Recensione di Rossella Mascolo - 15/02/2010
Filosofia della scienza, Filosofia teoretica (gnoseologia)
Denso e complesso, come la filosofia della complessità che lo anima, il testo di Luisa Damiano si muove in un territorio ancora nuovo rispetto alle scienze cognitive, tradizionalmente basate sul paradigma rappresentazionalista della realtà. L’autrice tratteggia un fertile orizzonte del sapere, che si estende nello spazio-tempo attraverso la storia delle idee di oriente e occidente e che nutre un atteggiamento filosofico-scientifico completamente diverso da quello cosiddetto cognitivista o meglio, come dice Damiano, computazionalista.
Con l’intento di mettere a fuoco le caratteristiche della scienza dell’auto-organizzazione, emersa durante il Novecento, Luisa Damiano, per dirla con lei, “imbastisce” una trama che mette in correlazione molteplici nodi della rete spazio-temporale delle idee, producendo la visione di un vasto momento storico a cui afferiscono i numerosi pensatori della complessità e più in particolare dell’auto-organizzazione da lei portati a dialogare, come se ci fosse una sottile rete che unisce l’evolversi del loro pensiero, magari a loro insaputa, in maniera corale, complementare e reciprocamente integrativa. Si passa da Piaget a Weiss, a Prigogine e Stengers, Wiener, von Foerster, Atlan, Morin, per citarne alcuni, oltre ovviamente a Maturana e Varela. In particolare è da alcuni snodi cruciali della filosofia di quest’ultimo che si dipana il discorso della Damiano. Di tutti gli autori, protagonisti della cosiddetta ricerca pioniera, che si è da lei invitati a ripercorrere attraverso le pagine del saggio, viene offerta una personale e profonda re-interpretazione, attraverso una particolare metabolizzazione linguistica, per poi far emergere, dapprima implicitamente e poi sempre più esplicitamente, la propria prospettiva epistemologica.
Già questa si esprime nel modo originale di considerare l’aggettivo “complesso”, che qualifica le scienze, riferito dall’autrice “a una proprietà non ontologica, ma epistemologica, interpretando la complessità come l’irriducibile eccedenza della realtà esplorata rispetto alle capacità descrittive di qualsiasi sistema categoriale” (p. 19). Si offre, così un nuovo modo di fare scienza, più “anti-classico” che “post-classico” (p. 20), con “novità evolutive”, negate dalla tradizione newtoniana. Di questa, vengono anche rifiutate le pretese di “onniscienza” e il potere dell’osservatore-spettatore assoluto della natura, cui si sostituisce un osservatore che fa parte sin da subito della “realtà” ambientale. Le parole della Damiano cercano di far da ponte, da traduttore quasi, fra il linguaggio tipico dell’ortodossia epistemologica cognitivista e quello del radical embodiment di vareliana memoria. Così lei delinea la prospettiva epistemologica dei suoi pensatori “pionieri”: “È un modo di fare scienza che chiede al descrittore di lasciare al proprio oggetto uno spazio e un ruolo autentici nel rapporto conoscitivo. Sollecita a far partecipare il reale al processo della sua reificazione, intavolando una “negoziazione” sulle categorie e sui modi della costruzione […]. È un modo di fare scienza che i pionieri hanno chiamato dialogo, evidenziandone l’analogia con il luogo intersoggettivo della “conversazione”” (p. 20).
Autonomia e dialogo fanno sorgere il suo nuovo “oggetto teorico”, che lei va esplorando secondo un progetto ben definito e chiaro sin dall’inizio. È, infatti, molto ben studiata l’organizzazione del libro, che risulta diviso in due parti. Esse corrispondono alla trattazione delle “due direttrici esplorative complementari, portatrici di due tesi che, articolandosi, inscrivono il modello in una proposta epistemologica rivolta alla scienza cognitiva e a tutte le altre scienze che studiano oggetti appartenenti alla stessa classe dell’osservatore – ‘sistemi che osservano’ ” (p. 8). Tali linee direttrici si sviluppano dal progetto di “prospettare genealogia e attualità – origini e potenzialità” di un nuovo “oggetto teorico”, ciò che Varela ha chiamato di volta in volta “unità conversazionale”, “sistema autonomo”, “sé emergente”, che Luisa Damiano ricaratterizza con la denominazione, diciamo collettiva, di “unità in dialogo”. Vengono, pertanto, delineate, come ella dichiara nell’introduzione generale, “due diverse direzioni d’indagine, orientate l’una verso le fonti scientifiche e l’altra verso le possibilità applicative dello schema” (pp. 7-8).
Così, nella Parte I del suo saggio, Damiano ricostruisce “i segmenti dimenticati” della storia della scienza cognitiva, dedicando “ampio spazio alla genealogia del modello vareliano” e al contempo alla nascita della scienza dell’auto-organizzazione. In particolare, nella Sezione 1 si “delinea il processo di costituzione della ricerca pioniera, introducendo l’equazione teorica e l’assetto euristico con cui i primi esploratori hanno raggiunto il confine tra scienza della natura e scienza della cognizione”, mentre nella Sezione 2 si prospettano “i movimenti primari della biologia autopoietica, mostrando come essi abbiano arricchito l’eredità dei pionieri della radicalità autonomista che ne caratterizza l’espressione inattiva” (p. 25).
Nella Parte II, tenendo conto del fatto che “la cognizione intersoggettiva costituisce uno dei territori fenomenici in cui la modellistica di fattura embodied cognitive science confligge maggiormente con quella computazionalista” (p. 191), Luisa Damiano prova a far interagire quanto è scaturito dai recenti studi sui neuroni specchio, con il radical embodiment di Varela, per darne una duplice lettura, “affidandone il contenuto gnoseologico non solo a una teoria, ma anche a un’euristica autonomista dell’intersoggettività” (p. 193).
Il linguaggio che l’autrice utilizza avvolge immediatamente il lettore, rivestendo di poesia i contenuti che trasmette, pur mantenendoli ancorati ad una rigorosa correttezza logica. Di grande utilità si presentano i box, i quali, insieme agli intermezzi e alle schede di sintesi, arricchiscono ulteriormente il libro, vere e proprie documentazioni, che, in maniera originale, affrontano in modo storico-teoretico alcuni degli argomenti cui ci si riferisce nel testo, offrendone un’ulteriore chiave di lettura. Vengono portati in primo piano quei punti che, per la Damiano, sono efficaci per una rilettura delle teorie secondo uno sguardo nuovo che le lega sempre al comune filo conduttore della “ricerca pioniera”.
Qualche perplessità fa sorgere l’uso di termini che, in qualche modo, riportano all’epistemologia di tipo oggettivista. È il caso già del sottotitolo “un nuovo stile per la conoscenza” o proprio il dire, da parte di Luisa Damiano, che si occuperà di un nuovo “oggetto teorico” o l’uso che lei fa del termine “paesaggio ambientale” (p. ad es. 252 e 253). È chiaro che se, come spiegato nel libro, la parola “oggetto” perde quell’accezione identificativa di un qualcosa di indipendente dal soggetto conoscente, che in genere l’ha connotata durante secoli di storia delle idee dell’occidente, la nostra critica non ha più ragion d’essere, ma purtroppo c’è molta strada da fare e ancora certi termini non possono non rievocare atteggiamenti legati alla tradizione cognitivista, che qui si intende superare. È questo, secondo noi, il caso di una certa modalità estetizzante, che potrebbe essere veicolata da alcuni termini usati nel testo e che tenderebbe a creare uno iato fra soggetto e oggetto della conoscenza. D’altro canto, Damiano sottolinea come, nella nuova prospettiva epistemologica, l’osservatore, che potremmo chiamare partecipante, non ha la possibilità di sorvolare con il suo sguardo il paesaggio, essendovi di per sé immerso, proprio come sostiene Francisco Varela. Inoltre, “l’unità in dialogo” della Damiano, come opzione co-emergente del processo cognitivo, vuole essere dichiaratamente anticlassica, come una declinazione dell’accoppiamento embricato, del radical embodiment vareliano (p. 253); secondo tale prospettiva, come lei poi ben spiega, è talmente forte il legame noi-altro da noi, che il problema che si pone è piuttosto quello “di chiarire come il conoscente riesca a tracciare i confini che lo distinguono dall’altro” (193). Perché, però, poi, separare teoria ed euristica nella costruzione del sapere? Forse l’esigenza di spiegare una confluenza, che è anche un superamento di una separazione, intrappola di nuovo nel linguaggio cartesiano dei dualismi, che la filosofia di Maturana e Varela aveva, invece, provato a liquefare, trascendendoli. Del resto, per la Damiano il sapere scientifico si colloca ora al difficile confine fra l’invenzione, della tradizione post-razionalista, e la scoperta, come era nella tradizione precedente (p. 80), poiché l’abbandono di quest’ultima richiederebbe quello di quel substrato noumenico cui lei mostra di non voler rinunciare.
È indubitabile che il testo di Luisa Damiano offra forti spunti di riflessione e aperture di senso, che, producendo nuovi orizzonti conoscitp. mettono in gioco il lettore e ne fanno un co-produttore di conoscenza in dialogo con le complesse parole dell’autrice. In sintesi, ci sembra di poter dire che la proposta epistemologica della Damiano sia vicina all’epistemologia di Morin, mantenendo solo “un’inclinazione costruttivista” (p. 69), ma non del tipo radicale, e che non sceglie neanche del tutto l’impostazione autopoietica, poiché quest’ultima, secondo noi, non si situa sul versante naturalistico della conoscenza, ma presenta in sé un tentativo di scardinare all’origine le barriere fra i saperi. Più specificamente, l’epistemologia di Luisa Damiano si assume l’arduo compito di consegnare alla razionalità dello “scienziato un ruolo nuovo, che non è né quello classico dello ‘spettatore assoluto’, né quello, opposto, di un assoluto costruttore”, ma è l’interlocutore di una natura (p. 70), che con la sua resistenza (p. 75) si sottrae al potere univoco del ricercatore di determinare i parametri della modellizzazione scientifica, spingendolo a “scommettere […] sulle modalità con cui va interrogata la realtà” (p. 80). In una “concettualizzazione doppia, teorica ed euristica” (p. 71), dove forse “doppio” non deve essere inteso nel senso del classico dualismo cartesiano, ma come l’allusione agli estremi di una diade di per sé indivisibile, il suo paradigma conoscitivo, legato al concetto di complessità, per come è da lei inteso, disegna un nuovo albero della conoscenza; questo, cercando di liberarsi dell’ontologia (p. 113-114), si radica peraltro al rifiuto sia della conoscenza scientifica considerata come costruzione soggettiva arbitraria, sia “di una scienza in grado di fornire una ricostruzione teorica fedele della struttura profonda della realtà”, impegnandosi anche a dare una “nuova nozione di validità oggettiva”, la cosiddetta pertinenza euristica (p. 76).
Considerare tale proposta, come si legge sulla quarta di copertina, come il tentativo rivoluzionario di innovazione che consiste nel sostituire il modello classico di riferimento della scienza cognitiva, che è quello basato sullo schema ingegneristico dell’elaboratore, con lo schema naturalistico del sistema auto-organizzatore, per quanto la si designi come disegno di nuova concezione, non le rende sufficientemente giustizia.
Nonostante lei stessa esplicitamente offra “la frontiera dell’autonomia”, che il saggio cerca di disegnare da diverse angolazioni, alle scienze in genere, con già l’importante superamento della barriera fra scienze naturali ed umane, cui lei aggiunge le scienze artificiali, categoria su cui pure potremmo discutere, riteniamo che la sua proposta epistemologica possa andare ben oltre.
Il suo modello, infatti, ci sembra in grado di esprimere una teoria conoscitiva completamente nuova, in una rifondazione totale della conoscenza, in una prospettiva di per se stessa interamente dialogante.
Indice
Prefazione di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti
Introduzione generale. Genealogia e attualità di un oggetto teorico rivoluzionario
PARTE I. AUTONOMIA E CONOSCENZA. LA SCIENZA IN DIALOGO CON LA NATURA
SEZIONE 1 – L’auto-organizzazione e il dialogo con la natura. Un modello disegnato su uno sfondo epistemologico
1. L’eredità teorica della ricerca pioniera. Lineamenti genealogici e teorici dell’equazione tra autonomia e cognizione
2. L’eredità euristica della ricerca pioniera. L’autonomia come esperienza, comprensione teorica e stile di conoscenza
Intermezzo I – Autonomia e metamorfosi della scienza: la genesi di nuovi alberi della conoscenza
SEZIONE 2 – Autopoiesi e descrizione di coordinazione. Costruzione del punto di vista interno, ricostruzione del concetto di cognizione
3. Teoria dell’autopoiesi ed euristica del dialogo. L’albero della conoscenza nato dalla trasposizione immaginativa nello spazio dell’altro
4. Il dialogo con l’unità autopoietica. Costruzione teorica dello spazio dell’altro, simmetrizzazione dei rapporti di forza, descrizione di coordinazione
Intermezzo II – Enazione e dialogo
PARTE II. UNITÀ IN DIALOGO. LA CONOSCENZA CHE CREA UNITÀ
5. Unità dialoganti. Impalcature di una mente radicalmente incorporata
6. Mirror neurons e meccanismi di mirroring.
La neurofisiologia sperimentale incontra il soggetto emergente interindividuale
7. La conoscenza che crea unità. Angolazioni sulla regione dell’intellegibilità dialogica
Bibliografia
L'autrice
Luisa Damiano (Ph.D. in Antropologia ed Epistemologia della Complessità) fa ricerca nell’ambito dell’epistemologia dei sistemi complessi, occupandosi in particolare della produzione teorica e sperimentale delle scienze dell’auto-organizzazione e delle scienze cognitive. Collabora con il Centro di Ricerca in Antropologia ed Epistemologia della Complessità (CE.R.CO, Università di Bergamo), è membro dell’équipe Origins of Life (Gruppo Luisi, Università di Roma Tre, Programma SynthCells) e dal 2007 al 2009 ha lavorato presso il Graduate School of Core Ethics and Frontier Sciences (Ritsumeikan University, Kyoto). Qui, in qualità di Post-doctoral Fellow JSPS (Japanese Society for the Promotion of Science) e sotto la supervisione del Prof. Paul Dumouchel, ha sviluppato il progetto di ricerca Empathy at Frontier Sciences, di cui Artificial Empathy costituisce una diramazione. Ha dedicato all’analisi di teoria ed euristica delle scienze dell’auto-organizzazione alcuni articoli e il libro in questione. Attualmente lavora presso la Computer Science School della University of Hertfordshire (Regno Unito), dove si occupa dell’analisi epistemologica e del design degli esperimenti del gruppo di robotica epigenetica diretto dalla Prof.ssa Lola Canamero, con la qualifica di Research Fellow in Socio-Emotional Development of Robots.
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