sabato 27 febbraio 2010

Cristin, Renato, Apologia dell’ego. Per una fenomenologia dell’identità.

Roma, Studium, 2009, pp. 266, € 28,00, ISBN 9788838241055

Recensione di Pietro Camarda – 27/02/2010

Filosofia teoretica (fenomenologia)

In vista della costituzione dell’individuo come spazio dell’identità, Renato Cristin si impegna in un’apologia dell’ego, “con l’obiettivo di recuperare e valorizzare un concetto che è stato emarginato e in molti casi addirittura messo al bando dalla maggior parte delle ricerche e delle correnti filosofiche degli ultimi decenni del Novecento” (p. 23). Il progetto, nell’intento di approdare all’idea fenomenologica di soggetto, attraversa la fenomenologia di Husserl , la “critica della ragione storica” di Dilthey, la “critica della ragione vitale” di Ortega y Gasset e il metodo storico-metafisico di Vico, senza dimenticare il ruolo di Cartesio all’interno della filosofia della soggettività.

Il tentativo di Cristin, articolato in cinque capitoli, si concretizza nella saldatura tra l’idea di filosofia e quella di Europa che già Husserl aveva tentato di tenere assieme e che sembrano soffrire della stessa malattia: il disprezzo di sé. Il farmaco rispetto a tale morbo va ricercato nell’identità, o meglio nell’equilibrio identitario che salvi la responsabilità e la consapevolezza filosofica del soggetto della ragione, dopo la dichiarazione di morte della nozione di soggetto in quanto io, ovvero in quanto coscienza.

Sin dal primo capitolo, Cristin, vuole smascherare l’altro, inteso come mortificazione e falsificazione del soggetto, per riscoprire la presenza dell’identità e l’inaggirabilità dell’io nella sua peculiarità individuale, riabilitandolo a partire dalla sua corporeità, intesa da sempre, nel campo filosofico, come una sua qualità secondaria. Il ritorno all’ego porta con sé la riscoperta dei concetti cardine della fenomenologia, come condizione di possibilità di una filosofia fenomenologica dell’identità del soggetto che impone di sostare nell’io per salvaguardarne e nutrirne la coscienza. L’individuazione dell’io secondo Cristin, quale processo di differenziazione ed identificazione, passa per una costellazione di pensatori (Kierkegaard, Dilthey, Simmel, Husserl, Heidegger, Jaspers, Ortega, Gadamer) che, attraverso l’idea di ragione e quella di soggetto, hanno tentato di stabilizzare l’io e la sua coscienza come 'presunzione' di completezza. “Dinamica ed elastica, la coscienza intenzionale come sedimentazione delle esperienze vissute dell’io è la condizione di possibilità della relazione con l’altro” (p. 44).

Nel secondo capitolo Cristin si chiede come sia possibile coniugare la verità alla soggettività, per incentrare una filosofia sull’io, sulla soggettività trascendentale. Il punto di partenza per l’analisi è Cartesio (insieme a Kant e Fichte), ma sarà Husserl che, riprendendo l’impostazione cartesiana, riuscirà a delineare il campo della coscienza: Cartesio fa cominciare la conoscenza dall’ego rapportandosi alla trascendenza dell’ente supremo, mentre Husserl si appoggia alla trascendenza degli altri ego, facendo interagire paradossalmente trascendenza e immanenza. Cartesio è inteso come colui che ha dato vita all’idea di filosofia trascendentale (elaborata poi da Kant fino a Husserl) come esigenza di ricondurre la conoscenza alla coscienza: l’io trascendentale è pura soggettività, in relazione alla quale le cose sono oggetti. L’io è il centro vitale della coscienza che alimenta e dirige l’intenzionalità come donazione di senso, secondo la fase autoreferenziale e quella proiettata fuori di sé. L’io è inaggirabile e per questo fondamentale, quindi originario, per comprendere e costituire ogni tipo di oggettualità. Nell’età moderna Kant e Fichte modellano la teoria cartesiana del cogito, ergo sum, in “io esisto pensando”, dando una torsione trascendentale al discorso sull’io. Ma, per Husserl, preoccupato del rischio di solipsismo, l’io trascendentale non esclude l’io empirico e anzi si rapporta ad esso secondo relazioni fra “io viventi in carne ed ossa”. La soggettività trascendentale, infatti, non è una monade leibniziana, ma appartiene ad un più ampio campo che è la Lebenswelt, o “mondo della vita”, che la mette in relazione agli altri alter ego attraverso le fenditure dell’intenzionalità. Quindi, il ritorno all’ego che propone Husserl e che Cristin vuole riprendere, non è una chiusura soggettivistica e razionalistica, ma, dovendo fare i conti con “le operazioni concrete del soggetto” (Foucault, Deleuze, Derrida) che sembrano provenire da un al di là dell’io, quindi dettate dall’inconscio, deve ammettere l’inseparabilità dell’inconscio dal soggetto cosciente, poiché incluso nel campo dell’analisi intenzionale della coscienza. “All’immediatezza nietzschiana dell’empiria si oppone, in Husserl, l’immediatezza dell’intuizione. Per Nietzsche l’identità resta un’illusione o, come direbbe Hume, una finzione, mentre per Husserl essa è il volto concreto dell’io” (p. 117). Cristin, immettendosi in questa controversia di paradigmi, tenta di operare una sottrazione di contraddizione, nel segno di una riabilitazione del proprio come indice dell’identità.

Pur avendo lasciato un’impronta profonda nel pensiero contemporaneo, il concetto di “io” è chiamato a fare i conti con l’extrasoggettivo, l’altro. Nel terzo capitolo, che si apre con la considerazione di Sartre secondo cui “l’io non è un abitante della coscienza” , la questione diventa l’esperienza dell’estraneità come progressiva consapevolezza di sé. La prima persona è il segno della qualità soggettiva dell’esperienza e la peculiare forma di effettualità che apre alla comprensione dell’intersoggettività. Il punto di partenza del pensiero fenomenologico è l’ego che si esplicita nella funzione dell’intenzionalità, come modo della coscienza che impone una differenza tra l’empirico (concretezza) e il trascendentale (purezza) e quindi una relazione viziata dall’instabilità provocata dall’altro che apre all’intersoggettività come struttura dell’intenzionalità. Fuori dall’io, l’estraneo può essere compreso in quanto dotato di intenzionalità e quindi in relazione con gli altri ego. La fenomenologia individua un io trascendentale, fonte irriducibile della conoscenza, e un io intersoggettivo, in relazione con gli altri io. Cristin raggiunge una definizione che bene mostra l’innovazione husserliana e le radici di appartenenza del suo pensiero: “l’io fenomenologico si configura come un uomo cartesiano in un mondo leibniziano” (p. 150). Per mostrare l’espropriazione dell’io nell’altro si è usato il celebre verso di Rimbaud: “Io è un altro”, che recupera in una sola battuta i movimenti attraverso i quali l’io si consolida. Non è più filosofia dell’ego sum, ma, nell’orizzonte dell’intersoggettività, dell’ego cum.

Il quarto capitolo, mettendo in questione il rapporto tra parola e visione nella fenomenologia, si occupa del problema fra coscienza e parola, termini dell’aporia dell’espressione del pensiero in parola. La fenomenologia vuole azzerare il ruolo della parola rispetto al momento di massima identità tra parola e cosa che avverrebbe nel “dialogo dell’anima con sé stessa”, ma proprio il luogo della purezza, l’ego, è contaminato dal linguaggio inteso come decadimento di ciò che è stato pensato. La coscienza si costituisce come flusso continuo e deve plasmare il suo linguaggio attraverso questo movimento: da un lato iniziando come pensiero ed esprimendosi come linguaggio, dall’altro mirando al senso senza alcun accessorio linguistico. La soggettività trascendentale è il centro d’irradiazione del flusso di coscienza che, unico, prende corpo nel metodo della fenomenologia: la visione come teoria. La verità è l’evidenza della visione, cioè esperienza fenomenologica che rende possibile l’incontro tra le cose e le parole, “direi che c’è un linguaggio delle cose, ma non perché le cose parlano, bensì perché parla lo sguardo attraverso il quale le cose diventano fenomeni” (p. 218).

Il quinto ed ultimo capitolo propone una lettura destinale dell’Idea di Europa, attribuendole un carattere identitario e una soggettività attiva che le conferiscono la funzione di guida dello sviluppo dell’Occidente intellettuale. L’identità dell’Europa è plurale, composta da molteplicità di prospettive interconnesse, che si traduce in un noi che tiene assieme origine e rinnovamento. La riduzione, come metodo della fenomenologia, schiude nuovi orizzonti dell’origine e quindi nuove direzioni della tradizione, come condizioni di possibilità della conoscenza: da un lato di tipo “archeologico”, dall’altro di tipo “teleologico”. La ripresa dell’origine, oscillando tra conservazione e rivoluzione, rimane fedele allo strato originario di senso che permette la connessione libera tra i livelli di comprensione. Per la riflessione husserliana l’origine della cultura europea è imprescindibile dal suo inizio greco, ma questo destino del pensiero è teso tra il flusso inafferrabile del progresso e la possibilità di comprenderlo: questa totalità in movimento continuo, Lebenswelt (mondovitale), è l’orizzonte universale, empirico e trascendentale, “che precede la formazione e l’evoluzione degli enti, della conoscenza e del linguaggio” (p. 247). L’inizio, quindi, è in Grecia, ma il telos non è determinato, anzi è in continuo spostamento e quindi riposizionamento: così come la coscienza è una successione di livelli, la storia è una costruzione stratificata. La fenomenologia si propone come la rinascita dello spirito europeo, come rinnovamento e tradimento dell’impostazione metafisica occidentale, come soggettività ed esperimento. L’eidos Europa è profondamente “filosofico”, non sistematicamente chiuso e definito una volta per tutte, “ma, proprio perché è un insieme vivente di coscienza e di esperienza storica, va sempre rimeditato e rinnovato” (p. 261).

Lo scopo specifico dell’autore è di attirare l’interesse su una struttura di pensiero in grado di salvaguardare l’unicità dell’ego di fronte alla frantumazione del panorama intellettuale contemporaneo, in un’epoca in cui la soggettività e la libertà umane risultano compromesse. Nel formulare una teoria fenomenologia dell’ego intorno all’identità ed alla coscienza, rispetto alla loro funzione gnoseologica nel destino storico dell’Occidente, muovendosi con agilità ed acume tra le maglie della riflessione husserliana, Cristin punta, attraverso un’apologia dell’ego, all’identità soggettiva come compito urgente e nodo cruciale intorno al quale si giocano i destini dell’Occidente.

Indice

Premessa 
I. Al di qua del soggetto. Per una riabilitazione filosofica dell’io. 
1. L’identità tra egotismo ed esotismo – 2. Egicidio e totalitarismo – 3. Xenologia e ideologia – 4. L’individuo come disposizione di coscienza. 
II. Declinazioni dell’ego. Dal cogito cartesiano alla soggettività trascendentale. 
1. Rivoluzione e ripetizione - 2. L’inaggirabilità dell’ego – 3. Il passaggio a Nord-Ovest – 4. Dall’egologia alla monadologia – 5. Dalla monadologia all’egologia. 
III. L’esperienza dell’estraneità. Dalla prima persona all’intersoggettività. 
1. Centralità della prima persona – 2. Monade e intersoggettività – 3. L’esperienza dell’alterità – 4. Individualità e società – 5. Identità e libertà. 
IV. Dal pensiero alla parola. La visione come linguaggio della fenomenologia. 
1. Le parole dell’eidetica – 2. Coscienza, flusso e visione – 3. Etimo e metodo – 4. L’intuizione 
della verità – 5. Conoscenza e linguaggio. 
V. Identità e destino storico. L’eidos Europa. 
1. Spirito e lettera dell’Europa – 2. Ragione e tradizione – 3. Lingua e Lebenswelt – 4. Eidos e telos. 
Indice dei nomi


L'autore

Renato Cristin è professore associato di Filosofia teoretica nell’Università di Trieste. È stato direttore dell’istituto Italiano di Cultura di Berlino (2003-2006). Principali pubblicazioni: Heidegger e Leibniz, prefaz. di H. G. Gadamer, Bompiani, Milano 1990; Europa al plurale. Filosofia e politica per l’unità europea (con S. Fontana), Marsilio, Venezia 1997; La Fenomenologia e l’Europa (a cura di M. Ruggenini), Vivarium, Napoli 1998; Fenomenologia, Unicopli, Milano 1999; Fenomeno storia. Fenomenologia e storicità in Husserl e Dilthey, Guida, Napoli 1999; La rinascita dell’Europa. Husserl, la civiltà europea e il destino dell’Occidente, Donzelli, Roma 2001; Invito al pensiero di Edmund Husserl, Mursia, Milano 2002.

2 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Recensore dava rilievo di ciò cui non si trova in argomenti e tematiche esposte in indice (accluso) di lavoro di autore; entrambi restando senza presupposto.
Certamente agendo filosoficamente per fenomenologia può esser di due specie: recando per inventiva fenomeni; inquadrando con ragione fenomeni.
Ciò cui autore provvedeva era a una perdita o mancanza, cui solo parte di cultura filosofica esposta ma rilevantissima perché del mondo universitario quindi scolastico.
In tempi di pubblicazione e successivi non susseguenti, scopo di autore poteva esser di portare a dissoluzione (a modo di arte del Decadentismo) pretese o eredità di marxismo e filomarxismo, cui studi furono e restarono in penuria di conoscenze etniche in particolare sulla Europa (a tal scopo, inquadrando); oppure avviare nuovo umanesimo e definire una socialità alternativa, filomarxisticamente criticamente antietnicamente o nichilisticamente per opporsi a nullità di fatto anche etnica (a tal fine, inventando). Ma appunto, limitatezza di raggio di azione di problema non consentiva, né consentirebbe, a tutte le opzioni pertinenza filosofica, cioè opzione critica non potendosi sostenere, altrimenti ricerca filosofica coinvolta in etnofobia e per giunta in tempi di fortissimi bisogni etnici (che sono soprattutto naturali).
Vero è che esistenza etnica europea solo più recentemente ha trovato garanzia di esister ancora, a causa di postuma perduranza climatica europea; d'altronde opzione di altra etnicità rivolta a stessa nuova fenomenicità e per inventiva di filosofia recava un rifiuto-opposizione a etnie europee rimaste ed a futuro di esse e con esse; intenzione di dissolver l'eccepire filomarxista e l'eccesso marxista restando opzione concreta non anche effettiva, data non unicità di essa e date non filosofie ed antifilosofie coinvolte nelle altre opzionalità...: Astrattezza e indeterminatezza che non si basano su ignorare fenomeno - Europa quale dato evidente ad epistemologia e dunque posson interpretarsi qual volontà di condurre ad altro, che stesso fenomeno mostra in necessità europea di definirsi destino con forza; eppure autore ne considera preminenza in Occidente senza dunque valutare tutta la originalità oltre che originarietà europee e senza vagliare immensità occidentali, culturali e civili.
Ciò reca ulteriore astrattezza a lavoro di autore, perché giusta attenzione a dottrina egologica non risulta in esso contestualizzabile e definibile in compiuta idea; tanto che ideazione filosofica psicologica quale in dialoghi europei era stata diviene in esso concettosità psicologica filosofica, di cui valore non appare in proceder logico filosofico ed essendone maggiore ma diminuendone valore filosofico di medesimo lavoro.

...

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

...

In quel che sarebbe costruzione psicologica di psicologia indiretta si insinua evoluzione di descrizioni psicologiche; sicché non oggettività di Io psicologico potendosi tradurre in oggettività di Io filosofico, ne resta impedimento proprio da perdurare di Io psicologico in filosofico, senza altro intento filosofico né psicologico e questo mancare essendo corrispettivo di non chiara menzione di Occidente e non specificata di Europa... Nella non pensata originalità europea ed invece in pensata originarietà europea, in ruolo dimidiato a restante Occidente di cui non contraddittoriamente pensata America europea soltanto, si trova indistinzione proprio tra America ed Europa e dunque originarietà si rivela retaggio e non eredità, tutto ciò da parte di autore cui combinazioni sono fenomenologiche ed epistemologiche nel corrispondere a una gnoseologia per via razionale. Autore infatti non si volgeva ad assolutezze fenomeniche ma se ne rivolgeva in implicito avvaloramento di emotività dell'Io, per il quale si profilava una realtà da conforme a difforme poi che non informe, dunque ordinata esternamente da realtà non considerata; che non potendo esser non Occidente né fuori Europa dato retaggio, si mostra legata al Meridione occidentale e non europeo, evidentemente con ipostatizzare intellettualità ed intellettualismi postmoderni di Decostruzione e Decostruzionismi cui demandata da autore una maggior continuità che postumi accadimenti naturali politici naturali europei non impedivano ancora ma che ormai accaduti non solamente impediscono ma che rifanno escludendo componente originaria etnica da destino etnico, di autore anche cui combinazioni svolte posson esser odiernamente una tesi maghrebina od una ipotesi passata e nulla; e a voler far nichilismo attivo o più consapevolmente annichilimento con volontaria nullità si poteva ma riconoscendo estraneità di futuro marxista a passato, presente e futuro intrinsecamente filosofici ed esplicitando, qual determinanza storica di Io - trascendentale - empirico - fenomenologico, l'Io etnico. Così provvedendosi di una distinzione e conseguenti diversificazioni di concetti attorno a idea etnologica non solo geografica culturale, qual invece imponeva totalitarismo marxista - comunista - stalinista.
Menzione di Passaggio a Nord-Ovest, in realtà Chimera più della Via Breve alle Indie, è sintomatica di mancanza di premesse etniche in piano di autore R. Cristin.


MAURO PASTORE