domenica 20 settembre 2009

Casetta, Elena, La sfida delle chimere. Realismo, pluralismo e convenzionalismo in filosofia della biologia.

Milano, Mimesis, 2009, pp. 170, € 15, ISBN 9788884838537

Recensione di Antonio Allegra – 20/09/2009

Filosofia della scienza (biologia), Filosofia analitica

Questo valido libro di Elena Casetta affronta meritoriamente un tema, o un incrocio di temi, al centro della filosofia della biologia contemporanea (intesa, quest’ultima, quale branca della filosofia analitica). Il tema è quello delle specie: dello statuto ontologico del concetto di specie, per essere più precisi. Il libro dà conto, in termini sintetici ma sufficientemente completi, dell’ampio dibattito che ha luogo su questo problema nel contesto analitico. Occorre subito notare che chi se ne occupa tende a una specializzazione piuttosto forte che separa la filosofia analitica della biologia dalla filosofia analitica tout court: avere come autori di riferimento Mayr, Hull, o Ghiselin non è la stessa cosa che rifarsi a Putnam, Kripke, o Lewis. Sul punto tornerò in seguito.
La questione delle specie può nella maniera più breve essere così riassunta: esistono veramente le specie? Una risposta affermativa sembra presupposta dalla folk psychology e dallo stesso fatto che ha luogo una classificazione (che si applica su qualcosa: ogni scienza quantifica su qualcosa, e la biologia quantifica, inter alia, sulle specie); ma una risposta del genere pare implicare assunzioni essenzialiste che hanno svariati ostacoli nel quadro di pensiero contemporaneo e che in particolare sembrano messe in crisi da una certa interpretazione, naturale anche se discutibile, del darwinismo. In buona sostanza, e lasciando qui da parte tutta una serie di articolazioni che Casetta riesce a sintetizzare ma che godono di trattazioni necessariamente ancora più ampie nella letteratura specializzata, l’approccio storico-genealogico comune a varie scuole tassonomiche di ispirazione darwiniana sembra in difficoltà a pensare la persistenza di un nucleo di proprietà irriducibili ovvero essenziali.
Forse già questa descrizione del problema suggerisce che la risposta potrebbe risiedere in una via media alternativa alla dicotomia dell’esistenza o inesistenza delle specie. È quanto cerca di fare Casetta, che oltre a ricostruire il dibattito in questione esprime una posizione personale che definisce di “convenzionalismo realista” (soprattutto p. 115 ss.), volta a schivare sia un realismo di matrice aristotelica sia un concettualismo di matrice kantiana. Secondo l’autrice, in estrema sintesi, mentre il concettualismo è messo in difficoltà dall’ornitorinco (che invece, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, non costituisce alcun problema per il realista), il realismo è reso impraticabile dalla chimera, ossia dagli organismi transpecifici. Per contro il convenzionalismo realista sostiene l’esistenza di una realtà biologica espressa nei singoli viventi, che viene però descritta e tassonomizzata variabilmente e convenzionalmente (un po’ come le descrizioni di un oggetto reale come le Alpi possono essere assai variabili nei confini che assumono, le partizioni che adottano, etc., cfr. p. 101).
Ora, una proposta siffatta potrebbe trovare un’ampia accettazione, solo che i confini tra il lato realistico e quello convenzionale sono collocabili fin troppo variabilmente. Ovvero, la tesi presenta, a mio parere, una certa indefinizione o instabilità tra i due fattori da conciliare, instabilità che cercherò di mostrare, sia pure troppo rapidamente, in quanto segue. Mentre su un piano squisitamente storico sembra un po’ affrettata la ricostruzione di una genealogia del concetto di specie in cui Linneo è un puro ‘essenzialista’ (qui l’influenza di una lettura standard della storia della biologia, imposta da Mayr, appare ancora molto evidente; la storiografia recente ha mostrato che le cose sono più ambigue, anzitutto nel senso che la posizione di Linneo presenta margini interpretativi e un’evoluzione interna significativa), bisogna riconoscere che, legittimamente, il focus di questo libro non è storico bensì teoretico. Dunque lo schizzo di un Linneo essenzialista può effettivamente essere accettato nella misura in cui rappresenta, teoreticamente più che storicamente, un certo quadro tradizionale rispetto a cui l’evoluzionismo ha agito con forza.
I problemi teorici possono essere riassunti, invece, come segue. Casetta a mio avviso ha perfettamente ragione quanto al rapporto della classificazione biologica con l’ornitorinco, ovvero con animali che sembrano sfidare le nozioni pregresse della classificazione stessa. Il punto è, abbastanza ovviamente, che il fatto che le nostre nozioni di specie e classificazioni siano provvisorie e perfettibili non implica proprio nulla di devastante per la tesi che esista comunque una classificazione, nella quale l’animale scoperto verrà, talvolta con difficoltà e aggiustamenti, collocato. Al contrario, la realtà e l’identificabilità dell’animale che viene progressivamente classificato rappresentano un argomento di un certo peso nei confronti del concettualismo. Forse proprio il fatto che la revisione sia possibile e sempre in progress tutto sommato dice qualcosa di favorevole alla esistenza di una realtà; e più in generale è sempre assolutamente opportuno non confondere tra i due sensi di classificazione (o le due operazioni coinvolte nella classificazione): ossia classificazione come collocazione in un complesso sistema gerarchico-tassonomico, operazione per definizione relazionale e provvisoria, e classificazione come riconoscimento di una differenza e di una peculiarità: operazione anch’essa relazionale, in certo modo, ma, al contrario della prima, quasi assolutamente garantita, come è facile capire dal fatto che viene eseguita con scarse varianti da scienziati, bambini, indigeni e anche animali non umani (i quali discriminano molto precisamente tra le specie che hanno di fronte).
Ora, questo punto è in grado di replicare a due difficoltà che solleva Casetta (pp. 44-45) relativamente alla posizione realista. Si tratta della ardua o impossibile individuazione del livello fondamentale o più ‘basso’ (due alternative, occorre notare, che non coincidono e la cui rispettiva adozione produce differenti conseguenze) della gerarchia tassonomica; e della variabilità ed estendibilità delle categorie stesse, che sono immensamente più numerose che all’epoca di Linneo. Entrambi questi aspetti, infatti, si collocano ad un livello puramente epistemico, ossia riguardano il modo in cui il riconoscimento della differenza si organizza nella collocazione tassonomica, giusta la distinzione di cui sopra. La pluralità di classificazioni disponibili non è affatto un argomento contro il realista: al massimo è un incitamento a lavorare meglio.
Per motivi analoghi ho qualche dubbio anche sulla pregnanza delle chimere transpecifiche come controesempio al realismo. In linea generale sembra che nulla vieti di considerarle esponenti di nuove specie (cfr. la stessa Casetta, p. 88), precisamente quelle individuate dalle condizioni al contorno dell’innesto genetico pertinente, e ciò è tutt’altra cosa dall’affermare che non esistono specie; ancora più in generale, il fatto che delle specie possano incrociarsi non implica l’inesistenza delle specie in questione (potrebbe essere un problema solo per l’aderente ad una definizione riproduttiva di specie, che non è affatto indiscussa). Detto diversamente: esistono delle chimere; ma in che senso questo dovrebbe mettere in difficoltà “il migliore dei tassonomi” e il più ardente dei realisti (p. 86)? Come se l’esistenza di una figura geometrica formata dalla fusione di un triangolo e un quadrato (una figura che indubbiamente si può disegnare senza difficoltà) dovesse mettere in crisi l’esistenza di triangoli e quadrati. Mi sembra, infine, discutibile che tutto ciò alluda ad una fondamentale indifferenza nei rapporti tra gli organismi, per cui la riproduzione intraspecifica non sarebbe che un derivato da esigenze di fatto e non di diritto (pp. 87, 89). Al contrario: normalmente gli esseri viventi (con la parziale eccezione di qualche taxa vegetale, su cui non posso soffermarmi), si riconoscono e riproducono molto rigidamente a livello intraspecifico, il che tra l’altro è cruciale, almeno nell’ortodossia evoluzionista, per alcuni aspetti della speciazione darwiniana.
Casetta suggerisce che la scienza è meritocratica, nel senso che le classificazioni che adotta sono variabili e scelte in relazione al loro successo esplicativo o predittivo; mentre la natura è democratica, nel senso che non presenta una tassonomia intrinseca tra le innumerevoli variazioni presenti nel mondo (p. 113). La distinzione mi pare plausibile, ma dovrebbe includere la clausola che la democrazia in questione è, tuttavia, al suo interno tanto segmentata e articolata come lo è una folla di esseri umani, realiter diversi tra loro. Ovvero, mentre la classificazione è senza dubbio operazione convenzionale, le essenze delle cose non lo sono (è la sovrapposizione tra questi due aspetti a determinare il punto di vista di Casetta). Per meglio dire, la classificazione è certamente per definizione un’attività libera: tutto può divenire ‘rilevante’, per una classificazione, dal modo di riproduzione alla maniera di locomozione al numero dei peli sul corpo, etc., secondo una celeberrima osservazione di Borges – Foucault; ma non tutto è egualmente rilevante in senso essenziale. Dunque, non ogni classificazione è egualmente adeguata sotto questo profilo.
Qui è forse opportuno notare, riprendendo il cenno fatto inizialmente, che appare curiosa la scarsa permeabilità delle riflessione che ha luogo in filosofia della biologia alle numerose istanze realiste ed essenzialiste che vengono avanzate nella filosofia analitica contemporanea. È vero che tende ad esserci anche l’atteggiamento reciproco da parte del mainstream analitico: una maggiore attenzione vicendevole dovrebbe essere un atteggiamento fruttuoso. Casetta accenna alle posizioni di Kripke o Putnam (p. 41) ma le sbriga forse un po’ rapidamente; soprattutto manca un confronto con le ragioni concettuali dell’essenzialismo, che non si esaurisce nei due autori appena citati ma ha ormai, oltre ai classici, numerosi sostenitori e ottime ragioni.
Il volume, in conclusione, affronta un tema piuttosto trascurato in lingua italiana, fatti salvi i pionieristici lavori di Continenza – Gagliasso, di qualche anno fa. La sintesi che ne propone è buona e utile; la proposta personale dell’autrice è significativa di un’esigenza ampiamente avvertita anche se rischia di non soddisfare il realista full-blooded.

Indice

Prefazione di Matthew Slater
Introduzione
Il diario della chimera
Prima Parte
  1. Entità biologiche
  2. La moneta corrente del biologo
  3. Gli occhiali del filosofo
Intermezzo
Seconda parte
  1. Dall’O. Paradoxus alla chimera
  2. Chimere
Intermezzo
Terza parte
  1. Naturale e artificiale
  2. Oggetti convenzionali
Intermezzo
Quarta parte
  1. Al di là delle tassonomie. Alcune considerazioni
  2. Conclusioni
Riferimenti bibliografici

L'autrice

Elena Casetta è dottore di ricerca in filosofia moderna e contemporanea. È membro del Labont – Laboratorio di Ontologia dell’Università di Torino. Ha pubblicato articoli sulla filosofia della biologia, metafisica, filosofia del linguaggio.

Links

http://www.labont.it/casetta/index.asp?pag=publications (pagina del Labont dedicata a Elena Casetta)

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