lunedì 9 marzo 2009

Mordacci Roberto, Ragioni personali. Saggio sulla normatività morale.

Roma, Carocci, 2008, pp. 208, € 19.30, ISBN 9788843046683.

Recensione di Gianluca Verrucci - 09/03/2009

etica – normatività – ragionamento pratico – storia dell’etica

A dispetto dell’esiguo numero di pagine, il saggio di Mordacci discute gran parte dei problemi e delle posizioni teoriche che animano il dibattito attuale sui fondamenti della morale. Oltre a ciò, il saggio include una snella presentazione delle tesi dei principali esponenti della tradizione filosofica (nell’ordine, Aristotele, Hume, Kant, Hobbes, Hegel e Nietzsche), che vengono poi sapientemente utilizzate in sede di discussione teorica.

In ciò che segue vorrei concentrarmi sullo spessore teorico del lavoro, tralasciando, invece, la pur pregevole ed efficace ricostruzione storica. Anzitutto è opportuno individuare l’orizzonte entro cui l’autore svolge le proprie considerazioni. Il tema della normatività dell’etica, o dell’autorità delle considerazioni morali, non può essere affrontato da un punto di vista strettamente epistemologico. In etica, infatti, non si tratta di conoscere principi e applicarli mediante l’azione alla realtà, ma di decidere cosa fare sulla base di valutazioni che, per essere efficaci, devono essere intrinsecamente valide (requisito di praticità). Il problema normativo ha senso e può essere posto, dunque, esclusivamente dal punto di vista del soggetto morale che mediante la propria partecipazione all’agire definisce se stesso e la propria identità (requisito identitario). La definizione del soggetto o agente morale quale “agente intenzionale impegnato nella costruzione della propria identità personale in base a buone ragioni” (p. 17) è il punto di partenza imprescindibile per un corretto approccio al problema normativo. Secondo la prospettiva kantiana favorita dall’autore (condivisa assieme ad alcuni dei teorici oggi più influenti come Christine Korsgaard e Thomas Scanlon) l’agire morale è determinato da ragioni, ovvero da considerazioni che meritano l’impegno dell’agente (e che sono pertanto anche sempre ragioni personali) e che questi può giustificare ad altri come motivi universalmente validi (requisito normativo).

Nel dibattito contemporaneo alcune delle posizioni in campo faticano a rintracciare il giusto equilibrio fra i requisiti necessari a rappresentare il fenomeno della normatività. Di particolare interesse è la critica sollevata dall’autore contro il "naturalismo neoaristotelico” di Philippa Foot. In La natura del bene (il Mulino, 2004), la Foot, richiamandosi ad Aristotele, propone di considerare la bontà del volere in stretta relazione con le caratteristiche essenziali della vita umana. I contenuti dell’azione morale sarebbero così da individuare nei beni che garantiscono l’eccellenza di questa particolare forma di vita. Sebbene la Foot riformuli il naturalismo in chiave antisoggettivista, in particolare evitando gli errori dell’espressivismo, secondo Mordacci anche questo tipo di naturalismo non riesce a render conto del carattere normativo dell’etica in quanto fondato sulla libertà del volere. Secondo il nostro, infatti, far dipendere la normatività della ragione dall’adeguamento a certi contenuti naturali non solo non può fare a meno di includere una visione strumentalistica della razionalità, ma non è neppure in grado di spiegare perché dovremmo volere adeguarci a quel modello di eccellenza. La normatività del volere non dipende dal riconoscimento di stati di cose o beni esterni al volere stesso, ma dall’operatività interna della ragione in quanto capacità di autodeterminazione e autocostruzione del soggetto morale. Ciò che è essenziale per il soggetto, e per la definizione della sua identità, non è il rapporto con beni estrinseci, ma la coerenza pratica del volere stesso che, in una prospettiva kantiana, assume i requisiti della non-contraddizione. Mentre il riferimento a beni e scopi estrinseci, data la libertà, è sempre revocabile, altrettanto non può avvenire nel caso della non-contraddizione pratica: il soggetto morale non può costituirsi in quanto tale se non rispettando questo vincolo, che si delinea pertanto come l’unico vincolo davvero normativo.

Da rilevare è anche la critica all’intuizionismo contemporaneo (nelle forme che assume in Robert Audi, John McDowell e Jonathan Dancy). Il punto dolente del carattere di autoevidenza che avrebbero i giudizi morali sta nel comprendere il riferimento del soggetto al dovere in termini meramente teoretici. Se ciò che pone in relazione alle azioni doverose è un atto intellettuale diviene poi arduo riuscire a mantenere il requisito di praticità delle prescrizioni. Il semplice riconoscimento cognitivo di una qualità deontica non giustifica la normatività del giudizio che su di esso si pretende di fondare. Allo stesso modo, per l’intuizionismo, è estremamente difficile offrire una descrizione plausibile della motivazione. Se il compito della ragione consiste nel riconoscere qualità e proprietà, la spinta motivazionale ad agire non potrà che provenire dall’esterno della ragione stessa, da presunte contingenze che indeboliscono, da un lato, l’oggettività e l’universalità dei doveri, dall’altro, la razionalità non-strumentale delle richieste morali. Rileva giustamente Mordacci che in posizioni come quelle intuizioniste, costrette ad accettare la tesi esternalista nel rappresentare la motivazione, l’azione specificamente morale risulta sempre eteronoma.

In un’ottica kantiana, il requisito di normatività è garantito dalla struttura della razionalità pratica fondata sulla non-contraddizione del volere. L’uomo agisce “sotto l’idea della libertà”, ossia, la volontà si autodetermina, ma sulla base di una legislazione universale. Il fondamento della normatività sta nel volere che, in quanto causalità legale, non può contraddire se stesso senza perdere la propria libertà. Questa caratterizzazione del volere soddisfa pure il requisito identitario. Un soggetto che voglia in maniera contraddittoria non può costituirsi in quanto agente, dunque nemmeno possedere quell’unità cui diamo il nome di identità personale o carattere. Da questa prospettiva Mordacci critica efficacemente anche l’interpretazione costruttivista di Kant, in particolare quella della Korsgaard, che pretende di fondare il carattere incondizionato dell’etica sull’umanità intesa come vincolo del volere. Tale proposta, infatti, resterebbe sensibile alla critica di Nietzsche secondo il quale “l’uomo deve essere superato”: allo scettico che rifiuta il valore dell’umanità l’etica non potrà che apparire come una pura mistificazione. Abbandonato il proceduralismo è allora necessario volgersi ad una concezione più radicalmente trascendentale che riconsideri il valore della dottrina del Faktum. L’evidenza della legge morale assicura la realtà della libertà (sebbene intesa in senso trascendentale); ma questa evidenza non è il frutto di un atto quasi-percettivo basato sull’intuizione, quanto di un atto riflessivo che si rende consapevole del principio della non-contraddizione del volere, senza il quale la stessa libertà non può divenire effettiva in un agente. “La realtà che il Faktum mette in luce è nient’altro (e niente di meno) che la realtà del logos nel suo operare pratico e perciò nel suo darsi concretamente in un soggetto capace di determinarsi autonomamente” (p. 194). Di qui il riferimento al concetto di persona come soggetto che attraverso l’azione può concepire la sua stessa realtà come compito e impegno sempre aperto allo scambio di ragioni e alla giustificazione dinanzi ad altri.

Indice

Introduzione
1. Essere un soggetto e agire per buone ragioni
2. Ragioni, razionalità e moralità
3. Aristotele: «agire secondo ragione» per essere felici
4. Hume: approvare le azioni virtuose
5. Kant: l’autonomia del volere come fonte della normatività morale
6. Hobbes: la meccanica delle passioni
7. Hegel: la morale della storia
8. Nietzsche: le ragioni della volontà di potenza
9. Natura, intuizioni, sentimenti e procedure. Il dibattito contemporaneo
10. Ragioni personali, realismo morale e pratiche di personalizzazione
Bibliografia
Indice dei nomi


L'autore

Roberto Mordacci insegna Filosofia Morale e Etica e soggettività presso la Facoltà di Filosofia dell’Università San Raffaele di Milano. È membro del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Fra le sue pubblicazioni Una introduzione alle teorie morali (Feltrinelli, Milano 2003), Salute e bioetica (con G. Cosmacini, Einaudi, Milano 2002), Bioetica della sperimentazione (Franco Angeli, Milano 1997) e La vita etica e le buone ragioni (Bruno Mondadori, Milano 2007). Ha inoltre curato e tradotto Il giusto e il bene di W.D. Ross (Bompiani, Milano 2004).

Link

La pagina dell’autore sul sito dell’Università Vita e Salute del San Raffaele di Milano
Intervista all’autore

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