Recensione di Enrico Biale 2/05/2007
Filosofia politica
In questo interessante testo Screpanti, dopo aver vagliato e scartato l’ipotesi di Marx ed Engels come teorici della giusta società, tenta di portare alla luce le componenti libertarie del loro pensiero. L’autore ammette di fornire un’interpretazione parziale, seppure ben fondata, di tali pensatori che, testi alla mano, possono essere considerati dei convinti moralisti (forse più Engels che Marx) che dei distaccati scienziati sociali.
Comunque sia, il Marx moralista che condanna in modo indignato lo sfruttamento e l’oppressione subita dai proletari ad opera dei capitalisti, è quello delle opere giovanili, ancora profondamente influenzato dal pensiero di Hegel. Un autore che, come fa giustamente notare Screpanti, identifica il comunismo come quel momento in cui tutti i soggetti, diventati ormai degli uomini nuovi, diversi dai soggetti particolari che conosciamo noi ora, possono realizzare la propria libertà vivendo in una comunità unita non tanto dal diritto, quanto piuttosto da un principio di solidarietà profondamente condiviso.
Questa prospettiva millenarista viene accentuata da Engels il quale professa molto più di Marx il comunismo come una specie di paese della cuccagna in cui i bisogni degli uomini verranno soddisfatti o del tutto superati. Tutto ciò è, secondo Screpanti, assolutamente insostenibile da parte dei due fautori del comunismo sulla base di ragioni sia filosofiche che politiche.
A livello filosofico una tale prospettiva «riconosce umanità all’uomo non per quello che è in atto, per quello che è concretamente nella sua finitezza, bensì per quello che potrebbe essere, per quello che è in potenza […] la realtà futura nega la sua esistenza attuale» (p. 39). A livello politico inoltre, viene delegittimata di ogni valore l’azione politica, dal momento che se è necessaria una rivoluzione spirituale per realizzare la nuova società, inutile sarà la lotta di classe.
Non si deve infine dimenticare, come mette di nuovo in evidenza Screpanti, quanto il millenarismo sia lontano dall’impostazione scientifica adottata nella maturità dai due pensatori: trasformatisi, nel frattempo, in scienziati sociali amorali che negano ogni valore ad un principio di giustizia universale; tanto che Marx arriverà ad affermare, per esempio, che non ha alcun senso in un’economia capitalista sostenere che il salario di un operaio sia ingiusto: esso è determinato dal mercato, e questo è un fatto.
Entrambi gli autori sono profondamente critici nei confronti di qualsiasi deriva utopistica (basti pensare alla contrapposizione tra il loro comunismo scientifico e quello utopistico appunto) e molto attenti a tutti i progressi messi in atto dal sistema capitalistico il quale, secondo il Marx maturo, ha creato: «un tipo di uomo nuovo, ricco nelle capacità di godimento, ricco di qualità e di relazioni e colto ad un grado elevato» (p. 67). Un individuo diverso e migliore anche perché tutelato giuridicamente attraverso quei diritti che il comunismo non dovrà abolire, ma tentare di allargare a chi fino ad ora ne è stato sistematicamente escluso: gli oppressi.
Sembra ormai chiara la ragione per cui Marx ed Engels non possano essere considerati dei filosofi morali, ma degli scienziati sociali che rivolgono la propria attenzione non più ad individui a-storici ma ad uomini in carne ed ossa, che dovranno lottare per vedere riconosciuta la propria libertà: ovvero quella possibilità di scegliere in piena autonomia che fino ad allora era stata loro negata da un sistema produttivo che li aveva relegati al ruolo di soggetti completamente eterodiretti.
La libertà viene quindi intesa non come: «la proprietà di un soggetto collettivo universale, bensì come l’insieme delle capacità di scelta di agenti individuali concreti» (p. 162). Solo grazie al comunismo, con la sua autogestione del mondo del lavoro e la realizzazione di una vera democrazia, non funzionale alla classe dominante, le opportunità di cui fruiscono i soggetti potranno dirsi eguali. Dal momento che la libertà è sempre determinata da vincoli economici, culturali e politici, solo se tutti gli individui sono fautori di tali decisioni sarà possibile affermare che sono liberi. La partecipazione politica e l’autorealizzazione dei propri piani di vita, come direbbe Rawls, risultano due aspetti importanti di una «libertà individuale [che] non consiste tanto in un particolare insieme d’opportunità, quanto nella capacità da parte degli individui di partecipare al processo decisionale che porta alla definizione dei vincoli» (p. 140) che gli individui si trovano ad affrontare nelle loro scelte quotidiane. Questi vincoli non sono subiti o imposti da una forza estranea, ma sono razionalmente accettati in quanto frutto di un’autonoma deliberazione degli stessi soggetti.
Implicita in una tale concezione della libertà e necessaria affinché essa si realizzi pienamente vi è, come giustamente ricorda Screpanti, un’idea forte della democrazia come forma di autogoverno dei cittadini che insieme determinano le leggi e, così facendo, si autodeterminano. Sono tutti questi elementi (libertà come autogoverno, democrazia, forte autonomia) che, da un lato, sembrano rendere davvero attuale l’opera di questi due pensatori, ma che, dall’altro, lasciano alquanto perplessi circa la loro effettiva natura libertaria.
Sebbene infatti l’indagine di Screpanti appaia alquanto convincente per il suo accostamento tra il Marx scienziato sociale ed il fautore della liberazione delle masse e sostanzialmente corretta in relazione alla necessità di porre l’accento sulle capacità decostruttive del pensiero marxiano, non si riesce a comprendere pienamente in cosa si rilevi la natura libertaria di questo grande pensatore.
Sussiste infatti una notevole differenza tra il libertarismo, sia nella sua versione analitica (Nozick ed i neolockiani) che in quella più strettamente continentale (anarchismo libertario), e la teoria marxiana della liberazione delle masse. Quest’ultima, ad esempio, pur sposando una prospettiva che si potrebbe definire individualista, pone l’accento sugli interessi degli ultimi: di coloro che abitualmente vengono schiacciati dal sistema produttivo, ma non mostra particolare interesse a difendere i diritti di ogni singolo individuo, che viene invece posto al centro della teoria libertaria.
Inoltre, il libertarismo si fonda su una concezione della libertà sostanzialmente negativa: uno spazio da garantire ai soggetti dentro il quale nessuno, tanto meno lo Stato, può e deve entrare. Secondo Marx invece, come giustamente mette in luce Screpanti, gli individui sono liberi solo quando sono pienamente autonomi nelle proprie scelte e per garantire tale livello di autonomia è auspicabile anche un sistema politico-economico profondamente redistributivo ed abbastanza presente nella vita dei soggetti.
Le libertà dei libertari sono diritti che non variano a seconda delle azioni messe in atto dai soggetti; le libertà che invoca Marx sono invece gradi di autonomia ed autodeterminazione che una classe deve conquistare per aver diritto a governare la propria vita. Non si deve infine dimenticare come spesso il libertarismo sia stato considerato una teoria della giustizia e quindi fondato su quei valori universali che Screpanti ha mostrato essere antitetici alla posizione del Marx più maturo.
Emerge quindi una sostanziale differenza tra queste due posizioni, tanto che Marx potrebbe essere chiamato a mostrare come il libertarismo non sia niente altro che un’altra ideologia borghese che finge di esaltare valori universali ma che poi propugna a favorire gli interessi di alcuni.
Sebbene sia più corretto limitarsi a considerare Marx un teorico della liberazione piuttosto che un libertario, è possibile affermare che il testo di Screpanti abbia il merito di mostrare perché Marx possa essere ancora considerato un grande smascheratore.
Indice
Introduzione
UNA TEORIA DEL BENESSERE?
Il comunismo libertario
Il comunismo dell’abbondanza
UNA TEORIA DELLA LIBERTA’
Individuo e libertà
L’emancipazione del lavoro
UNA RIFORMULAZIONE
Fondamenti di teoria della liberazione
La politica del comunismo
Note
Bibliografia
Indice dei nomi
L'autore
Ernesto Screpanti è Professore di Economia Politica all’Università di Siena. I suoi campi di interesse spaziano dall’economia istituzionale alla filosofia economica. E’ autore di numerosi studi, pubblicati sia in Italia che all’estero, sulle istituzioni del capitalismo, la storia e la metodologia del pensiero economico, la teoria del valore, la teoria della libertà
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