sabato 16 gennaio 2010

Vigorelli, Amedeo, Il disgusto del tempo. La noia come tonalità affettiva.

Milano, Mimesis, 2009, pp. 213, € 15, ISBN 9788884839015.

Recensione di Brigida Bonghi - 16/01/2010

Filosofia morale

Un approccio antropologico, esteso alla sua prospettiva storica, inquadrato in un orizzonte teoretico di matrice fenomenologica, disegna il percorso di questo contributo di Vigorelli, consacrato all’analisi di una modalità affettiva molto più raramente di altre fatta oggetto della letteratura filosofica. L'uno e l'altro elemento - antropologico e fenomenologico - situano la riflessione sulla noia nell'orizzonte della kantiana coscienza interna del tempo, termine a quo sul quale si costruisce il mosaico di un discorso supportato dal riferimento a numerose e differenti esperienze filosofiche del pensiero occidentale.
L'incipit dell'opera è fornito dalla dottrina kantiana del piacere, nella quale componente biologica, psicologica e teleologica si integrano costantemente sul fondamento della consapevolezza soggettiva del tempo, il quale, solo idealmente, risulta come una scansione cosciente di intervalli lungo cui avviene il mutamento. Impulso alla prima parte del volume di Vigorelli è data dalla discussione kantiana delle tesi illuministiche di Pietro Verri intorno al piacere e al dolore. Secondo tale prospettiva il piacere si stabilirebbe come il momento successivo al dolore cessato e la noia dunque come un'assenza di più positive sensazioni (piacevoli o dolorose) che si presentino come pungolo all'azione.
“La nostra vita - rammenta Kant - consiste nell'attività” (p. 27): l'orrore provocato dalla percezione del fluire senza contenuto della successione ininterrotta degli intervalli di tempo è la noia. Da essa non è comunque salva la concatenazione temporale delle occupazioni quotidiane. In esse divertimento e lavoro si costituiscono semplicemente come due differenti modalità di offrirsi del sentimento della noia. Nel primo caso la scansione del tempo è predisposta alla distensione dell'intervallo di tempo allo scopo di contenerlo in un più lungo presente. In questa modalità di presentarsi della noia, fine e mezzo non si presentano come più distaccati fra loro che nel lavoro: non è detto che l'attenzione all'attività non distolga l'uomo dall'attenzione al fine o, perlomeno, al fine autentico. Una successione temporale riempita di senso consiste nell'attendere dignitosamente a fini incompleti per fini ulteriori.
Vigorelli introduce al ruolo del romanzo esistenzialista nella riflessione sulla noia attraverso l'apporto di Aurel Kolnai che, nel combinare tensione fenomenologica e finezza in campo psicoanalitico, contribuisce a vincolare la sua analisi all'elemento fisiologico e morale insieme della noia e del disgusto. Kolnai ribadisce la valenza conoscitiva del disgusto per la predominanza delle caratteristiche dell'oggetto che provoca tale sentimento. Il soggetto disgustato possiede un'intuizione dell'oggetto e comunica la conoscenza di esso attraverso la reazione del disgusto. La noia è in tal senso disgusto morale ed è su questo tema che il romanzo esistenzialista pone la sua attenzione, proprio in relazione ad un oggetto peculiare.
La noia di Alberto Moravia e La nausea di Jean Paul Sartre forniscono una differente immagine della presa sulla realtà. Nel primo romanzo la sospirata conquista di una oggettivazione della soggettività - di una, in altre parole, agognata comunicazione costante con gli oggetti - si ribalta con Sartre nel terrore di una rinuncia del soggetto a favore degli oggetti, di un totale consunzione del soggetto nell'insensato dell'esistente.
È il sentimento del tempo ad emergere in questa agognata o temuta oggettivizzazione del soggetto ed è nel secondo capitolo del suo volume che Vigorelli fa fronte al rapporto noia/temporalità, avvalendosi, in particolare, ma non solo, dell'apporto di Schopenhauer ed Heidegger.
Una duplice immagine del tempo investe la riflessione schopenhaueriana, a seconda che essa fissi il suo sguardo sulla dottrina della conoscenza rappresentativa o sulla conoscenza geniale. Nel primo senso, l'attimo passato è investito e fagocitato dall'attimo successivo e solo la cooperazione di intelletto e ragione rende fattiva la percezione del futuro e una sua possibile pianificazione. Tuttavia, rispetto all'oggetto, la forma temporale non salva alcun intervallo dal suo annichilimento. Nel secondo caso il soggetto e l'oggetto guadagnano non solo il loro più alto livello di reciproco adattamento ma rendono il tempo nella forma dell'eternità: l'oggetto si trasfigura in una rappresentazione dell'idea.
Alla duplicità dell'immagine schoepenhaueriana del tempo corrisponde così una duplice modalità di verificarsi della noia che non risparmia il genio. Se il primo grado di noia è caratterizzato dal soccorso costante alla forza creativa che non trova appagamento negli oggetti, il secondo grado manifesta la sua tragicità nell'annullamento dello sforzo a risolvere la noia: il soggetto penetra in essa e rimuove la volontà, assistendo alla trasformazione di quest'ultima in noluntas.
La forma della noia teorizzata da Heidegger - e debitrice taciuta della riflessione schopenhaueriana - si manifesta in una triplice modalità. La prima corrisponde alla sospensione del soggetto dovuta all'oggetto negantesi, la seconda all'aspettativa del soggetto rispetto all'oggetto del tempo. La terza modalità costituisce lo stesso Dasein e investe la sua autenticità, per il negarsi totale dell'ente. Tale negazione sfida l'estrema conseguenza dell'abbandono alla temporalità dell'essere inteso come destino.
Il terzo capitolo del volume di Amedeo Vigorelli apre tutta la riflessione precedente al rapporto noia/malinconia e alla evoluzione storica del concetto di noia a partire dal mondo classico per giungere infine alla caratterizzazione della noia nei suoi connotati moderni.
È il suo carattere temporale a contrassegnare l'accidia, fenomenologicamente sintetizzata nella freddezza interiore e nella indolenza del volere. Essa contrassegna la vita quotidiana del cenobita sconfitto da una serie di attitudini peccaminose che lo allontanano dalla gioia dello spirito. La manifestazione accidiosa contrasta quella melanconica. Se nel secondo caso l'afasia si presenta come la più grave conclusione, nel primo caso, verbosità e inquietudine (non solo interiore, ma più propriamente fisica) tentano un rapporto col tempo riempito dall'inessenziale spirituale.
Nel suo Secretum, Petrarca, pur non ignorando il senso più autentico dell'accidia, realizza una indagine intorno ad essa, a partire dalla propria esperienza, dal punto di vista psicologico e morale. L'accidia si limita in questo caso a una somatizzazione fisica dell'inquietudine petrarchesca rivelando un sentimento del tempo di misura piuttosto moderna, incalzata dall'ossessione di una mediazione corretta fra qualità e quantità temporale. Decisiva si fa la questione nel caso della riflessione pascaliana, nel cui ambito il ruolo della società e dei provvedimenti che essa offre per la vittoria sulla noia si limitano ad una operazione di oblio sulla miseria reale della condizione umana.
La risoluzione leopardiana al sentimento della noia si mostra nella virilità dell'uomo forte, nel suo tentativo più alto - ma utopico - di svelare l'inautenticità del disagio, di rivoltarsi contro la disperazione nel ridere alto, seppure non dimentico del male.
L'ampia e ricchissima disamina di Vigorelli rende preziosa ed efficace la riflessione sul tempo e sul disgusto che ad esso si ancora. La meditazione sul tempo presente, su questo tempo, non può che avvalersi dell'abbondanza di spunti e risoluzioni che il volume propone, con indubbia utilità per la necessaria, dal punto di vista più propriamente sociale e morale, e urgente svolta rispetto al costante tempo presente che, privato di progettualità e speranza, vede attanagliate a sé le più giovani generazioni.

Indice

Introduzione
La noia come sentimento vitale
Noia e temporalità
Noia e malinconia
Conclusione
Bibliografia


L'autore

Amedeo Vigorelli è professore di Filosofia Morale presso l’Università degli Studi di Milano. È stato allievo di Enzo Paci, al quale ha dedicato, nel 1987, la monografia L’esistenzialismo positivo di Enzo Paci. Alla scuola di Milano ha consacrato inoltre gli studi Piero Martinetti. La metafisica civile di un filosofo dimenticato (Milano, 1998) e La nostra inquietudine (Milano, 2007). Il disgusto del tempo chiude una trilogia morale, i cui precedenti sono rappresentati da Il riso e il pianto. Introduzione a Schopenhauer (Milano 1998) e da L’animale eccentrico. Dall’antropologia filosofica all’etica comunitaria (Milano 2003). Vigorelli è il responsabile scientifico dei Fondi librari e archivistici di Filosofia Italiana conservati presso la Biblioteca del Dipartimento di Filosofia dell’Università Statale di Milano.

Link

http://dipartimento.filosofia.unimi.it/index.php/amedeo-vigorelli

2 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

.. . Verri non dava descrizione di fisica né di metafisica filosofiche su piacere e dolore ma ritratto di insavia sociale.
...
Kant non disconosceva sensatezza finale al lavoro, solo ultima.
...
Genialità quale modalità determinante? In realtà Schopenhauer diceva a proposito di temporalità e causalità:... di necessità od anche consapevolezza — e la "noluntas" consapevole è il toglier scaturigini di desideri mondani irrealizzabili — ed il mondo soltanto intramondanamente tragedia in atto.

Tra Leopardi e Pascoli v'è in senso filosofico e non esclusivo un rapporto di antecedenza-precedenza: prospetto di recensione dunque interrompe un sèguito senza vicenda realmente altra e particolare, cioè senza una singolarità-esistenzialità che renda riflessione di autore recensito compiutamente oggettiva.
Infatti la risoluzione leopardiana che era pure filosofica era pensiero nelle opposizioni determinate da materialità necessariamente non armoniche, ove domina guerra, dissidio, nullità ma in ciascuna opposizione governa volontà di guerreggiare, dissidere, nullificare talché il tedio di vivere è della estetica del mondo secondo il sentire il mondo, però che se vige con saggezza o senza prevaler di sconsideratezze allora non prevarica i confini di gioie universali — così a Giacomo Leopardi stesso, cui lamenti eran proteste di mancate società per autoconfinamenti di moltitudini in sensibilità estetizzanti non estetiche; in tal senso Leopardi non cantava la gioia che provava per provarne ancora... E notava che finanche il cozzarsi degli individui delle folle era una imitazione a carattere fisiologico di fisica: teatri di sassi, di atomi... di corpi di persone... e volontà di disguidi che rendevano mondanamente disperate alcune vite magnanime e necessarie, costrette in giubili segreti...
conhuesta contrarietà era uguale nella vita di Pascoli, che non ne risolveva in anonimato ma in rifugio ed in messaggi di alterità disarmante; esistentivamente di vitalismo oltre termini consueti, in tal senso il racconto del simbolo culturale-psichico (non viceversa) del "fanciullino" era teatro sociale non sentimentale ma esteticamente ed esso coesisteva con tutt'altro cioè di concretezza irrefutabile: la percezione di nascente formazione, di età sorgiva, con gli accadere naturali; e verità è che non si seppe più chi fosse abitante di sua magione e non data risposta se ne segnò davvero sola scomparsa.
È giusto dirne perché la grande poesia italiana della tradizione letteraria è fino ad Ermetismo permeata da una mirabile però esoterica risorsa filosofica del tutto originale, dopo i tempi della Scuola Siciliana e dai silenzi federiciani fino alle incursioni contemporanee, di Gavino Ledda, Zanzotto, Pasolini... nondimeno restando eterodosse fino a ricevere barriere tra percorsi ordinari e sovraordinati non surreali, per altri mondi cioè, come accade nel caso dei sistemi di filosofia dei samurai, ma similmente o più che similmente alla remotezza intellettuale dei druidi.
Ciò nulla toglie alla storia della filosofia quale stabilità non quale ispirazione; ma appunto bisogna capire una alterità - incompatibilità di comunanze al fondo delle condivisioni, a mostrare come mai gli studi filosofici siano indifferenti in certi casi pur se utili: per altra dimensione di realizzazioni. Certo questa non si dà alla indolenza della debolezza, dunque inutile cercare di trovarne altra storia da quella che fu; neanche lasciandosi suggerire inversioni.

... !

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

In messaggio precedente "conhuesta" sta per: codesta.
Riecco testo con correzione :

*
.. . Verri non dava descrizione di fisica né di metafisica filosofiche su piacere e dolore ma ritratto di insavia sociale.
...
Kant non disconosceva sensatezza finale al lavoro, solo ultima.
...
Genialità quale modalità determinante? In realtà Schopenhauer diceva a proposito di temporalità e causalità:... di necessità od anche consapevolezza — e la "noluntas" consapevole è il toglier scaturigini di desideri mondani irrealizzabili — ed il mondo soltanto intramondanamente tragedia in atto.

Tra Leopardi e Pascoli v'è in senso filosofico e non esclusivo un rapporto di antecedenza-precedenza: prospetto di recensione dunque interrompe un sèguito senza vicenda realmente altra e particolare, cioè senza una singolarità-esistenzialità che renda riflessione di autore recensito compiutamente oggettiva.
Infatti la risoluzione leopardiana che era pure filosofica era pensiero nelle opposizioni determinate da materialità necessariamente non armoniche, ove domina guerra, dissidio, nullità ma in ciascuna opposizione governa volontà di guerreggiare, dissidere, nullificare talché il tedio di vivere è della estetica del mondo secondo il sentire il mondo, però che se vige con saggezza o senza prevaler di sconsideratezze allora non prevarica i confini di gioie universali — così a Giacomo Leopardi stesso, cui lamenti eran proteste di mancate società per autoconfinamenti di moltitudini in sensibilità estetizzanti non estetiche; in tal senso Leopardi non cantava la gioia che provava per provarne ancora... E notava che finanche il cozzarsi degli individui delle folle era una imitazione a carattere fisiologico di fisica: teatri di sassi, di atomi... di corpi di persone... e volontà di disguidi che rendevano mondanamente disperate alcune vite magnanime e necessarie, costrette in giubili segreti...
Codesta contrarietà era uguale nella vita di Pascoli, che non ne risolveva in anonimato ma in rifugio ed in messaggi di alterità disarmante; esistentivamente di vitalismo oltre termini consueti, in tal senso il racconto del simbolo culturale-psichico (non viceversa) del "fanciullino" era teatro sociale non sentimentale ma esteticamente ed esso coesisteva con tutt'altro cioè di concretezza irrefutabile: la percezione di nascente formazione, di età sorgiva, con gli accadere naturali; e verità è che non si seppe più chi fosse abitante di sua magione e non data risposta se ne segnò davvero sola scomparsa.
È giusto dirne perché la grande poesia italiana della tradizione letteraria è fino ad Ermetismo permeata da una mirabile però esoterica risorsa filosofica del tutto originale, dopo i tempi della Scuola Siciliana e dai silenzi federiciani fino alle incursioni contemporanee, di Gavino Ledda, Zanzotto, Pasolini... nondimeno restando eterodosse fino a ricevere barriere tra percorsi ordinari e sovraordinati non surreali, per altri mondi cioè, come accade nel caso dei sistemi di filosofia dei samurai, ma similmente o più che similmente alla remotezza intellettuale dei druidi.
Ciò nulla toglie alla storia della filosofia quale stabilità non quale ispirazione; ma appunto bisogna capire una alterità - incompatibilità di comunanze al fondo delle condivisioni, a mostrare come mai gli studi filosofici siano indifferenti in certi casi pur se utili: per altra dimensione di realizzazioni. Certo questa non si dà alla indolenza della debolezza, dunque inutile cercare di trovarne altra storia da quella che fu; neanche lasciandosi suggerire inversioni.

... !

MAURO PASTORE