domenica 14 febbraio 2010

Ilardi, Massimo (a cura di), Il potere delle minoranze. Immaginari, Culture, Mentalità all'assalto del mondo.

Milano-Udine, Mimesis, 2009, pp. 118, € 14,00, ISBN 9788857500409

Recensione di Antonella Ferraris - 14/02/2010

Sociologia, Filosofia politica

Questa snella ma interessante raccolta di saggi è uscita nella collana intitolata Postumani, che già dal titolo vuole documentare quelle trasformazioni che l'umanità subisce (sta subendo) per effetto delle nuove tecnologie. Questi mutamenti non riguardano solo il limite biologico, ma soprattutto il sistema di rapporti consolidati dalla tradizione e ora soggetti a rapide mutazioni in una società sempre più spesso dominata da parametri individuali piuttosto che collettivi.
Il saggio introduttivo di Massimo Ilardi, Minoranze, inizia con il definire storicamente una minoranza come “un insieme di individui che condivide un'identità culturale, etnica, religiosa, linguistica o di genere e che non costituisce una realtà socialmente dominante in una determinata società” (p.7). In altre parole, la minoranza si definisce in relazione ad una maggioranza che determina, in una società, i valori universalmente condivisi. Questa tradizionale dialettica, ben conosciuta alle dottrine politiche è entrata in crisi: dapprima i movimenti di liberazione , in seguito l'affermarsi dell'individualismo come modo di vivere nella società dei consumi e infine la privatizzazione della politica hanno realizzato una sempre più netta separazione tra pubblico e privato che ha disgregato il primo e condotto il secondo a dominare la contrapposizione tra schieramenti e posizioni sociali. Questo fenomeno è particolarmente visibile in Italia, “tradizionalmente priva di una religione civile e di un senso dello Stato”(p.7), e si è tradotto in un vuoto sociale e politico seguito alla crisi dei partiti tradizionali che avevano dominato la vita politica nel secondo dopoguerra. L'avvento del privato è una diretta conseguenza della potenza dell'universo dei consumi: i comportamenti non sono più determinati dall'ideologia o dall'appartenenza di classe, ma da una comune visione culturale. Parallelamente entrano in crisi i concetti che tradizionalmente servivano all'analisi delle scienze sociali: classe, popolo, moltitudine non sono più etichette rappresentative. Siamo di fronte ad una vera rivoluzione culturale, dove le idee non sono più passate al vaglio della ragione o della cultura, ma semplici opinioni che si stratificano come convinzioni personali e che per ciascuno di noi hanno la funzione di certezze.
Il primo saggio (Napoli in rivolta. Dagli stadi alle discariche di Angelo Petrella, un narratore che ha spesso utilizzato Napoli, la sua città, come sfondo per la sua scrittura) analizza le dinamiche di piccoli gruppi nell'area di Napoli, soffermandosi in particolare sulla questione dei rifiuti e sulle rivolte che si sono susseguite tra l'aprile e il maggio 2008. Già dal titolo si deduce che la composizione dei gruppi in lotta si richiama a quella dei gruppi organizzati della tifoseria del Napoli e sulla loro rapida destrutturazione. Da una tifoseria allegra, festaiola, coreografica e non violenta, nata negli anni Settanta, si è passati a gruppi sempre più piccoli, sempre più agguerriti, sempre più violenti. Qui si salda la protesta allo stadio con la protesta di strada: dei quaranta arrestati a Pianura, il sobborgo di Napoli dove avrebbe dovuto sorgere una contestatissima discarica, una percentuale consistente proviene proprio da uno dei gruppi più estremi della tifoseria, i NISS (acronimo per “niente incontri, solo scontri)” . Gli autori considerano il sistema Ultras come una vera e propria controcultura, dove la vita del tifoso è scandita dagli appuntamenti legati alle partite, da una sorta di codice cavalleresco, che impone comportamenti come il non saccheggiare i negozi o non fuggire di fronte al “nemico” (la polizia o un'altra tifoseria organizzata, secondo un complesso sistema di rapporti che percorre l'intera penisola) Per la verità l'aspetto cavalleresco si è progressivamente perso nei gruppi più recenti, dove conta molto l'adesione viscerale di gruppo, l'azione per l'azione, il vitalismo, tutti elementi che hanno sostituito espressione politica su cui i vecchi gruppi, violenza esclusa, si erano più o meno modellati. I disordini di Napoli mostrano proprio da una parte il totale fallimento di una classe politica d'ogni colore, che non ha saputo gestire la questione dei rifiuti, o, se lo ha fatto, se ne è occupata soltanto per perpetuare le proprie clientele politiche e non; dall'altro il fallimento dei movimenti che per tradizione hanno condiviso lo spazio politico di “opposizione”, a destra o a sinistra che fosse. Per descrivere fenomeni nuovi come questo le vecchie categorie ermeneutiche delle scienze sociali si rivelano inadeguate
Nel secondo saggio (La produzione di conflitti. Il caso di Piazza verdi a Bologna) Giuseppe Scandurra riferisce i risultati di una ricerca sociologica che descrive un luogo (piazza Verdi a Bologna) e tutto ciò che afferisce ad esso in tema di relazioni tra i fruitori di questo spazio. Pur essendo un luogo eminentemente di passaggio i ricercatori hanno evidenziato una stratificazione di occupazione del suolo che va dagli abitanti (residenti nelle case che si affacciano sulla piazza o nella strade limitrofe), agli studenti della vicina università che vi passano o stazionano, ad una serie di persone percepite come “devianti”: punkabestia, extracomunitari, senza fissa dimora, spacciatori che agiscono nella vicina via Zamboni. Se nel primo saggio si manifestava l'impossibilità di gestire e di capire i comportamenti collettivi delle minorante descritte, qui gli autori al contrario evidenziano la polisemia che il luogo presenta in relazione agli intervistati: per i resistenti e i comitati di quartiere che lì sono nati, la piazza rappresenta il fallimento dei progetti di “riqualificazione” della zona di S. Vitale, il degrado e la mancanza di sicurezza; per gli studenti invece si tratta di uno spazio “morto”, dove non esistono processi di aggregazione e così via. Ma Bologna non è Parigi, ossia non è un Centro con una periferia turbolenta e mobile: qui i conflitti non hanno una rilevanza nazionale, ma a volte nemmeno locale. Non ci sono più corpi intermedi importanti (Municipio, Università) che gestiscono questi conflitti, perché anche laddove i diversi gruppi riconoscono l'insufficienza delle politiche dell'amministrazione, gli strumenti utilizzati da ciascuno per avere visibilità sono sempre diversi e soprattutto non sono politici in senso tradizionale. È il segno di una parcellizzazione e progressiva marginalizzazione del politico rispetto alle strategie complessive (la stessa cosa, notano gli autori, accade anche alle diverse componenti del movimento studentesco bolognese)
Francesco Macarone Palmieri, antropologo specializzato nell'analisi delle sottoculture e controculture contemporanee, presenta una serie di microconflitti che hanno come orizzonte la città di Roma. Minoranza, per l'autore, si contrappone a moltitudine e si caratterizza per il fattivo e attivo tradimento della maggioranza; i fattori esaminati sono “la composizione del gruppo, il legame mentale come attrattore identitario, gli spazi e i tempi del conflitto” (p.78). Storicamente l'analisi parte dalla contestualizzazione del movimento delle occupazioni, dei centri sociali autogestiti e della cultura rave (fine anni Novanta); concettualmente questa nuova visione della minoranza iperspazializzata si concretizza in un esempio prettamente romano, il “comitato certosa contro l'elettrosmog”, una protesta di quartiere contro l'installazione di un ripetitore sul tetto di un palazzo abitato in prevalenza da immigrati, e che non rispetta la normativa vigente (legge Gasparri) in materia di elettrosmog. Il comitato ha una vita brevissima, un anno appena: quando ottiene la vittoria e l'antenna contro cui aveva protestato viene smantellata, si scioglie perché il legame comune tra i suoi membri non sopravvive alla mancanza di un sostrato politico più forte. Successivamente l'autore sceglie altri significativi esempi di minoranza attive: Critical Mass, Consumo Critico, No VAT, Movimento Queer, ossia gruppi di aggregazione che vogliiono riprendersi le strade, gruppi di acquisto solidale, gruppi contro l'ingerenza del Vaticano in Italia in materia di diritti civili e delle persone omosessuali e gruppi radicali di liberazione L.g.b.t . Si tratta di fenomeni nuovi, ancora un “rumore di sfondo”, come lo definisce l'antropologo, che potrebbe emergere come un rombo di tuono in una sinistra che in quest'ultimo periodo si mostra quanto mai inerte di fronte ai mutamenti sociali.
Il penultimo saggio, Nuove baie, nuovi Pirati. Reti telematiche e forme politiche di Antonio Tursi, è dedicato al non luogo per eccellenza, cioè la Rete – il titolo si riferisce al noto sito di scambio peer to peer The Pirate Bay, che in Italia è stato oscurato. Esperienze simili nascono dall'esperienza degli hacker, i pirati informatici che agiscono nella rete su due livelli: sono loro a creare le novità maggiori in ambito software, che quindi modificano, migliorandole, le tecnologie di comunicazione; ed agiscono in nome di un'etica collaborativa, all'insegna del dono, ossia la possibilità di scambiare liberamente contenuti ed informazioni. Lo scambio libero dell'etica hacker sostituisce il libero scambio merceologico: non a caso i siti di scambio sono da sempre nel mirino delle multinazionali dell'informazione (cinema, programmi televisivi, musica, software sono ovviamente i contenuti che viaggiano maggiormente in rete) Il diritto tradizionale, tuttavia, non sembra in grado di contrastare efficacemente questo tipo di scambio: è basato su criteri nazionali, sulla presenza di “corpi fisici” del reato, sul diritto d'autore, mentre la cosiddetta pirateria informatica è transnazionale ed è virtuale, perché non si nutre di “oggetti” ma di bit e quanto al diritto d'autore molti artisti stanno già approfittando della rete per aggirare il potere delle multinazionali, ottenendo ugualmente dei profitti. Così, quella che in apparenza sembra una battaglia persa (i Davide di The Pirate Bay contro i Golia della multinazionali) in realtà vede la vittoria degli hacker. Qui si è realizzato un salto in avanti rispetto alle prime generazioni di tecnici dela rete: ora gli hacker siamo noi, tutti noi, inclusa chi scrive, tutti coloro cioè che hanno usufruito della gratuità della rete e del file sharing. Siamo tutti minoranza.
Il passaggio ulteriore è di tipo politico. L'autore presenta due alternative: una è il “Manifesto hacker di McKenzie, una sorta di lotta di classe dei lavoratori immateriali, l'altra è la strada intrapresa dai fondatori svedesi di The Pirate Bay, la fondazione di un partito politico, una scorciatoia, probabilmente, rispetto ai problemi posti dal copyright, ma il primo passo per rendere istituzionali istanze che molti giovani (e, aggiungo, meno giovani, condividono) e che ha già generato le licenze Creative Commons.
L'ultimo saggio, I prescelti da Dio, Religioni e forme spaziali di Emiliano Ilardi e Fabio Tarzia, si occupa delle grandi religioni monoteiste e del loro rapporto con le minoranze. Nel rapporto tra luteranesimo/ calvinismo e cattolicesimo gli autori fanno risalire la radice di una sfida che, nell'attuale sviluppo delle sette evangeliche anche in Italia, mette la chiesa cattolica in posizione di forte svantaggio.
Non è casuale che questa raccolta di saggi affronti temi così tecnici. Le caratteristiche e i costi della complessità sociale in cui viviamo richiedono, filosoficamente, una pluralità di punti di vista differenti. I temi affrontati sono solo apparentemente di scarsa rilevanza: vanno a toccare, in modo nuovo, diritti e questioni fondamentali della filosofia politica, come la libertà di opinione, di religione, di costruire “piani di vita” (per dirla con Rawls) rispettosi della propria individualità, morale e sessuale. Il tutto avviene mentre ci si chiede se abbia ancora senso parlare di un sé in senso puramente metafisico o di identità personale, una prospettiva che Robert Nozick affrontava nella prima parte di Philosophical Explanations (1981), ma che in Italia è ancora relativamente nuova.
I testi richiedono tuttavia al lettore una serie di competenze di tipo linguistico e un' informazione pregressa relativamente ad alcuni argomenti (se in Italia è impossibile ignorare i no TAV, ad esempio, non tutti credo siano inf ormati dell'esisteza dei no VAT(icano). Al contrario, ciò che ritengo più interessante è propio il tentativo di utilizzare le metodologie delle scienze sociali per comprendere un cambiamento che, ai nostri occhi è ormai molto più di un “rumore di sfondo”.

Indice

Massimo Ilardi, Minoranze 
Angelo Petrella, Napoli in rivolta. Dagli stadi alle discariche 
Giuseppe Scdurra, La produzione di conflitti. Il caso di Piazza Verdi a Bologna 
Francesco Macarone Palmieri, Micropolitiche della libertà. Corpi, territori, desideri 
Antonio Tursi, Nuove baie, nuovi Pirati. Reti telematiche e forme politiche 
Emiliano Ilardi e Fabio Tarzia, I prescelti da Dio, Religioni e forme spaziali 
Note biografiche sugli autori.


Il curatore

Massimo Ilardi insegna Sociologia Urbana presso la Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno, Università di Camerino. È stato direttore della rivista ‘Gomorra’. Le sue ultime pubblicazioni sono: Negli spazi vuoti della metropoli (1999), In nome della strada. Libertà e violenza (2002), Nei territori del consumo totale. Il disobbidiente e l’architetto (2004), Il tramonto dei non luoghi. Fronti e frontiere dello spazio metropolitano (2007).

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