domenica 3 gennaio 2010

Costantini, Dino (a cura di), Multiculturalismo alla francese? Dalla colonizzazione all’immigrazione.

Firenze, Firenze University Press, 2009, pp. XIX+193, € 32,50, ISBN 9788884533463.

Recensione di Carlo De Nitti – 03/01/2010

Filosofia politica, Sociologia

Nella cultura politica europea, tradizionalmente si fronteggiano sulle tematiche dell’integrazione delle culture e del multiculturalismo due modelli in apparenza contrapposti: il paradigma comunitarista anglosassone e quello universalista francese.

Questo può essere uno stereotipo ove non adeguatamente approfondite la storia e le politiche specifiche dei paesi di cui si parla: i due paradigmi di approccio possono essere entrambi parimenti funzionali – e, quindi, utilizzabili alternativamente – alla riproduzione di rapporti di gerarchizzazione tra culture diverse ed all’insorgenza di nuove forme di razzismo in tutti gli Stati.

In questa direzione interpretativa si muove Multiculturalismo alla francese? Dalla colonizzazione all’immigrazione, curato nel 2009 da Dino Costantini – uno studioso di ideologia coloniale e pensiero postcoloniale – per i tipi della Firenze University Press. Il volume è frutto delle ricerche presentate e discusse in una Giornata Internazionale di studi dal titolo omonimo, organizzata dal Dipartimento di Filosofia e Teoria delle Scienze dell’Università di Venezia con il Patrocinio del C.N.R. il 15 novembre 2008. La pluralità di voci e di apporti specialistici rafforza l’unitarietà metodologica e culturale del volume incentrato sull’analisi dei presupposti storici e delle pratiche politiche dell’integrazione e del multiculturalismo della Francia coloniale e postcoloniale.

L’intenzione di fondo del volume non è normativa, ma storica: piuttosto che ergersi a difesa dell’uno o dell’altro modello di gestione della pluralità culturale, gli interventi mostrano come nelle politiche concretamente praticate dalla Francia universalismo e multiculturalismo vadano intese come “strategie complementari piuttosto che come rigide alternative” (p. XVI).

L’approccio al problema è stato multidisciplinare e tale è anche la cifra caratterizzante il volume che da essa è scaturito: la prima parte è eminentemente teoretica ed incentrata sulle idee di nazione e di cittadinanza; la seconda è di carattere squisitamente storico e tematizza alcuni passaggi della storia coloniale della Francia; la terza ha una notevole connotazione socio-politica, tematizzando la più recente legislazione sull’immigrazione in materia di ‘condizioni per l’integrazione’ quale ‘equivalente funzionale’ dell’assimilazionismo coloniale ed esemplificandola mediante lo studio dei diritti di cittadinanza, delle politiche della casa e delle politiche religiose, in una parola, a partire dai diritti della persona.

Pur non potendo, nella presente recensione, rendere analiticamente conto di tutti gli eccellenti contributi presenti nel volume si cercherà di rendere conto delle tematiche fondamentali che hanno costituito e costituiscono l’ossatura delle politiche francesi riguardanti la colonizzazione prima e l’immigrazione poi, che hanno un forte impatto sulla vita di milioni di persone.

Emanuela Ceva, nel suo saggio, prende le mosse dall’analisi del concetto di persona, cercando di fornire una risposta alla domanda “su quali basi possono essere fondati i legami di cittadinanza entro una comunità politica?” (p. 3), prendendo le mosse da una celeberrima distinzione della filosofia hegeliana (Moralität/Sittlichkeit) al fine di esplicare la compresenza di diversi modelli di cittadinanza in ogni situazione concreta storicamente determinata come quella francese e non solo. “L’incremento delle rivendicazioni di minoranza e dei fenomeni migratori (di breve e lungo periodo) ha incrinato la fiducia in un modello di cittadinanza ‘per tutte le stagioni’” (p. 21).

Alla luce di quanto finora sinteticamente detto in materia di cittadinanza, chiedersi cosa significhi oggi il concetto di nazione è molto complicato, viste le forti trasformazioni subite dal medesimo in presenza di notevolissimi flussi migratori che interessano tanto la Francia quanto tutta l’Europa occidentale: l’argomento lo affronta Giuseppe Goisis, riferendosi in modo estremamente pertinente al pensiero di Paul Ricoeur (1913-2005) che ha messo in luce i valori etici e giuridici che sono in gioco quando si affronta si accolgono degli stranieri. Egli “parte da un’ermeneutica, sottile e profonda, della Bibbia, il codice dell’Occidente, ma non solo dell’Occidente, e ne ricava il seguente punto fermo: ‘siamo tutti stranieri’, se non lo siamo lo siamo stati, o lo potremo essere; se non lo siamo noi, lo saranno stati i nostri avi o lo potranno essere i nostri discendenti” (pp. 39-40).

Questo conferisce all’Europa un ruolo estremamente positivo e da protagonista “come costruttrice, in cooperazione di una società mondiale, davvero guidata da ideali cosmopolitici, capace di consolidare tali ideali mediante una rigorosa autocritica e attraverso una ricerca di interculturalità, protesa a ri-declinare, al ‘plurale’, tutte le principali idee e categorie, le culture, le morali, le religioni, le filosofie, le psicologie…” (p. 41), dandole un compito storico arduo ed affascinante insieme: “camminare, notte e giorno, assieme alla carovana dell’umanità, scavando, sempre e di nuovo, nella dimensione dell’inedito, quella dimensione che atterrisce ma anche affascina la forma comune della nostra condizione umana” (p. 42).

Per misurare il lungo cammino percorso e quello, anch’esso lungo ed impervio, che rimane da compiere nell’auspicabilissima direzione indicata non è inutile – come è fatto nella seconda parte del volume – uno sguardo sulla storia della Francia come potenza coloniale nei suoi rapporti, in particolare, con i Paesi del Maghreb: paradigmatico, in questo senso, è il saggio di Dino Costantini sullo Statut de droit musulman in una colonia francese di popolamento come l’Algeria: “la piena estensione dei principi politici repubblicani alla totalità del territorio e della popolazione algerina, comprometterebbe la condizione di privilegio dei colonizzatori, trasformandoli in una minoranza all’interno di un paese del quale si sentono gli indispensabili tutori e gli incontestati padroni” (p. 45).

Con lo Statut de droit musulman viene messo in campo, a partire dalla Seconda Repubblica, una legislazione (non è questa le sede idonea per ripercorrerla analiticamente, seguendo la puntuale disamina del testo di Costantini) che, riconoscendo una profonda differenza culturale tra indigeni e francesi, sancisce l’esistenza di cittadini pleno iure e di cittadini minuto iure, una forma neppure velata di razzismo: “nell’atto di riconoscere la differenza culturale delle popolazioni indigene di Algeria, lo statuto la sancisce sottoponendole ad una legislazione differente da quella comune” (p. 65). L’identità immaginata dai colonizzatori della popolazione algerina ne fissa un’identità culturale che la fa apparire come un ostacolo all’integrazione: “attraverso lo statuto i colonizzati vengono così condannati alla ripetizione di una differenza che li esclude dalla cité e li destina ad una costante inferiorità giuridica e politica” (p. 65).

Questa esclusione è anche spaziale, architettonica, come argomenta efficacemente Rachele Borghi nel suo contributo: l’ordine urbano è lo specchio dell’ordine sociale. Tale organizzazione della città realizza la netta separazione tra medina e ville nouvelle, valorizza i siti turistici e monumentali del Maghreb, applica all’architettura coloniale i più avanzati canoni dell’architettura. Cosicché “la formula ‘toccare il meno possibile le città marocchine’ risulta da questa lettura particolarmente ambigua” (p. 99). Alla medina, è impedito materialmente di crescere, poiché viene progressivamente circondata dalla ville nouvelle, essa “non viene letta come uno spazio autonomo, inserito all’interno di un contesto, ma il suo significato viene estrapolato attraverso il continuo confronto con il modello europeo, prototipo intangibile della civilizzazione” (p. 100).

Insomma, l’antitesi più totale dell’integrazione, termine ambiguo – non fosse altro perché polisemico – come quant’altri mai, sebbene molto in voga. “Che sia vista come un obiettivo prioritario o come un problema decisivo, un irenico e diffuso consenso circonda l’opportunità – se non la necessità – di parlare di immigrazione a partire da questo termine essenzialmente equivoco” (p. 167).

In Francia – Paese dalla lunga storia coloniale – la presenza ed il rapporto con gli immigrati ha attraversato varie fasi in cui è stata connotata, ovviamente, con vocaboli differenti: assimilation, association ed integration. Scrive Dino Costantini: “l’idea di assimilation ha le sue radici teoriche nella concezione rigidamente unitaria della nazione fatta propria dal pensiero rivoluzionario e repubblicano” (p. 170). I nuovi venuti, gli immigrati, non appariranno come un corpo estraneo alla nazione, se si spoglieranno delle proprie identità di provenienza ed abbracceranno i valori fondamentali e comuni della società nazionale di accoglienza: “per potersi considerare compiuta l’assimilazione […] deve concludersi con la scomparsa dell’elemento allogeno, la cui differenza deve essere metabolizzata” (p. 170).

L’assimilazione non è stata mai praticata in modo sistematico nelle colonie, dove i francesi erano una minoranza per cui, all’inizio del XX secolo, la politica coloniale francese è passata a connotare come ‘association’ i rapporti tra coloni ed indigeni: “le colonie non sono la patria, ma semmai delle dipendenze o proprietà. Spazialmente lontane e culturalmente differenti, fondata sul riconoscimento e la valorizzazione dei costumi e delle istituzioni locali: è la cosiddetta teoria dell’association” (p. 173).

Di integrazione degli immigrati si è iniziato a parlare negli anni ‘80 del secolo scorso, dopo l’eclatante affermazione di una forza politica con una forte connotazione xenofoba come il Front Nationale guidato da Jean Marie Le Pen: un’integrazione particolare che prevede la spoliazione di qualunque identità culturale. Non a caso, si concretizza con la firma da parte dell’immigrato di un Contrat d’Accueil e d’Integration (CAI), che lo impegna ad integrare se stesso e la propria famiglia nella nazione francese: l’integrazione diviene la precondizione dell’accoglienza. Nasce una chiusura identitaria che non apre spazi di convivenza culturalmente plurali, ma conduce verso una sempre più spinta etnicizzazione del concetto di nazione: “l’integrazione introdotta nel vocabolario dell’immigrazione per l’usura retorica dell’assimilazionismo, è divenuto così un suo perfetto equivalente funzionale” (p. 185).

Ad un lettore italiano, questo volume pone molti interrogativi sul presente del proprio Paese, ma soprattutto uno: all’Italia – con alle spalle una storia per molti aspetti così radicalmente diversa da quella della Francia – quale politica per l’immigrazione meglio si attaglia, affinché venga realizzata una vera e propria integrazione sociale e civile rifuggendo le secche del modello francese, esposte esaurientemente nel volume qui recensito?

Indice

Introduzione
I. LA TEORIA REPUBBLICANA E LE IDENTITÀ CULTURALI 
Universalismo repubblicano e politiche multiculturali: modelli di cittadinanza a confronto, di Emanuela Ceva 
Metamorfosi esagonali dell’idea di nazione. Alcune riflessioni, di Giuseppe Goisis 
II. LA POLITICA REPUBBLICANA E LE IDENTITÀ CULTURALI: LA FRANCIA COLONIALE 
Lo statut de droit musulman nell’Algeria coloniale: tra riconoscimento e razzismo, di Dino Costantini 
Una storia coloniale della laicità. Rivisitazione dell’amministrazione dell’islam in Algeria (1905-1962), di Raberh Achi 
Ordine sociale e ordine urbano: la ville nouvelle nell’ideologia coloniale francese, di Rachele Borghi 
III. LA POLITICA REPUBBLICANA E LE IDENTITÀ CULTURALI: LA FRANCIA CONTEMPORANEA 
Ideologie e politiche della casa per i migranti nella Francia del secondo dopoguerra, di Agostino Petrillo 
L’esperienza francese di regolamentazione pubblica dell’islam. Tra regime di laicità, politica pubblica volontarista e riforma della religione, di Frank Fregosi 
Il razzismo repubblicano e le sue metafore: il caso della metafora laica, di Pierre Tevanian 
La ‘condizione di integrazione’, o il ritorno dell’assimilazionismo nella legislazione sull’immigrazione, di Dino Costantini


Il curatore

Dino Costantini è docente a contratto di Teorie sociologiche presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Dottore di ricerca in filosofia politica e scienze politiche, si interessa di ideologia coloniale e di pensiero postcoloniale, della crisi della cittadinanza tra colonizzazione e immigrazione, e di razzismo.

Link

http://bfp.sp.unipi.it/ebooks/costantini.html

Rivista on line “Bollettino di filosofia politica” con altro lavoro del curatore del volume sulla tematica

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