martedì 28 aprile 2009

Paganini, Gianni, Introduzione alle filosofie clandestine.

Bari, Editori Laterza, 2008, pp. 181, Euro 12,00, ISBN 978-88-420-8754-0

Recensione di Gennaro De Falco – 28/04/2009

Storia della filosofia

Questo intenso lavoro di Gianni Paganini illustra un genere di comunicazione filosofica molto particolare che a molti potrebbe risultare sconosciuto: il manoscritto clandestino.
La fioritura di tale genere risale all’età moderna e prosegue sino agli anni trenta del Settecento: sono illustrate nel testo, che richiede certamente una conoscenza ancorché non approfondita dei filosofi più importanti di quel periodo, alcune delle opere caratterizzanti questo singolare approccio alla filosofia.
L’esigenza di una filosofia clandestina nasce dai timori di persecuzione legati ad un’epoca in cui non era consentita la libertà d’espressione, tant’è che alcuni studiosi esprimono la convinzione che vi sia la necessità di “leggere tra le righe” (p. 3) anche alcune opere fondamentali del pensiero moderno in quanto esse nasconderebbero “un insegnamento esoterico sotto il velo di una forma essoterica” (p. 3).
L’anominato del genere clandestino permette all’autore di esprimere, senza alcun artifizio, le sue posizioni proteggendolo nel contempo da eventuali ostilità da parte della Chiesa o della nobiltà.
L’opera clandestina presenta uno stile di composizione articolato in collage che alterna alle considerazioni dell’autore opportune citazioni di testi antichi, atti a suffragare le tesi esposte, talvolta con il rischio di manipolare la stessa fonte citata.
Uno dei temi ricorrenti in questi manoscritti è quello della religione: è così, ad esempio, per il Theophrastus redivivus (pp. 8-25) nel quale, tra l’altro, viene esaminata l’origine delle opinioni teologiche. È la ragione umana ad averle escogitate dando ad esse una specificazione politica, così ponendo a freno la libertà di comportamento di ogni individuo insita nello stato di natura.
La religione pertanto è strumento di potere e di governo dei più forti, i sacerdoti contribuendo a tale inganno. In questa situazione, che per l’autore del Theophrastus risulta irreversibile, il filosofo non può far altro che fingere di credere a tale inganno, coltivando in segreto la perfezione coincidente con “il ritrovamento della norma naturale” (p.15).
Già emerge nel manoscritto citato l’esigenza di contrapporre ai dogmi dei culti la religione naturale: nel Colloquium Heptaplomeres (pp. 25-39), attribuito al giureconsulto Jean Bodin, il fine perseguito è proprio quello di dimostrare l’ideale inclusivo della religione naturale contrapposto all’esclusività degli altri culti. Tale compito, nella finzione della narrazione filosofica, è affidata a sette personaggi le cui posizioni si confutano a vicenda.
Benché i dialoghi portino alla deduzione che i culti siano finzioni intolleranti a tutto ciò che è diverso, il fine ultimo dell’opera, certamente più pragmatico, è quello di dimostrare l’utilità di “una coesistenza pacifica tra religioni che conservino ciascuna per sé i propri contenuti, mantenendosi contigue ma separate” (p. 31).
Paganini prosegue il suo contributo ponendo l’attenzione sul mutamento nelle prospettive filosofiche della letteratura clandestina nella metà del Seicento, quando cominciarono a circolare le dottrine cartesiane e post-cartesiane.
Tra i manoscritti che risentono di tali influssi è analizzato il Doutes sur la religion proposés a Mrs les docteurs en Sorbonne nel quale ritorna ad essere trattato il rapporto tra uomo e religione. Se da un lato si tende ad evidenziare come la predicazione di coloro che sono definiti “legislatori religiosi” – quali Gesù e Maometto – non può da sola essere sufficiente a dimostrare la verità della religione, dall’altro emerge la convinzione dell’esistenza di un mondo eterno dove però non vi è l’intervento di alcun dio.
Ancora, vi è un’altra opera, dal titolo La Religion du Chrétien conduit par la Raison Eternelle, che tende a descrivere un sistema di religione naturale totalmente disgiunto da ogni culto: in essa è interessante il fine di dimostrare che “virtù e vizio sono rispettivamente ricompensa e punizione a se stessi, già in questa vita” (p. 63), con ciò volendo confutare le religioni fondate sulla punizione divina che condanna l’uomo vizioso nel momento del trapasso dalla vita alla morte.
Tra gli autori che influenzano questa nuova fase della letteratura clandestina sono da annoverare Hobbes e Spinoza: le loro tesi, incompatibili con la dottrina cristiana, sono talvolta riutilizzate in modo originale come nel caso dell’Esprit de Monsieur Benoît de Spinosa dove si afferma l’impossibilità che i precetti cristiani siano praticati da persone comuni (p. 83), ad eccezione di coloro che furono i primi discepoli di Gesù del quale, inoltre, viene messo in evidenza il minor successo rispetto ad altri profeti come Maometto.
Della lezione di Spinoza risente anche un’altra opera che si colloca oltre gli inizi del Settecento: nel Symbolum, infatti, si tenta di definire il bene ed il male senza cadere nella trappola della religione, tant’è che anche le parole di Cristo sono equiparate ad un “semplice messaggio etico” (p. 90).
Un altro filosofo, Malebranche, sempre agli inizi del Settecento, influenza la letteratura clandestina: le sue teorie, come capitato a Cartesio e Spinoza, sono rielaborate in un potente razionalismo anticristiano (p. 112).
Su questa scia, lo sviluppo della letteratura clandestina arriva sino alla negazione dell’esistenza di Dio: è ciò che avviene in un’opera datata tra il 1720 e il 1730 dal titolo Lettre de Thrasybule à Leucippe. L’analisi della Lettre si focalizza sull’uomo e sul rapporto che esso ha con la conoscenza: infatti, quando questi si perde “nello spazio delle finzioni immaginarie” (p. 135) rischia di distaccarsi dall’esperienza reale, la quale non consente di giungere ad una causa disgiunta dai suoi effetti. Per questo motivo è impossibile che esista una causa universale, la quale risulta il solo frutto dell’immaginazione dell’uomo e della sua esigenza di porre un termine ad un’analisi che, diversamente, non avrebbe mai fine.
Pertanto, l’unica chiave di lettura da applicare alla causalità è offerta, secondo l’autore della Lettre, dalla teoria empiristica delle idee, secondo la quale “ogni causa si presenta volta a volta come la causa di un effetto o come l’effetto di un’altra causa” (p. 137), senza che debba arrestarsi questa sequenza, potenzialmente infinita.
Sempre sulla scia della negazione di un essere supremo si colloca anche il Mémoire attribuito a Jean Meslier, curato di un piccolo paese, per il quale, essendo tutte le cose non “altro che diverse modificazioni dell’essere” (p. 143), non può esistere un creatore.
Il Mémoire si colora anche di connotati politici in quanto condanna i privilegi della nobiltà e del clero che vivono a danno di intere popolazioni lasciate nella miseria e nell’ignoranza, tant’è che la proprietà privata è attaccata come un abuso che dovrebbe lasciar spazio ad una sorta di comunismo in cui i componenti di un gruppo - sia esso villaggio, parocchia o città - possano godere dei beni allo stesso modo.
Le ultime pagine del testo (pp. 149-167) pongono l’attenzione sul valore e sull’importanza della letteratura clandestina che, per alcuni critici, va ben oltre il Settecento.
Di certo le radici della filosofia clandestina possono essere individuate prima ancora del Seicento, nella cultura rinascimentale ed umanista nella quale già erano presenti i sintomi dell’incredulità nei confronti di determinati sistemi precostituiti.
Il grande tributo da riconoscere agli autori delle opere clandestine – molti dei quali sono stati individuati, grazie ad attenti studi, molti decenni dopo la realizzazione e la messa in circolo delle loro opere – è la capacità di proporre, e finanche rielaborare, dottrine filosofiche pervase da una originalità critica tendente a distruggere credenze radicate nei secoli e di cui, difficilmente, sarebbe stato possibile offrire un’altra chiave di lettura.

Indice

Premessa
I. Le origini della filosofia clandestina
1. Scrittura e persecuzione
2. Il Theophrastus redivivus e il paradigma della saggezza clandestina
3. La denuncia degli apologisti
4. Il deismo clandestino
5. La letteratura libertina fra autocensura e clandestinità
II Tra Seicento e Settecento
Libertinismo, naturalismo e deismo: legge di natura, stato di natura e religione naturale
Religione naturale e spinozimo clandestino
Spinozismo e libertinismo: L’Esprit de Spinosa
III Scettici clandestini
Tra Pirrone e Spinoza: i modi della scepsi clandestina
Tra Pascal e Bayle: L’Art de ne rien croire
IV Essere deista o ateo all’inizio dei Lumi
Il deismo dopo Malebranche: Robert Challe
La teologia eretica del Traité de l’infini crèè
Du Marsais e l’Examen de la religion
La critica della causa universale: Nicolas Fréret
La metafisica atea dell’essere in generale: Jean Meslier
V L’eredità della stagione clandestina
1. Letteratura clandestina e Radical Enlightenment
2. I Philosophes e i clandestini
3. Ateismo critico e atesimo dogmatico
Bibliografia
Indice dei manoscritti


L'autore

Gianni Paganini è Professore Ordinario di Storia della Filosofia presso l’Università del Piemonte Orientale. Il suo principale ambito di ricerca è la storia della filosofia moderna. In particolare, si è interessato della filosofia di Pierre Bayle, a cui ha dedicato un libro (Analisi della fede e critica della ragione nella filosofia di Pierre Bayle, Firenze 1980), della cultura filosofica libertina e clandestina tra Seicento e Settecento (si vedano l’edizione prima e critica del manoscritto clandestino Theophrastus redivivus, Firenze 1981-82 e il volume La philosophie clandestine à l’âge classique, Paris 2005). Altre opere: Scepsi moderna. Interpretazioni dello scetticismo da Charron a Hume, Cosenza 1991, pp. 528; Introduzione alle filosofie clandestine, Roma-Bari 2008, pp. 182; Skepsis. Le débat des modernes sur le scepticisme, Paris 2008, pp. 448.

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