mercoledì 19 novembre 2008

Iannotta, Daniella (a cura di), Paul Ricoeur in dialogo. Etica, giustizia, convinzione.

Effatà, Torino, 2008, pp. 256, € 13,00, ISBN 978-88-7402-415-5.

Recensione di Luca Maria Possati – 19/11/2008
Storia della filosofia (contemporanea)

“Di questo amico, in che modo accettare di parlare?”. È questa la domanda che attraversa per intero il volume Paul Ricoeur in dialogo a cura di Daniella Iannotta, una raccolta di contributi di alcuni tra i massimi studiosi e amici del filosofo francese. Come parlare di Ricoeur? Da quale punto di vista rendere un’opera tanto complessa e così poco sistematica? Cosa di essa può suscitare ancora tra i filosofi – e non solo – un dialogo fecondo?
Proprio in virtù dell’intimità degli autori con Ricoeur – che non è affatto un elemento accessorio – i saggi raccolti non si collocano in una posizione estrinseca, con l’intenzione di tracciare un commento, una ricapitolazione, un’interpretazione unitaria, di dire l’ultima parola su un “evento di pensiero” lungi dal chiudersi. Piuttosto, i contributi costituiscono esempi non alternativi di appropriazione, proseguimenti, modi di prestare ascolto a Ricoeur ridando slancio, dall’interno delle sue parole, a quella “gaiezza del pensare” che ne ha contraddistinto – in maniera mai banalmente ottimistica, anzi – l’impegno filosofico e il “gusto” intellettuale, fin dai tempi dei primi saggi dedicati al tema del volontario e dell’involontario nel segno dei tre maestri: Marcel, Jaspers e Husserl.
Il presente volume non è soltanto un esercizio di memoria collettiva. Il ricordo acquista una funzione euristica e dà a pensare. Non è un caso che il primo contributo sia un testo di Ricoeur stesso, risalente al 2003 e intitolato Memoria, storia, oblio. Sbaglierebbe chi pensasse di trovarvi una semplice trasvolata dell’opera omonima del 2000. Si tratta invece – nel perfetto stile ricoeuriano del “passo indietro”, del procedere “per riprese”, a partire dalle lacune che la riflessione lascia dietro di sé, una sorta di sottobosco inesplorato che spetta soltanto al filosofo percorrere tornando sui propri passi – di una rilettura critica degli stessi concetti che cerca, ancora una volta, di rovesciare il precedente punto di vista. Se, infatti, nell’opera maggiore uno dei temi centrali era la scrittura della storia, ora Ricoeur decide di considerare la storia a partire dalla lettura – considerazione, va detto, assente anche in Tempo e racconto, dove la teoria della lettura formulata nel terzo volume riguarda soprattutto i racconti di finzione.
Un tale rovesciamento dell’impostazione teorica provoca un contraccolpo non piccolo nei rapporti tra storia e memoria: “se la trattiamo in una maniera non lineare bensì circolare la memoria può apparire a due riprese nel corso della nostra analisi: innanzitutto, come matrice della storia, laddove ci si collochi dal punto di vista della scrittura della storia; in secondo luogo, come canale della riappropriazione del passato storico quale esso ci è riportato dai resoconti storici. Ma questo spostamento del punto di vista non implica che abbandoniamo la descrizione fenomenologica della memoria in sé, quale che sia il suo rapporto alla storia. Non potremmo parlare seriamente della riappropriazione del passato storico effettuata dalla memoria se non avessimo preliminarmente considerato gli enigmi che sovraccaricano il processo memoriale in quanto tale” (p. 23). Scrittura da cima a fondo, la storia genera a sua volta nuova scrittura: libri, articoli, carte, immagini, inscrizioni di vario tipo. In tal senso si presta alla lettura, alla ricezione da parte di una memoria viva, in contatto con le problematiche di un presente incerto. “Proprio in questa fase – afferma Ricoeur – la storiografia, nel senso pieno del termine, può istruire la memoria. La congiunzione della scrittura e della lettura si ritrova nell’esperienza condivisa del racconto; anche la storia economica o demografica descrive cambiamenti, cicli, sviluppi che sono raccontati; e questo implica dei vincoli narrativi per permettere allo storico di fornire una leggibilità al testo e una visibilità agli avvenimenti che esso riporta, talvolta a detrimento della complessità e dell’opacità del passato storico” (p. 27).
E tuttavia, la memoria istruita dalla storia suscita tre problemi. Anzitutto, i possibili scontri tra gli scopi perseguiti dalla memoria, a livello personale o collettivo, e quelli perseguiti dalla storia. È vero: quest’ultima copre un arco di tempo ben più vasto del primo e apre molte diverse prospettive sugli avvenimenti. Ma c’è di più. C’è la memoria ferita dalla storia, quella memoria che chiede rispetto e che impone alle nuove generazioni – spesso estranee agli avvenimenti in questione – il dovere di ricordare bene. Da un lato, l’uso della comparazione in storia, dall’altro, l’affermazione dell’unicità delle sofferenze subite dalle vittime di una comunità o di un gruppo. E ancora: al di sopra della dimensione critica si trova quella che Marc Bloch chiamava la “carne umana”, una eco lontana, qualcosa che impone un’istanza morale più forte. È la giustizia dovuta alle vittime, alla quale sono chiamate a rispondere tanto la storia quanto la memoria, se non entrambe, unite in un comune sforzo. Di qui, la trasposizione ricoeuriana di alcune categorie freudiane: lavoro della memoria, lavoro del lutto, dovere di memoria, “il vantaggio di questo accostamento è di permettere di includere la dimensione critica della conoscenza storica nel cuore del lavoro di memoria e del lutto” (p. 29).
Il terzo problema riguarda l’oblio. È strettamente legato alla traccia, in rapporto alla quale avanza la minaccia perenne della distruzione, della cancellazione. Ma presenta anche un lato positivo, attivo, nel senso che l’oblio può anche essere inteso come una condizione della buona rimemorazione, della “memoria felice”. Se ci ricordassimo di tutto – alla maniera del Funes di Borges – non ci sarebbe ricordo di nulla o, quantomeno, i nostri ricordi diverrebbero fantasmi, ossessioni, minacce alla vita. L’oblio ci protegge dal pericolo di un mondo “sovraccarico”. E inoltre, l’oblio in una certa misura è connaturato alla funzione narrativa, se è vero che “i ricordi sono in qualche modo racconti” e che “i racconti sono necessariamente selettivi” (p. 29). È anche vero che questa situazione costituisce la precondizione della ideologizzazione della memoria, delle possibili manipolazioni delle tracce mnestiche a livello collettivo. Si pone allora l’ulteriore problema dell’abuso dell’oblio.
Tale approdo del discorso fa cogliere subito un altro aspetto decisivo della prospettiva filosofica generale di Ricoeur: l’ermeneutica come filosofia pratica, come ontologia della reciprocità, orizzonte normativo di una società giusta. In tal senso l’ermeneutica rappresenta al contempo la morte del personalismo e il ritorno della persona, la persona da ripensare, da preservare, da liberare. Come scrive Giulia Paola di Nicola, “l’ottica di Ricoeur non è solo un notevole richiamo allo spessore etico della relazione interpersonale in generale, ma anche la denuncia pratica di quelle relazioni diseguali che mettono in rapporto le differenze in maniera gerarchica, quali quelle tra diverse razze, religioni, culture, generi, differenze di fatto vissute in termini di disuguaglianza” (p. 49). L’interpretazione deve farsi organo di un discorso sulla persona che si spinga oltre ogni utopia e idealizzazione. Un tale richiamo alla “concretezza esistenziale di ciascuno”, suggerisce Giulia Paola di Nicola, “si traduce nell’attenzione a liberare il personalismo dalle cadute spiritualiste, maschiliste, etnocentriche, in tutti quegli universalismi contrapposti che contraddicono il valore etico sociale di una filosofia impegnata” (p. 49). Per Ricoeur la reciprocità è la condizione della vita sociale, nel senso di una società aperta, come dimostra anche la sua definizione di etica. Ma questo non va da sé: Ricoeur non è certo un pensatore irenico. Reciprocità non significa pace a tutti i costi, assenza di conflitto totale e definitivo. Al contrario, la reciprocità, come scrive ancora Giulia Paola di Nicola, “sottolinea che la differenza come conflitto può essere coniugata fruttuosamente con la differenza relazionale” (p. 52). Non è possibile vivere insieme agli altri “senza polemos, sulla pura scia di una empatia naturaliter identificante o di una società spontanea (Rousseau)” (p. 52). È doveroso però tenere sotto controllo la conflittualità.
Un’etica laica, quella di Ricoeur, che rompe con ogni tentativo di riduzione dell’etica a un sapere scientifico e tecnico e che supera – come dimostrato da Peter Kemp nel suo saggio Il fondamento dell’etica alla luce dell’etica del secolo di Ricoeur – le idee di due illustri predecessori, Durkheim e Bergson. L’approdo etico dell’ermeneutica ricoeuriana è confermato anche dalla struttura dei tre saggi che compongono la “piccola etica” di Sé come un altro e che riflettono perfettamente la dinamica dell’interpretazione testuale (appropriazione-distanziazione-appropriazione). Ricoeur disegna un movimento circolare che procede dall’etica, nel senso dell’auspicio della vita buona con e per gli altri all’interno di istituzioni giuste alla necessità di una morale – il vaglio dell’obbligazione – fino alla legittimità del ritorno della norma all’etica, allorché la norma conduce a conflitti per i quali non v’è altra soluzione che una saggezza pratica.
Alla questione, ancor più complessa, della connessione tra l’identità e il riconoscimento è dedicato un altro saggio del volume, quello di Francesca Brezzi, intitolato Riconoscimento e dono, una tessitura complessa, che ripercorre il cammino dell’ultimo Ricoeur dal riconoscimento di sé al riconoscimento reciproco, fino alla testimonianza del dono, a confronto con aporie costitutive, tra le quali in primo luogo la dissimmetria originale tra l’idea dell’uno e dell’altro. La domanda centrale è se sia possibile una forma di riconoscimento sociale al di fuori della lotta, al di fuori del classico schema della dialettica servo-padrone. A tal proposito Ricoeur individua alcune esperienze particolari, che definisce “stati di pace” e che identifica in tre modalità: amore, diritto e stima sociale. Il momento del dono sorge proprio a questo punto. C’è quasi un filo teso che unisce l’ermeneutica dell’io sono del primo Ricoeur alle riflessioni sul dono e sul perdono che chiudono La memoria, la storia, l’oblio e i saggi di Ricordare. Dimenticare. Perdonare. Il dono è il vertice del riconoscimento, dell’attestazione, dell’ipseità.

Indice

Paul Ricoeur: un maestro per i nostri inquieti tempi, di Daniella Iannotta
PARTE PRIMA: PERCORSI DELLA MEMORIA
Memoria. Storia. Oblio, di Paul Ricoeur
Paul Ricoeur: etica e interpretazione, di Marcelino Agís Villaverde
A proposito della reciprocità in Paul Ricoeur, di Giulia Paola Di Nicola
Per amore di giustizia, di Claudia Dovolich
Il fondamento dell’etica alla luce dell’etica del secolo di Ricoeur, di Peter Kemp
PARTE SECONDA: LO SPAZIO DEL RICONOSCIMENTO/RICONOSCENZA
La condizione di straniero, di Paul Ricoeur
Riconoscimento e dono, una tessitura complessa, di Francesca Brezzi
L’unità dell’opera di Ricoeur: l’homme capable, di Domenico Jervolino
L’etica della medicina e la bioetica fra sollecitudine e giustizia nel pensiero di Paul Ricoeur, di Maria Tersa Russo
PARTE TERZA: LA GIUSTIZIA E LA GIUSTEZZA DELL’AZIONE
Prima della giustizia non violenta, la giustizia violenta, di Paul Ricoeur
Ti riconosco capace. Riconoscimento e teoria dell’azione in Paul Ricoeur, di Fabrizia Abbate
Paul Ricoeur: il senso tragico della “via lunga”, di Luigi Aversa
Dal paradosso della sofferenza alla testimonianza nel dolore, di Giovanna Costanzo
La dialettica fra amore e giustizia, di Attilio Danese
La giustizia in tre dimensioni: distributiva, correttiva e ricostruttiva, di Antoine Garapon
Lavoro di lutto e lavoro di memoria: la funzione “pontica” della narrazione, di Giuseppe Martini
POSTFAZIONI
Come in un’eco, di Catherine Goldenstein
La gaiezza del pensare. Paul Ricoeur e l’essere-per-la-vita, di Daniella Iannotta


La curatrice

Daniella Iannotta è docente di Etica della Comunicazione e di Filosofia del linguaggio presso l’università degli studi “Roma Tre” e di Semiotica presso l’università Maria SS. Assunta (Lumsa) di Roma. A curato numerose traduzioni delle opere di Ricoeur.

Links

Fonds Ricoeur: www.fondsricoeur.fr

Nessun commento: