domenica 13 gennaio 2008

Vizzardelli, Silvia, Filosofia della musica.


Roma-Bari, Laterza, 2007, pp. 195, € 18,00, ISBN 9788842083719.

Recensione di Clara Mandolini - 13/1/2008

Estetica (filosofia della musica)

Il volume di Vizzardelli, attraverso un affascinante percorso di riflessione, ben articolato secondo riferimenti storico-filosofici e musicali e denso di questioni implicate, esprime una solida unità teorica, grazie alla continuità delle considerazioni e all’aderenza alla questione di base: l’essenza della musica.
Il problema si presenta da subito come oggetto di opposte interpretazioni secondo che sia considerato dal punto di vista “freddo” delle poetiche, cioè delle riflessioni teoriche del compositore, o da quello “caldo” del filosofo, come colui che anzitutto “ascolta”, anche tramite il proprio pensiero, la musica. Vizzardelli considera tale apparente alternativa proprio come utile punto di partenza, identificandovi il ricorrere di un’opposizione – o meglio di un’ambivalenza – di antiche origini. Si tratta di verificare se e a quali condizioni possano coesistere – perché, di fatto, così è – i due volti della musica: l’illuminazione dell’interiorità umana (del compositore o dell’ascoltatore: questo è invero solo secondario) e la capacità di far risuonare il mondo stesso, di manifestarne un carattere reale.
Se alternativamente su tale duplice “potenza” si è giocata la riflessione sull’essenza della musica, nondimeno l’ipotesi dell’autrice evidenzia la ragione effettiva dell’ambivalenza nella natura stessa dell’esperienza musicale cercando di sottrarla a un’ipertrofia unilaterale, cioè come affermazione di uno solo dei due caratteri. La soluzione del dilemma, emergente già dal primo capitolo, e in seguito sempre riconfermata e arricchita di specificazioni e nuovi livelli, consiste allora nella comprensione della stessa condizione, per così dire “trascendentale”, dell’esperienza musicale umana, tra contemplazione o elaborazione di un mondo e risonanza dell’anima. Non sarebbe musica un esperire del tutto autoreferente del proprio sé da parte del soggetto, né un’organizzazione sonora puramente teorica, priva di capacità di mozione psichica. Viene così in luce il punto sorgivo del duplice carattere della musica, riconoscibile nell’esperienza sensoriale e intellettuale radicata nella costituzione dell’umano: l’indicare e il muovere.
Chiave risolutiva è la nozione di conversione, guadagnata grazie a una concezione tensiva della musica e a un’antropologia vitale dinamica: attivando un intreccio mobile di piani di esperienza, il suono musicale appare un ponte d’interiorità ed esteriorità, il segno connettivo di un’avvenuta intercettazione soggettiva del mondo, o di un irrompere delle energie naturali nel gioco mobile dell’interiorità. Ma se una conversione si realizza sempre in una musica autentica (tale dunque proprio in quanto capace di muovere, di intercettare e coinvolgere le tensioni interiori tramite la sensibilità), allora deve darsi anche un isomorfismo, una corrispondenza originaria, tra i piani dell’anima e del mondo. L’isomorfismo è al tempo stesso la condizione per comprendere e giustificare, en philosophes, la realtà vissuta della musica, salvaguardandone la peculiarità senza imporle interpretazioni fuorvianti o solo descrittive, come quella espressionista o al contrario astrattamente tecnica. Il volume si articola, pertanto, enucleando e definendo le implicazioni e le condizioni di tale conversione di piani, le categorie principali e gli approdi filosofici connessi alla scoperta dell’originario piano di comunanza tra io e mondo.
Nei quattro capitoli che scandiscono le analisi condotte converge il precipitato di diverse concezioni estetico-musicali e di nuclei problematici rilevanti: la filosofia, il sentimento, la tecnica, le atmosfere. Nel primo capitolo è affrontata la questione della ragion d’essere e della giustificazione epistemologica dell’estetica musicale, da sempre alle prese con la difficile sistemazione dell’arte dei suoni nel novero delle arti: la filosofia della musica si legittima sulla base dell’esemplarità dell’esperienza estetica musicale. Infatti, se è vero che, secondo le parole di Ernest Bloch, la musica rappresenta un “cronico imbarazzo” per il pensiero, ciò è dovuto proprio al suo essere esempio di una corrispondenza fra intelligibile e sensibile profondamente destabilizzante per la filosofia. Si tratta di riuscire a dare forma a una filosofia della musica “che dalle poetiche vuole accogliere il monito a cedere un po’ di calore, a sottrarre pathos, a coniugare immediatezza e simulazione, intuizione e strategia, vividitas e concezione, pregnanza e secchezza, ingenuità e artificio, sentimento della vita e sentimento del suono” (p. 15), fonte e forma della musica. Vita e suono, sentimento e tecnica sono i due versanti implicati nella musica, che la filosofia deve poter comprendere nel loro corrispondersi.
Nell’opera di Schiller (Lettere sull’educazione estetica dell’uomo, 1795) per la prima volta, a partire da una visione dinamica della verità, sono poste le basi per l’elaborazione di una concezione tensionale della musica, poi ripresa e precisata da Dewey, Leonard B. Meyer, Ernest Ansermet, e collegata anche a nuovi modelli di semiotica tensiva non linguistica. L’“identità di esperienza” che costituisce la musica, che non coincide né con l’evento sonoro singolo né con l’esclusivo carattere cognitivo dell’ascolto, va compresa a partire da un’identità organica situata in un campo di forze, salvaguardando “l’individualità della fonte intesa come avvenimento, senza mortificare l’apporto tensivo del soggetto, la sua attività di ascoltatore, la sua vigilanza, la sua memoria” (p. 26).
Il secondo capitolo del volume approfondisce la questione così maturata: comprendere la musica nel suo duplice carattere di intercettazione e tensione, di aderenza alla vita emotiva e di “realismo speculativo”. A ciò serve la rilettura delle pagine di Boezio, con cui l’autrice recupera il presupposto dell’esplicazione della solidarietà tra i due caratteri: “la musica mundana e humana rappresentano quell’elemento intelligibile che viene convertito grazie al numero nel sensibile” (p. 52). A una riunione dei versanti qualitativo (la percezione) e quantitativo (la musica come mathesis) lavora l’interpretazione della classificazione boeziana, per cui il calcolo è fattore di un passaggio dall’intelligibile al sensibile, dalla noesis all’aisthesis. Tale visione pensa la convertibilità dei piani senza cedere alla loro reciproca riduzione: l’idea di intercettazione di forze indica proprio, con la metafora della cattura, la simultanea possibilità del contatto del mondo e del salto dell’anima oltre di sé. Ma neanche durante la stagione rinascimentale di razionalizzazione dell’esperienza musicale, ad esempio in Gioseffo Zarlino (Le istituzioni harmoniche, 1558), e nei secoli successivi in Leibniz, Rameau, Diderot, è venuto meno il riferimento alla musica mundana, per cui “esprimere non significa più portare alla luce la storia intima dei nostri ‘io’ passati, significa piuttosto intercettare un tenor, captare uno sfondo mundano a partire da una contrazione soggettiva” (p. 60). L’espressività musicale si definisce allora come “capacità di agganciare sensibilmente e affettivamente un piano di oggettività codificabile razionalmente” (ivi), di convertire un atto soggettivo in un piano extrasoggettivo. L’idea di captazione di forze, come suggerisce all’autrice la lettura di Deleuze e Guattari (Mille piani, 1980), oltrepassa le nozioni di espressione e imitazione evidenziando un divenire-altro, non riproduzione ma “visibilizzazione” di una tecnica di mozione capace di “invocare” l’emozione.
Da qui l’autrice muove all’analisi di alcune concezioni del sentimento, maturate nell’ambito filosofico anglo-americano, come quella di Susanne Langer e Peter Kivy. Questi, opponendo alle teorie metaforica, empatica e sintomatica delle emozioni una teoria delle “emozioni musicali piene”, centrata sul valore di bellezza dell’oggetto intenzionale della musica, riporta il sentimento musicale alle caratteristiche del suono. L’empatia qualifica un’esperienza di rottura del piano di immanenza, “una polarizzazione soggettiva che rende possibile l’esperienza dell’altro da sé” (p. 90), una partecipazione “non proiettiva (a parte subiecti), ma garantita dall’intercettazione (a parte subiecti et objecti)” (p. 91). Tale interpretazione trova un’ulteriore conferma nelle teorie neuroscientifiche sulla simpatia: conoscenza e sentimento si fondano su un’originaria facultas fingendi, una simulazione fisico-motoria (embodied simulation). Elementi del rispecchiamento sono l’empatia e l’imitazione, cui si aggiunge il ritmo. Ricordando l’osservazione etimologica di Werner Jäger (Paideia. La formazione dell’uomo greco, 1934), secondo cui il termine ‘ritmo’ deriva non da rein (scorrere) ma da eryesthai (proteggere, fare da schermo), l’essenza del ritmo è rilevata non in un fluire continuo, ma in un flusso ostacolato, dunque in un vincolo, una disciplina dalla connotazione etica. Il fattore “strutturante” del ritmo evidenzia la necessità di un elemento intermediatore che sia capace di istituire l’intercettazione: piuttosto che essere rilevato nelle qualità dell’ascolto, esso emerge come schema, alternanza di contrazioni e distensioni. Il ritmo rivela così l’organizzazione di un meccanismo (una tecnica), “un’incidenza interna al supporto materiale” (p. 106), un “grado di automatismo e di ripetizione di strutture virtuali” (p. 110).
Il terzo capitolo del volume affronta così il ruolo della tecnica nell’esperienza musicale. Esclusa in quanto puramente apparente l’alternativa tra emozione e mathesis, cioè tra libero flusso del sentimento e progettualità tecnica, l’autrice affronta, in una rilettura della riflessione di Adorno, la questione della reciproca implicazione, da un lato, di una “cessione” al materiale – “l’adattamento alla rozza fisicità” dell’oggetto – e, dall’altro, della sua “catarsi nell’immagine estetica” (p. 123), con cui la capacità espressiva dello strumento è affermata insieme alla “fatalità” che sottomette il comporre all’evoluzione del proprio materiale. La forma prende così a “obbedire” alla materia; e proprio tale obbedienza svela la suprema libertà del compositore, la necessaria “malattia” che lo costringe a realizzare l’autenticità (in un contesto di massima espansione dell’industria culturale) proprio nella forma dell’alienazione. Come tentativo di fedeltà agli oneri emozionali e cognitivi, su cui si gioca forse proprio la continuità del valore culturale della musica, si presenta l’idea di atmosfera sonora di Iannis Xenakis, come modo di conversione di interno ed esterno, di condizioni psichiche e situazioni ambientali, piano dell’astrazione e della percezione, pur in una prospettiva di instabilità dell’evento sonoro e di mescolamento dei parametri classici.
L’ultimo capitolo del volume raccoglie il frutto delle riflessioni condotte con un approfondimento del concetto di atmosfera. Come aveva già notato Böhme, l’atmosfera, come spazio dotato di qualità oggettive e soggettive (quasi-oggettività), individua una sorta di “interregno” tra l’introversione, sfera dell’intimità, e l’estroversione, possibilità di un “espatrio” del soggetto da sé. Spazio quasi-oggettivo, né topos né spatium, né luogo senza metrica, né distanza misurabile in quanto omogenea, l’atmosfera è campo permeabile al sentire. Si definisce così la parentela di musica e architettura, non come modellamento di masse (in analogia alla scultura), ma come creazione e formazione di uno spazio aperto alla captazione di un significato soggettivo psichico. L’architettura manifesta sì il legame tra materia e forma, la ripetizione, la parentela col numero, la composizione, come rilevava Paul Valéry, ma si apre anche al dinamismo interiore: “la distanza è percepita a partire dal sentimento che noi abbiamo di noi stessi, dalla sensazione del nostro corpo che occupa e insieme costruisce uno spazio” (p. 168).
Nell’approccio suggerito, la musica non appare più allora solo come arte del tempo: pur implicando la dimensione temporale e mnemonica, essa si rivela dotata di una connotazione spaziale-atmosferica abitabile. Il lettore può trovare conferma, specie nello stadio finale dell’argomentazione, della fecondità teorica e poetica di una filosofia libera dal pregiudizio dell’esclusività mundana o interiore dell’esperienza musicale, a tutto vantaggio della scoperta delle solidarietà profonde che attraversano le arti, come anche della costituzione intimamente musicale della sensibilità.

Bibliografia

G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani (1980), Castelvecchi, Roma 2003.
W. Jäger, Paideia. La formazione dell’uomo greco (1934), trad. it. di L. Emery, A. Setti, La Nuova Italia, Firenze 1953.
F. Schiller, Lettere sull’educazione estetica dell’uomo (1795), trad. it. di G. Pinna, Aesthetica Edizioni, Palermo 2005.
G. Zarlino, Le istituzioni harmoniche (1558), Venezia.

Indice

Premessa
Musica e filosofia
Musica e sentimento
Musica e tecnica
Musica e atmosfere
Bibliografia
Indice dei nomi


L'autrice

Già occupatasi della poetica dell’ermetismo e della concezione della musica nel pensiero di Hegel, dal 2004 Silvia Vizzardelli insegna Estetica musicale e Filosofia della musica all’Università della Calabria. Tra le sue pubblicazioni: L’esitazione del senso. La musica nel pensiero di Hegel (Bulzoni, Roma 2000); La regressione dell’ascolto. Forma e materia sonora nell’estetica musicale contemporanea (a cura di, Quodlibet, Macerata 2002); Battere il tempo. Estetica e metafisica in Vladimir Jankélévitch (Quodlibet, Macerata 2003).

Links

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