venerdì 16 marzo 2007

Mario Alcaro, Filosofie della natura. Naturalismo mediterraneo e pensiero moderno.

Roma, Manifestolibri, 2006, pp. 223, ISBN 8872854423.

Recensione di Francescomaria Tedesco - 16/03/2007

Storia della filosofia (idealismo)

Secondo Ernst Bloch il carattere germanico è speculativo, gotico, ripiegato su se stesso, mentre quello europeo-meridionale è tutto il contrario, e il suo rispecchiamento è nella natura, nel sole caldo, nel cielo terso, nella pioggia che “batte argentina sulle foglie delle piante meridionali” (Bloch citato in Alcaro, p. 137). Qualcosa di simile ha sostenuto Albert Camus, il quale in L’Uomo in rivolta “contrappone lo spirito del Mediterraneo alla cultura del Nord-Europa come il giorno alla notte” (Alcaro, p. 19), laddove il primo è l’unica speranza contro il disincanto del mondo, la progressiva mercificazione della vita, il nichilismo del mercato e del successo. Camus è un autore ricorrente tra gli esponenti del ‘pensiero meridiano’, un orientamento che da qualche anno propone di guardare al Meridione italiano e al Mediterraneo come a possibili antidoti “alla volontà di potenza e di dominio dell’uomo occidentale” (Alcaro, p. 21) mediante un percorso teso a recuperare la natura tellurica dell’uomo, abbandonare il disincanto del mondo e “ritrovare e rianimare la natura […] riappropriarsi della sacralità dei luoghi […] ritornare sulle rive del Mediterraneo e, lì, mettersi in ascolto” (Alcaro, p. 24).
Alcaro propone, sulla scia dell’intuizione di Camus, e più in generale nell’ottica di una presunta biforcazione del pensiero occidentale tra un Nord tutto concentrato sul soggetto ponente dell’idealismo e del costruttivismo cartesiano e un Sud ‘panteistico’ e ‘spiritualista’, un singolare e interessante contributo al pensiero meridiano: lo scopo di Filosofie della natura è di mettere in luce che il pensiero dominante nord-occidentale è percorso – e qui l’autore segue Alain Badiou – dalla convinzione che “ogni ente è tale in quanto nominato” (Badiou cit. in Alcaro, p. 129), e dunque che tale pensiero è ammantato di relativismo ‘nominalistico’ e gnoseologico. Ciò, sostiene Alcaro, rende il pensiero filosofico egemone dimentico del corpo, dello ‘spirito del mondo’ e della natura, laddove questi ultimi elementi sono al centro – invece – della riflessione minoritaria, ‘sconfitta’ dal soggettivismo (l’idea che l’io ‘pone’ la realtà): il pensiero meridiano, appunto.
Per Alcaro occorre riscoprire la filosofia di Giordano Bruno, Tommaso Campanella e Bernardino Telesio, tre filosofi meridionali che rappresentano, secondo l’autore, un tentativo di resistere alla diffusione del pensiero nord-occidentale che separa radicalmente lo spirito dal corpo e assoggetta il secondo al primo e che nega l’anima mundi intesa come visione panteistica, che fa leva sulla filosofia greca degli Stoici e di Aristotele. In altre parole, per Alcaro sulle sponde del Mediterraneo è nato un pensiero immanentista in armonia con la natura, che non pensa all’uomo come il signore del cosmo e che ritiene che ogni cosa è animata.
Come si è detto, le tesi del libro sono quanto mai affascinanti, e l’analisi di Alcaro è condotta con precisione e rigore.
Tuttavia, alcuni rilievi critici si fanno necessari. Innanzi tutto, pare problematico sostenere che il tema dell’armonia tra la natura naturans e la natura naturata – o meglio, il tema della loro coincidenza – sia specificamente ‘meridiano’. Buffon e Diderot in Francia, i neo-platonici di Cambridge in Gran Bretagna, Leibniz in Sassonia o Spinoza nei Paesi Bassi, per non dire della direttrice che da Heidegger va a Schmitt, tutti testimoniano (come peraltro lo stesso Alcaro riconosce) la diffusione – autonoma rispetto a Bruno, Campanella e Telesio – di un pensiero nord-occidentale critico rispetto all’atteggiamento del ‘relativismo gnoseologico’. Per non dire delle bellissime pagine che Carlo Ginzburg dedica all’immanentismo/panteismo materialista del mugnaio friulano Menocchio.
Inoltre, occorre rilevare che il Mediterraneo è sì l’alveo di tale ecologismo panteistico, ma è anche il brodo di coltura dei monoteismi ebraico, cristiano e musulmano, e che almeno i primi due costituiscono il fondamento dell’atteggiamento meccanicistico e razionalistico del pensiero religioso occidentale. Come ricorda Luigi Lombardi Vallauri (Riduzionismo e oltre, Giuffrè, Milano 2002, pp. 130-132) non c’è un solo passo della Bibbia in cui un uomo venga descritto con le fattezze di un animale. L’antropocentrismo biblico (l’uomo signore del creato e soggetto solo al divino; tutte le creature ‘inferiori’ sono ‘funzionali’ all’uomo) si fonde perfettamente al razionalismo cartesiano. Cartesio, come è noto, pensava agli animali come a delle macchine, ed è altrettanto noto l’episodio di un papa che, visitando i lavoratori di un macello, raccomandò loro di non lasciarsi impressionare dalle urla strazianti delle bestie che venivano macellate, ma di considerarle alla stregua del clangore prodotto dalle macchine in una fabbrica.
Ancora, suscita qualche perplessità l’attribuzione, operata da Alcaro, della soggettività a tutti gli ‘enti’, compresi gli organismi unicellulari o l’embrione. Infatti, se si attribuisce tale soggettività, essa dovrebbe avere delle implicazioni giuridiche, nel senso che il soggetto deve essere – in quanto soggetto, appunto – titolare di diritti, e sarebbe piuttosto bizzarro sostenere che gli esseri unicellulari che ‘formicolano a milioni nel nostro ano’ (l’espressione è di Edgar Morin: cfr. Alcaro, p. 207) siano titolari di diritti. Di certo non è peregrina l’idea di estendere la soggettività giuridica ai viventi non umani, ma solo in ragione di una considerazione utilitaristica (un soggetto è tale se è in grado di soffrire, ovvero se è dotato – come gli animali e al contrario delle piante o dei minerali – di un sistema nervoso centrale). Da ciò naturalmente non discende affatto il disprezzo per forme di vita altre rispetto all’animale, e tuttavia esse sono degne di tutela al di fuori del progetto di differenziazione e gradualizzazione della soggettività.
Per concludere, le tesi che Alcaro esprime in Filosofie della natura paiono in gran parte condivisibili nella loro tensione verso un pensiero non-antropocentrico, attento ai temi della natura non più intesa come oggetto di sfruttamento da parte dell’uomo e dunque ecologista. È tuttavia arduo sostenere che tale pensiero sia prerogativa di un Mediterraneo ‘solidale’, ‘resistente’ alle spinte che provengono dal nichilismo del mercato e del profitto occidentali, ‘lento’ rispetto al mondo nord-occidentale e al suo pensiero dominante. Ma c’è di più: la descrizione di un Mediterraneo (e di un Sud italiano) siffatto cela il rischioso cavallo di Troia dell’orientalizzazione interna, ovvero della costruzione ideologica di un’alterità ‘meridiana’ che capovolge gli stereotipi negativi (la lentezza, la centralità della madre, l’armonia con la natura intesa come ‘stato ferino’) e ne fa elementi identitari. Mi pare di poter sostenere che un tale atteggiamento orientalizzante (il riferimento è alle pratiche discorsive analizzate da Said) sia, inoltre, la risposta ‘localista’ e ‘minimalista’ alla perdita di senso delle grandi narrazioni: laddove il momento rivoluzionario inteso come liberazione del genere umano è diventato un miraggio, è consolatorio ripiegarsi su se stessi, pensare la resistenza alla luce di una prospettiva ‘estetizzante’ che svuota quel momento e lo rende posa plastica. Non sarebbe forse il caso di indagare il Sud con le lenti dei bisogni materiali e della necessità di infrastrutture, piuttosto che continuare a proiettare su esso – come hanno già fatto, non a caso, tanta parte del cinema e della fotografia, nonché della letteratura – l’immagine di un luogo ctonio, lento, irrazionale, determinato a tutti i costi a preservare tali caratteristiche a discapito dello sviluppo? Non sarebbe forse saggio mettere il Sud nelle condizioni materiali e culturali per decidere con quale voce parlare, e cosa dire?

Indice

Disincanto e modernità
L’universo e le sue anime. Il naturalismo in Grecia e dintorni
L’anima del mondo si fa cristiana
Uomo e natura in S. Agostino e S. Tommaso
Il “canto del cigno”. Rinascimento e naturalismo mediterraneo
La signoria del soggetto nella modernità 
Meccanicismo, spinozismo, romanticismo
La rimozione dei fini di natura
Dalla filosofia della vita al naturalismo anglo-americano      
Epilogo


L'autore

Mario Alcaro insegna Storia della filosofia nell’Università della Calabria. Tra i suoi libri più recenti: Bertrand Russell (Giunti, 1990), John Dewey. Scienza, prassi, democrazia (Laterza, 1997), Sull’identità meridionale (Bollati Boringhieri, 1999), Economia totale e mondo della vita (Manifestolibri, 2003).

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