evidente coincidenza di risultati, il percorso speculativo intrapreso dai due amici era del tutto diverso anche prescindendo da quella che sarà poi la loro diseguale levatura filosofica. A riprova di questa diversità si può considerare il modo in cui Nietzsche e Rée considerano la morale della compassione a partire dal comune interesse per questo tema trattato da Schopenhauer. A differenza di Rée che trasmuta la compassione schopenhaueriana in un sentimento di immedesimazione del Sé con l’Altro per arrivare ad identificarla con l’istinto sociale come esposto da Darwin nella Origine dell’uomo, Nietzsche si guarda bene dal ricorrere ad una tale manipolazione che non farebbe altro che sostituire la metafisica di Schopenhauer con una metafisica naturalistica.
Fornari, da attenta ricercatrice, nel paragrafo intitolato Geologia della morale guida il lettore alla scoperta dei fenomeni morali e della loro genesi così come considerati da Rée e al contempo individua il modo in cui Nietzsche se ne differenzia sbriciolando la ipotizzata naturalità e spontaneità degli istinti, mostrandoli nella loro essenza di coacervi intellettuali e linguistici, di farisaici giudizi e atteggiamenti mentali. Potrebbe sembrare strano che – come fa notare l’Autrice – il rapporto con Rée “da una concreta consonanza di intenti e analogia di ispirazione” si tramuti in un contrasto netto testimoniato “[dalla] acrimonia e [dal] tono vagamente indispettito con cui Nietzsche si allontana da Rée, fino a cancellarne completamente le fattezze”(p. 48). Invece, è tipica dell’irrequieto filosofo la deplorevole tendenza a mordere la mano dell’offerente: infatti è capitato che egli abbia mosso le critiche più taglienti proprio verso coloro dai quali ha tratto maggior spunto. Infatti, seppure il distacco da Rée fu burrascoso a causa dell’affaire Salomé, tuttavia le ipotesi Réealiste, benché considerate erronee, continuarono ad essere oggetto di riflessione da parte di Nietzsche che intensificò “la sua indagine sulla genesi e sulla storia dei sistemi etici, convinto che soltanto la conoscenza dell’uomo delle origini quale ‘animale sociale’ […] possa far luce sul fenomeno imperituro della morale” (p. 122) A tal fine il filosofo tedesco dovette praticare una full immersion nelle opere degli “inglesi”, in specie Spencer, i guru dell’ipotesi evoluzionista sull’origine e la natura dei sentimenti morali. È ben facile immaginare l’esito di tale incontro fra l’autore delle invettive di Zarathustra contro l’altruismo e contro il prossimo e, dall’altra parte, Mr. Spencer quale rappresentante della “filosofia da bottegaio: completa assenza di un ideale, eccetto quello dell’uomo medio” (F.Nietzsche, Frammenti postumi 1887-88, trad. it. Milano, Adelphi 19792, p. 168).
Nietzsche, come dicevamo, rinveniva nel sistema spenceriano una confusione tra la risposta alla domanda “cosa devo fare?” e la ricerca delle origini della morale. Ancor più che nella teoria darwiniana in sé, il filosofo tedesco vedeva in Spencer il problema maggiore perché questi, vestendo i panni del “Darwin della psicologia”, poteva con la sua teoria dell’adattamento incoraggiare l’istituzionalizzazione di una società in cui l’individuo avrebbe funto da adeguato utensile e, peggio ancora, non avrebbe aspirato a niente di meglio, se non al fine della conservazione dello status proprio e di “un ambiente le cui coordinate sono ben riconoscibili.” Il serrato confronto con Spencer sulla dinamica degli istinti – come attentamente sottolinea la Fornari – porterà Nietzsche a dichiarare “di aver individuato qual è l’istinto che pertiene alla formazione della morale moderna e all’elezione del suo sistema di valori: l’”istinto gregario” o “istinto del gregge” (Heerdeninstinkt), conformazione che trova nella paura la sua determinante originaria.”(p. 162)
Proprio sull’onda delle letture di studi naturalistici e delle dottrine a lui contemporanee Nietzsche, da par suo, individua nella moralità non altro se non l’uso della simulazione e della “dissimulazione, della quale gli uomini hanno bisogno per poter vivere insieme senza paura reciproca (Talché l’individuo si spaccia come uguale all’altro e si fa utilizzare allo stesso modo che egli utilizza l’altro)”(p. 210) Tuttavia, proprio dall’inclusione nell’orda, nel gregge, nella massa può nascere l’individuo che si leva contro la morale di una società quale è quella proposta dagli “inglesi” secondo un pursuit of happiness da calcolare, à la Bentham, in base al dare e avere di un bottegaio o secondo la “felicità universale voluta da Mill e che aspira all’uguaglianza di tutti con tutti”(p. 270). La ricaduta in campo politico di questo livellamento diede il via allo spettro del socialismo che col far “balenare ai poveri e agli umili una possibilità di salvezza, lascia che le classi oppresse credano al loro riscatto e ad una possibile prosperità futura [e] impedirà loro una piena realizzazione”(p. 302).
Quale lezione trarre dalla lettura di questo testo che, comunque, si colloca come una non complementare tessera nel mosaico che forma l’immagine del moralista Nietzsche? La ricerca nietzscheana ha individuato proprio nella “Vita” la norma di riferimento e ha posto sotto accusa l’etica giudaico-cristiana, come pure quella platonica quale sua classica referente, per il fatto di porre limiti e imporre regole che non si ispirano al mondo reale ma ad un cielo sede delle idee o ad un mondo al di là da venire. La mossa di Nietzsche parrebbe ispirata solo dal voler respingere l’archetipo secondo cui l’etica prende le mosse dall’idea che la vita non rappresenti il bene più alto per i mortali. Ma come non dare ragione a Nietzsche, se pensiamo al fatto che l’esistenza del genere umano o meglio dell’onnicomprensiva Natura viene messa quotidianamente a repentaglio dal comportamento degli uomini e che quindi sia del tutto legittimo affermare che “la Vita, vale a dire la sopravvivenza del mondo e della specie umana, rappresenta davvero il sommo bene”?(cfr. H. Arendt, Alcune questioni di filosofia morale, trad. it. Torino, Einaudi 2006, p. 5-6)
Per quanto possa essere stato criticato, travisato o piegato a false interpretazioni resta il fatto che al filosofo “profeta di Dioniso”, secondo il quale “l’istinto è meglio dell’intelletto” deve ascriversi il merito non piccolo di “aver sbattuto in prima pagina” il tartufismo della società del XIX secolo (ma il j’accuse nietzscheano è indirizzabile pienamente verso la società contemporanea) utilizzando proprio il pensiero scientifico più all’avanguardia (evoluzionismo e suoi derivati). Infatti, proprio quando si era giunti a capire “gli impulsi più forti e naturali, ‘anzi, gli unici reali’ […] si credette che ci fossero impulsi disinteressati, si respinsero tutti quelli interessati, si pretesero quelli altruistici”, con la conseguenza che – come conclude Maria Cristina Fornari – “d’ora in poi, per trovare lodevole un azione, si dovette negare in essa la presenza di impulsi naturali e contrapporre fittiziamente a questi ultimi un mondo del bene puramente immaginario.”(p. 332)

Indice

Introduzione: Origine e genealogia

Un “inglese prussiano”: Paul Rée
1. Le premesse dello spirito libero - 2. La “filosofia con Darwin” - 3. Rée e la filosofia delle Università - 4. Presenze “réeliste” - 5. Genealogia della morale
Il “Darwin della psicologia”: Herbert Spencer
1. Nietzsche alla ricerca di “materiale inglese” - 2. Le basi della morale - 3. Le risposte di Nietzsche
Il piacere della moralità: John Stuart Mill
1. Nietzsche prosegue nelle sue letture inglesi - 2. Un utilitarismo filantropico - 3. “Osservazione marginale su una sciocchezza inglese” - 4. L’irresolubile problema della felicità - 5. Ancora un’ipotesi per la coscienza morale - 6. “Uno come tutti, uno per tutti”
Conclusioni: Morfologia della volontà di potenza
1. Una nuova prassi - 2. “Anti-Darwin” - 3. Il cammino evolutivo della volontà di potenza
Bibliografia
Indice dei nomi


L'autrice

Maria Cristina Fornari (1964), Ricercatrice in Storia della Filosofia presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze sociali dell’Università degli Studi di Lecce. Collabora alla nuova edizione, per la casa editrice Adelphi, di Friedrich Nietzsche, Frammenti postumi, a cura di G. Campioni. E’ co-autrice di Nietzsches persönliche Bibliothek, edito presso la de Gruyter, Berlin/New York. Collabora al progetto internazionale: HyperNietzsche. Modello di un ipertesto per le scienze umane, sotto la direzione di Paolo D’Iorio (Monaco di Baviera/Parigi).

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