mercoledì 9 gennaio 2008

Dworkin, Ronald, La democrazia possibile. Principi per un nuovo dibattito politico.

Trad. it. di Lucia Cornalba, Milano, Feltrinelli, 2007, pp. 164, € 18,00, ISBN 9788807104237.
[Ed. or.: Is Possible Democracy Here? Principles for a New Political Debate, Princeton University Press, Princeton 2006]

Recensione di Giuliano Manselli – 09/01/2008

Filosofia politica

Negli Stati Uniti, dove la vita politica somiglia sempre più a una guerra, è ancora possibile trovare una base comune per un corretto dibattito politico?
È questo il quesito fondamentale attorno cui Dworkin articola tutto il suo libro. La nazione americana sembra infatti spaccata in due, divisa fra due culture totalizzanti e incompatibili. Tuttavia per Dworkin questa teoria delle due culture onnicomprensive, quella rossa rappresentata dai repubblicani conservatori e quella blu rappresentata dai democratici progressisti, ormai luogo comune, è quantomeno esagerata. Si tratterebbe piuttosto di una riuscita invenzione politica che, anziché fornire una valida spiegazione circa la reale situazione del contesto politico statunitense, ne acuirebbe la contrapposizione finendo con l’impedire un libero e ragionevole confronto politico. Dworkin si pone quindi due obiettivi: innanzitutto trovare, malgrado l’opinione diffusa, principi comuni abbastanza solidi da rendere possibile e proficuo un dibattito politico serio. In secondo luogo, cercare di evidenziare la forza e l’attinenza di tali principi con i grandi problemi che dividono la nazione americana: i diritti umani, il ruolo della religione nella vita pubblica, la giustizia sociale, il carattere e il valore della democrazia.
Il testo si occupa così soprattutto della vita politica statunitense, ma i principi individuati da Dworkin, secondo lui patrimonio comune degli americani, sono condivisi da molte altre nazioni, e gli argomenti trattati trovano applicazione anche nell’arena internazionale, dovrebbero cioè avere valore per qualsiasi interpretazione matura della democrazia. Così pure la diagnosi sullo stato del dibattito pubblico americano e le conclusioni che, come ben sottolinea Mario Ricciardi nella prefazione all’edizione italiana, si possono estendere benissimo anche alla situazione politica italiana.
I principi comuni cui Dworkin intende riferirsi non sono principi specificatamente politici o etici, bensì filosofici. Essi identificano alcuni valori più astratti della situazione umana: il principio del valore intrinseco, per il quale ogni vita umana ha un suo particolare valore oggettivo, è importante in sé; e il principio della responsabilità personale, per il quale ogni persona è responsabile del successo della propria vita, responsabilità che include il giudicare e scegliere che tipo di vita condurre per realizzarsi. Insieme questi due principi costituiscono le condizioni di base della dignità umana. Una simile idea della dignità umana potrebbe essere condivisa da tutti gli americani di tutte le fedi politiche, in virtù della possibilità di articolare diverse interpretazioni, egualmente legittime, dei due principi. All’interno di questo terreno comune infatti, ciascuno potrebbe cercare di giustificare la sua interpretazione dei due principi sulla base del maggior numero di applicazioni possibili riconosciute pubblicamente come valide.
Così, dopo aver descritto nel capitolo I, dal titolo “Il terreno comune” i due principi della dignità umana, nel capitolo II, “Terrorismo e diritti umani”, Dworkin si misura col primo dei grandi problemi che hanno spaccato in due l’opinione pubblica americana. Dopo l’11 settembre 2001 infatti, gli americani appaiono divisi sulle modalità di acquisizione delle informazioni sui terroristi e i loro piani, e sull’estensione dei poteri da attribuire al governo nella gestione di questa emergenza. Secondo Dworkin la natura di tale dilemma è più morale che legale. Esso implica una scelta di tipo etico, anche a costo dei propri interessi. Il problema infatti è se le strategie politiche antiterroristiche violino o meno i diritti umani, perché, se così fosse, esse sarebbero indifendibili anche se formalmente legali e se garantissero più sicurezza.
Ma cosa si intende per diritti umani? Per Dworkin sono quei diritti che tutti gli esseri umani possiedono per il solo fatto di essere umani, che dovrebbero essere protetti dai trattati internazionali e che nessuna nazione dovrebbe poter violare, nemmeno per ragioni di sicurezza. Tali diritti si differenziano perciò dai diritti legali e politici, ed anche se una loro definizione precisa, universalmente condivisa, rimane controversa, essi comportano, secondo Dworkin, l’obbligo fondamentale di ogni governo al rispetto della dignità umana. Ciò, dal punto di vista pratico, avrebbe due conseguenze molto importanti. La prima, è la statuizione di diritti umani di base e cioè diritti concreti che pongano limiti alle azioni di ogni governo, vietando atti non giustificabili all’infuori dell’idea dell’eguale valore intrinseco della vita di ognuno, né di quella della responsabilità personale della propria esistenza. La seconda conseguenza è impedire a qualsiasi governo di agire nei confronti di chiunque in maniera da contraddire la sua stessa concezione di tali principi, espressa dalle sue leggi e pratiche, perché ciò comporterebbe una negazione del rispetto dell’umanità delle sue vittime. Per Dworkin i diritti costituzionali degli Stati Uniti e le relative interpretazioni espresse dai tribunali americani negli ultimi decenni sono ragionevolmente in grado di identificare e tutelare i diritti politici derivanti dai due principi della dignità umana e convertirli in diritti legali. Lo stesso si può dire dei documenti costituzionali e degli accordi internazionali vigenti in altre nazioni e organizzazioni internazionali, in parte mutuati dalla pratica costituzionale americana, e da cui oggi, per Dworkin, l’America potrebbe a sua volta trarre ispirazione. Attualmente infatti l’amministrazione Bush e i suoi sostenitori affermano che bisogna trovare un equilibrio fra diritti umani degli altri e diritto alla sicurezza dei cittadini americani di fronte al terrorismo. In altri termini, è possibile (giuridicamente giustificabile) ignorare i diritti di qualcuno sulla base della presunta minaccia di un grave pericolo. Ma per Dworkin anche di fronte a un grande pericolo come il terrorismo, il sacrificio del rispetto di se stessi è una forma di vigliaccheria particolarmente vergognosa, occorrerebbe invece recuperare la virtù del coraggio, perché, dimostrando disprezzo per la dignità umana a causa della paura, disprezziamo anche noi stessi. Inoltre, la politica antiterroristica di Bush, non solo viola i diritti umani, ma lo fa anche in malafede in quanto li viola in contraddizione col proprio diritto interno e con l’idea, profondamente radicata nello spirito americano, che sia meglio rilasciare un colpevole, per quanto pericoloso, piuttosto che condannare un innocente. Ma, si chiede Dworkin in definitiva, siamo così terrorizzati che l’onore non conta più nulla?
Nel capitolo III, “Religione e dignità”, Dworkin sottolinea come il conflitto che divide l’America nel dibattito su chiesa e stato riguardi il ruolo della religione nella vita pubblica e politica. Tutti gli americani concordano infatti sull’importantissimo principio secondo cui il governo deve essere tollerante nei confronti di tutte le fedi religiose pacifiche e anche di chi non ha nessuna fede. Essi però dissentono su questo punto: l’America deve essere una nazione religiosa tollerante, oppure una nazione laica che tollera la religione? I due modelli riflettono principi opposti di moralità politica su cui dovrebbe vertere un serio dibattito. In una società religiosa tollerante infatti, il riconoscimento della libertà di fede sarebbe un diritto sui generis, non discenderebbe da quello più generale di scegliere autonomamente sulle questioni etiche fondamentali come l’aborto, l’omosessualità, la ricerca sulle cellule staminali, o la possibilità di porre fine alle propria vita in caso di malattie terminali e di grandi sofferenze. Anzi, una società religiosa, seppur tollerante, potrebbe propendere per una concezione molto restrittiva di tale diritto, vietando tali pratiche per motivi esplicitamente religiosi. Una società laica tollerante invece non potrebbe accettare un’idea così restrittiva del fondamento della libertà religiosa. Per Dworkin quindi solo il modello laico tollerante rispetterebbe pienamente il secondo principio della dignità umana che attribuisce a ciascuno di noi la responsabilità di scegliere i propri valori etici, rifiutando qualsiasi imposizione.
Il tema affrontato da Dworkin nel capitolo IV, dal titolo “Tasse e legittimità”, è altrettanto controverso ma influisce in modo certamente più significativo sulla vita quotidiana dei cittadini. Dworkin sostiene che una teoria plausibile della legittimità politica di uno stato si basa sull’assunto che i suoi cittadini abbiano degli obblighi verso la comunità di cui fanno parte, come rispettarne le leggi, ma solo finché il governo mostri di rispettare la loro dignità umana: attribuisca cioè pari importanza e considerazione alla loro vita, e riconosca a ciascuno una piena responsabilità di scelta sulla propria esistenza. Di conseguenza uno stato che nella sua politica fiscale riveli disprezzo per i poveri, metterebbe a rischio la sua stessa legittimità. Ma quale politica fiscale dovrebbe allora adottare un governo che intenda riservare uguale trattamento a tutti i suoi cittadini? Tutto ciò che il governo di una grande comunità politica fa, influenza infatti le risorse di cui ogni cittadino dispone per affrontare le vicissitudini della vita. Uno stato non può perciò sottrarsi al dovere di riconoscere a tutti pari considerazione, né può venir meno alle proprie responsabilità nei confronti della situazione economica di alcuni cittadini.
Per Dworkin l’idea del laissez faire e dello small government, o stato minimo, ignora proprio questo punto. Tuttavia, egli è anche consapevole del fatto, che un governo che dimostri pari considerazione per tutti i suoi cittadini organizzandosi in modo che ognuno abbia le stesse risorse indipendentemente dalle scelte che ha fatto, non rispetterebbe il secondo principio della dignità umana, ossia quello della responsabilità personale. Qualsiasi concezione egualitaria che neghi tale principio, optando per una ridistribuzione delle ricchezze ex post, va quindi respinta. Dworkin propone così un tipo di uguaglianza ex ante, basata su una teoria fiscale, che garantisca ai cittadini pari opportunità di progettare liberamente la propria vita, corretta da un sistema di assicurazione ipotetica capace di limitare le disuguaglianze derivate dal libero mercato: per cui le tasse sono eque solo quando il gettito è pari almeno al minimo che delle persone ragionevoli avrebbero assicurato per provvedere a se stesse in una tale condizione di uguaglianza ex ante.
Nel capitolo V, “È possibile la democrazia?”, Dworkin si chiede infine se il sistema politico americano sia in grado di dare spazio ad un autentico dibattito. Secondo lui infatti la situazione politica attuale sarebbe talmente degradata da mettere in serio pericolo la democrazia e da minare la legittimità stessa dell’ordine politico. Anche se nessuno in America dubita che la democrazia sia l’unica forma legittima di governo, vi è, ancora una volta, una profonda spaccatura su come intenderla: per la visione maggioritaria la democrazia è il governo secondo la volontà della maggioranza, senza alcuna garanzia che le decisioni prese siano giuste; per la visione partecipativa le decisioni sono invece democratiche solo quando sono soddisfatte alcune condizioni che tutelano lo status e gli interessi di ogni cittadino, che deve partecipare al governo a pieno titolo come socio di un’impresa politica collettiva. Così se la prima rappresenta una concezione puramente procedurale della democrazia, indipendente da qualsiasi dimensione di moralità politica; la seconda fa invece riferimento, per Dworkin, a una teoria della partecipazione paritaria che si rifà alle idee di giustizia, uguaglianza e libertà, rappresentando così un ideale reale di democrazia. La scelta tra i due modelli è dunque una questione etica di fondamentale importanza, dalla cui risposta dipende la legittimità democratica stessa degli Stati Uniti. Per Dworkin infatti solo una democrazia partecipativa sarebbe in grado di rispettare i due principi della dignità umana da lui celebrati: dimostrando pari considerazione per la vita di tutti i suoi cittadini, non solo attraverso un suffragio su basi il più possibile ampie, ma anche inserendo certi diritti individuali nella costituzione per meglio tutelare tale rispetto per la vita di ognuno, anche contro le decisioni della maggioranza. I diritti costituzionali garantirebbero così, in accordo col principio della responsabilità personale, anche la libertà di ciascuno di fare le proprie scelte etiche.

Indice

Prefazione di Mario Ricciardi
Premessa
Il terreno comune
È possibile trovare una base comune di dibattito?
Il mio programma
Le due dimensioni della dignità umana
Il valore intrinseco di una vita umana
La responsabilità personale di una vita umana
Terreno comune e controversie
Terrorismo e diritti umani
Terrorismo, diritti e sicurezza
Cosa sono i diritti umani?
Violazioni dei diritti umani fondamentali
Violazioni in malafede
Sicurezza e onore
Religione e dignità
Politica e religione
Due modelli
Religione e stato
Il libero esercizio della religione
A che punto siamo?
Religione e liberalismo politico
Libertà religiosa: perché?
La struttura della libertà
Libertà e cultura
Alcuni esempi
Il giuramento di libertà e i simboli religiosi
Matrimonio
Tasse e legittimità
Più tasse più spese
Legittimità politica e pari considerazione
Laissez faire e “small government/meno governo”
Responsabilità personale
Uguaglianza ex post e ex ante
Immagini di giustizia
Assicurazione ipotetica
Legittimità e controargomenti
Il meccanismo dell’assicurazione
La sfida
È possibile la democrazia?
L’America è democratica?
Cos’è la democrazia?
Che valore ha la regola di maggioranza
La democrazia partecipativa a grandi linee
Che cosa possiamo fare?
Prima di tutto l’istruzione
Elezioni
La legge costituzionale e il comandante in capo
Conclusione.


L'autore

Ronald Dworkin, nato a Worcester (Massachussetts) nel 1931, ha studiato ad Harvard ed insegnato a Yale ed Oxford. Attualmente è professore di Diritto alla New York University e all’University College di Londra. Tra le sue opere: “Taking Rights Seriously” 1977 (“I diritti presi sul serio”); “Matters of Principles” 1985 (“Questioni di principio”); “Law’s Empire” 1986 (“L’impero del diritto”); “Life’s Dominion” 1993 (“Il dominio della vita: aborto, eutanasia e libertà individuale”); “I fondamenti del liberalismo” con S.Maffettone 1996; “Sovereign Virtue. The Theory and Practice of Equality” 2006 (“Virtù sovrana. Teoria dell’uguaglianza”).

Links

Voce Ronald Dworkin sull’enciclopedia Wikipedia
Pagina personale di Dworkin sul sito della New York University
Varie recensioni su Dworkin dal sito SWIF

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