martedì 10 febbraio 2009

Perullo, Nicola, L’altro gusto. Saggi di estetica gastronomica.

Pisa, ETS, 2008, pp. 152, € 18,00, ISBN 978-884671996-6.

Recensione di Alfonso Ottobre – 10/02/2009

Estetica, Filosofia italiana

Nello Standard Of Taste, uno dei testi capitali dell’estetica filosofica, David Hume, nel tentativo di definire adeguatamente la squisitezza del gusto, trova utile ricorrere ad un celebre esempio tratto dal Don Quixote di Cervantes; si tratta del noto passo in cui Sancio racconta dei suoi parenti infallibili degustatori, capaci di riconoscere il sapore del cuoio e del ferro in una botte di vino sul fondo della quale vi è effettivamente una vecchia chiave attaccata ad una striscia di cuoio. Hume ritiene che sia possibile trarre una lezione filosoficamente interessante da questo esempio: che negli oggetti vi siano certe qualità capaci ‘per natura’ di suscitare in noi sentimenti come quello della bellezza, e che la squisitezza del gusto (delicacy of taste) è esattamente la capacità, direttamente derivante da una corretta disposizione del nostro apparato percettivo, di cogliere quelle qualità. È evidente che il passaggio dall’esperienza della degustazione del vino a quella dell’esperienza della bellezza si basa su un’assunzione forte, che Hume infatti non manca di sottolineare, vale a dire, “la grande rassomiglianza fra il gusto spirituale e quello corporeo”. Assunzione talmente problematica da rappresentare uno dei grandi temi del dibattito estetologico, dibattito che ora si arricchisce di un nuovo contributo costituito dal libro di Nicola Perullo, L’altro gusto, il cui merito principale è, a mio avviso, proprio quello di mostrare da un lato l’attualità delle questioni poste in gioco attraverso il tema del gusto, e dall’altro la necessità di guardare a tali questioni con uno sguardo nuovo che sappia liberarsi da alcuni ricorrenti pregiudizi filosofici e che invece si sappia servire di conoscenze empiriche e ‘mondane’, nonché di strumenti concettuali meno frequentati.
I cinque saggi raccolti in questo volume sono definiti di “estetica gastronomica”. Di cosa si tratta? La definizione la fornisce l’autore nella prefazione: “l’estetica gastronomica è lo studio, la riflessione, sull’esperienza degli atti e degli oggetti alimentari” (p. 16). Dalla definizione ricaviamo subito anche cosa non vuole essere l’estetica gastronomica, vale a dire un discorso sul cibo come rappresentazione, “sulla mise en place delle pietanze e sulle qualità visive del cibo” (p. 17), così come siamo in grado di capire anche a quale tradizione estetica si intenda fare riferimento, non a quella indissolubilmente legata alla filosofia dell’arte, bensì a quella che vede l’estetica come “scienza della sensibilità e della prassi” interamente devota “all’ambito dell’esperienza e, dunque, anche dell’esperienza del cibo” (p. 17). La complessità di tale esperienza che, come evidenzia Perullo, “si dispiega in un intreccio complesso: quello tra piacere, edonismo, corpo, fisiologia, necessità, cultura, educazione, società, storia” (p. 17), quasi reclama una riflessione di tipo estetologico, lasciando presagire la possibilità di guardare a temi portanti dell’estetica di ogni tempo, quali il giudizio e la valutazione qualitativa, attraverso un’analisi della struttura dell’esperienza che privilegi i momenti relazionali e ponga le classiche opposizioni dualistiche (soggetto/oggetto, interno/esterno, pubblico/privato etc.) decisamente sullo sfondo.
Se è vero che i saggi di questo volume possono essere posti sotto la categoria generale dell’estetica gastronomica, va però sottolineato come in tale ambito generale essi ruotino soprattutto intorno al tema del gusto, che è una parte ben specifica del discorso gastronomico. Rispetto a questo tema di fondo, il primo saggio, “Multigusto. Per un’estetica gastronomica”, ha una doppia e fondamentale funzione: la prima è quella di inquadramento storico-critico, indispensabile per riannodare i fili di un discorso che attraversa l’intera storia dell’estetica; la seconda invece è quella di giungere, facendo leva su alcune idee di James Gibson e Philippe Descola, a delineare un orizzonte teorico in grado di ospitare una nozione di Gusto che non consideri quest’ultimo, “riduttivamente, un senso, ma un intero sistema percettivo, operante su molteplici piani e significati in base alle funzioni, agli usi e alle pratiche cui esso assolve” (p. 49). Il saggio seguente, intitolato “Resistenza e relazione: del gusto”, è forse quello che presenta il taglio più spiccatamente teoretico. Qui Perullo affronta direttamente una delle questioni più dibattute intorno al gusto, vale a dire la sua collocazione problematica all’interno della sfera della pura soggettività, e la sua proposta ha il sapore della sfida: se è vero infatti che il gusto possiede una intransitività strutturale, che opera sia a livello di esperienza sensoriale individuale sia a livello di sapere collettivo, è altrettanto vero che esso “per la sua comprensibilità, per la comunicabilità e condivisione che, sul piano intersoggettivo e sociale, esso sviluppa, ha costantemente bisogno di appoggiarsi, di essere tradotto e dispiegato… attraverso processi di metaforizzazione e di analogizzazione continui” (p. 56). Ma ciò, nella strategia dell’autore, significa portare fino alle estreme conseguenze l’ambiguità di tali caratteristiche (intransitività e metaforizzazione) osservando come esse operino sempre e fin dal principio, sia sul piano individuale che su quello collettivo, “sia nel sapore che nel sapere” (p. 56). Si tratta a questo punto di guardare al significato dell’intraducibilità dell’esperienza del gusto con occhi nuovi: non come il segno di un rapporto conoscitivamente ‘povero’ con il mondo, ma come l’indicazione di una possibilità esperienziale genuinamente intersoggettiva, anzi meglio, esemplarmente relazionale, che mostri, senza ricorrere a comode semplificazioni, tutta la complessità di un rapporto dinamico e interattivo in grado di dar conto tanto della “condivisione interpretativa”, quanto dei “livelli di imprevedibilità e di attrito, di resistenza e di non condivisione” (p. 77).
Si è detto che i primi due saggi rappresentano la parte teoreticamente più forte del libro; tra di essi e gli ultimi due, “Etica, estetica e gastronomia” e “Intrecciare cesti, accarezzare patate”, che sono in qualche modo una testimonianza di come certi argomenti non possano essere affrontati adeguatamente senza ricorrere a testimonianze e conoscenze acquisite direttamente ‘sul campo’, troviamo il contributo dedicato a Hume e al suo Standard of Taste, al quale ho già fatto riferimento in apertura. Il saggio di Hume si presta particolarmente bene ad essere analizzato secondo la prospettiva che può essere offerta da un’estetica che si definisca gastronomica; il testo, com’è noto, presenta più di un riferimento al gusto ‘corporeo’ come elemento di raccordo per comprendere il profilo concettuale del più nobile gusto ‘filosofico’. Mi sembra che in qualche modo Perullo rintracci in Hume una strategia simile a quella da lui stesso messa in atto, vale a dire la sottolineatura della peculiarità del gusto e la conseguente affermazione di un suo statuto particolare che evidenzi le caratteristiche principali dei giudizi di valore su di esso fondati, caratteristiche che esaltano la differenza di un modello regolativo che non conosce principi sempre validi, ma che invece si costruisce sempre di nuovo sulla doppia base della sensibilità individuale e del confronto sociale. Forse in questa lettura la carica scettica del saggio di Hume viene un po’ troppo ridimensionata, ma resta il fatto che le considerazioni dell’autore non vanno mai contro il testo stesso.
L’altro gusto. Saggi di estetica gastronomica è insomma un libro interessante che mostra con eleganza e passione la capacità straordinaria dell’estetica filosofica di abbracciare con consapevolezza teorica porzioni sempre più vaste della nostra cultura e della nostra esperienza. Che la nostra capacità di fare esperienze estetiche sia profondamente radicata nel nostre essere biologico e che ogni esperienza qualitativamente qualificata sia degna della nostra attenzione filosofica sono d’altronde elementi di una lezione che molti di noi hanno imparato da un grande filosofo del secolo scorso, in questo volume mai nominato eppure spesso ‘presente’, John Dewey; quando incontriamo un libro in grado di ravvivare quella lezione non possiamo che essere grati a chi lo ha scritto.

Indice

Prefazione.
Multigusto. Per un’estetica gastronomica.
Resistenza e relazione: del gusto.
Hume e la critica del gusto.
Etica, estetica e gastronomia.
Intrecciare cesti, accarezzare patate.


L'autore

Nicola Perullo insegna Estetica all’Università degli studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (Cuneo). Tra le sue pubblicazioni in volume: Bestie e bestioni. Il problema dell’animale in Vico (2002), Per un’estetica del cibo (2006), Cultura e storia della gastronomia (2007). Ha pubblicato vari saggi su Vico, Wittgenstein, Sellars e Derrida; scrive su numerose guide e riviste del settore enogastronomico.

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