martedì 9 marzo 2010

F. Desideri, G. Matteucci, J.-M. Schaeffer (a cura di), Il fatto estetico. Tra emozione e cognizione.

Pisa, ETS, Collana Philosophica, Serie blu a cura di L. Amoroso, 2009, pp. 196, € 16,00, ISBN 978-884672461-8.

Recensione di: Manrica Rotili - 09/03/2010

Il testo curato da Fabrizio Desideri, Giovanni Matteucci e Jean-Marie Schaeffer raccoglie gli atti del convegno franco-italiano svoltosi a Firenze nel 2007, che ha visto estetologi, filosofi della cognizione, psicologi e antropologi confrontarsi su un argomento che pare essere al centro dell’attenzione dei dibattiti sia di natura analitica sia continentale degli ultimi anni: si tratta del rapporto tra la dimensione emotiva e la dimensione cognitiva del fatto estetico. L’obiettivo del testo è proprio quello di analizzare il rapporto tra queste due dimensioni caratterizzanti del concetto, sfatando l’approccio tradizionale affezionato solo alla dimensione sensibile. 
Concepito come concretum dell’esperienza umana, il fatto estetico viene analizzato da una pluralità di orientamenti e riportato quindi alla sua dimensione antropologica di medium del rapporto tra uomo e mondo. È sufficiente uno sguardo all’indice per farsi un’idea della varietà e della complessità di temi trattati e per comprendere la necessità di una loro organizzazione il più possibile sistematica. Così, ricalcando la struttura del convegno, il testo si articola in quattro sezioni. La prima, “Il tenore cognitivo dei fatti estetici”, chiarisce i margini entro i quali verrà sviluppata la questione, ed è inaugurata dal saggio di Jean-Marie Schaeffer. Lo studioso francese nega l’esistenza di una cognizione specificatamente artistica, pur riconoscendo l’attivazione estetica dell’attività cognitiva come una delle principali finalità di un artefatto artistico e sebbene accetti che l’arte possa essere uno dei veicoli cognitivi più potenti. Il punto di partenza della sua tesi è che lo statuto cognitivo delle arti verte sullo statuto cognitivo di un insieme di produzioni umane (rappresentazioni in immagini, in suoni, creazioni artistiche di vario tipo) che tendono, più di altre, a diventare oggetto di una relazione estetica. Nella misura in cui questa relazione è di tipo attenzionale, essa è una modalità della relazione di conoscenza, ma posto che non esista un’attenzione specificatamente estetica, ma che esista piuttosto una specifica relazione al mondo che è appunto la relazione estetica, il modo attenzionale relativo a questo tipo di relazione può produrre conoscenza con la stessa legittimità degli altri modi attenzionali? Questa è una delle questioni-guida della riflessione di Schaeffer volta a mettere in chiaro che domandarsi se un certo tipo di produzioni umane trasmette conoscenza, non è la stessa cosa che domandarsi se un certo tipo di attenzione, e in particolare quello relativo alla relazione estetica, possa fungere da veicolo cognitivo. 
A seguire il saggio di Fabrizio Desideri, che parte dal presupposto che non esista alcun fatto estetico che non implichi un evento percettivo concepito innanzitutto come esperienza percettiva di qualcosa. Pertanto il quid del fatto estetico, quello che lo differenzia, ad esempio, da un fatto etico o da un fatto epistemico, si deve individuare anzitutto nella percezione stessa. Ma sarebbe estremamente riduttivo far semplicemente coincidere l’estetico con il percettivo, sottolinea Desideri, perché “la dimensione estetica dell’esperienza non costituisce soltanto una sottospecificazione dell’atteggiamento cognitivo nei confronti del mondo […] ne configura piuttosto la genesi mai raggiunta, mai superata del suo sviluppo funzionale” (p. 35). Pertanto la dimensione estetica dell’esperienza costituisce piuttosto un’anticipazione temporale e strutturale dello sviluppo dell’atteggiamento cognitivo. È in tale ottica che l’estetica si pone per Desideri come una meta-funzione che permea l’intero campo della nostra esperienza. 
Chiude la prima triade di riflessioni di questa parte iniziale Pietro Montani che propone una riflessione sul piacere della comprensione attraverso una rilettura della terza critica kantiana e richiami ad alcuni dei più importanti filosofi continentali, quali Heidegger, Adorno, Lyotard e soprattutto Gadamer. Montani propone di vedere nella trattazione kantiana dell’arte una determinazione del sentimento di piacere e il suo legame con la comprensione. Il piacere del comprendere va pensato nella sua relazione chiasmatica della reversibilità e dell’eccedenza (della ragione rispetto alla finitezza del sensibile e del sensibile rispetto ai concetti) e dell’inadeguatezza (dell’immaginazione in un caso, dei concetti e del linguaggio, nell’altro). L’autore suggerisce che l’intreccio tra etica, estetica e processi cognitivi vada cercato proprio in questo chiasma. 
La seconda sezione intitolata “Il fatto estetico tra psicologia e neuroscienze” affronta la questione da una prospettiva prettamente psicologica e di filosofia della mente e viene introdotta da Jérôme Dokic. Dopo aver preso in considerazione i vari casi di riduzionismo estetico e dopo aver mostrato il suo scetticismo verso il modularismo estetico, Dokic suggerisce che il modello di mente più adatto a chiarire la natura della competenza estetica sia una forma di riduzionismo non modulare. Quindi, se da un lato è difficile individuare un’essenza estetica soggiacente al cosiddetto “senso estetico”, (il quale si riduce ad un insieme variegato e non omogeneo di competenze), dall’altro la risposta estetica non può essere il risultato di un processo impermeabile al giudizio e all’insieme di conoscenze di un soggetto, essendo, al contrario, potenzialmente sensibile ad esse. In tal senso Dokic accosterebbe la risposta estetica ai cosiddetti sentimenti metacognitivi (come il sentimento di illusione, di sorpresa, di timore, etc.). 
È Lucia Pizzo Russo a riflettere sul binomio arte-emozione con uno sguardo attento alla nozione di empatia, di cui la studiosa traccia un’interessante sintesi storico-teorica. Arte, emozione e empatia vengono interrogate in rapporto alla cognizione e Pizzo Russo procede nella sua disamina prendendo in prestito una delle affermazioni di Goodman più contrastate: "nell’esperienza estetica le emozioni funzionano cognitivamente" (p. 80). Contro una concezione statica della percezione Pizzo Russo rimanda in primis ad Arnheim, per il quale è la percezione, intesa dinamicamente, a carpire le qualità espressive dell’oggetto artistico e non qualche imperscrutabile facoltà conoscitiva. Ma i riferimenti che costellano il saggio della studiosa sono molteplici: da Langer a Le Doux, a Lipps, Köhler, Freedberg, Goleman ed Elkins, solo per citarne alcuni. Un denso percorso che tocca questioni relative alle interpretazioni del 'sentire', alla fenomenologia (diffusa) dell’emozione estetica, alla percezione empatica e a quella sensoriale con lo scopo di insistere sul fatto che il potere dell’arte è proprio quello di essere un veicolo privilegiato di emozione e conoscenza. 
Publics, piccole percezioni, affordances emozionali, imaging parietali, vection e soddisfazione estetica, valutazioni attenzionali e preattenzionali sono invece alcuni dei concetti che disegnano la riflessione di Gabriel Ruget sulla circolazione estetica. Lo studioso si interroga sulle tecniche di trasformazione e innovazione della creazione collettiva cercando di tracciare il percorso evolutivo dell’immagine che lega il collettivo all’individuale, un percorso che Ruget mette in relazione con le strategie del mu’en e dello za risalenti alla tradizione Giappone Medievale. 
La terza sezione,“Il fatto estetico tra simbolicità e ontologia”, è introdotta da Giovanni Matteucci il quale è interessato ad approfondire il legame tra estetico e simbolico e in particolare a rispondere al seguente interrogativo: se e in quale misura l’estetico di per sé determina l’insorgenza di funzioni simboliche che lo predispongono a eventuali stratificazioni culturali di senso? Proponendo un approfondimento di ordine antropologico-filosofico e culturale e chiamando in causa due modelli di teoria della percezione, quello di Cassirer e quello di Gehlen, Matteucci risponde positivamente alla questione: non solo nella costituzione della simbolicità sono presenti dei fattori estetici, ma a dotare di elementi emotivi e cognitivi il fatto estetico sono proprio le funzioni simboliche che sorgono all’interno della stessa dimensione percettiva. 
Attraverso un’analisi minuziosa della terza critica kantiana, Elio Franzini evidenzia due questioni in cui appare con chiarezza l’aspetto simbolico del 'sentire': la questione relativa al sublime e quella relativa al genio. Se il sensibile isolato dalla forma intellettuale non porta a nessuna conoscenza, può però 'far pensare' ponendo in movimento la facoltà della ragione. Ad unire immagine e pensiero sono le idee estetiche che Kant chiama anche simboli perché tendono a congiungere in modo dinamico, costruendo insieme appunto immagine e pensiero. Il sentimento attraverso le idee estetiche e il sublime acquisisce così una simbolicità a priori che, sottolinea Franzini, permette di "non rinchiudere l’idea di opera o di forma né in un contesto categoriale e definitorio, né in un particolarismo empirico" (p. 146). È proprio la 'simbolicità del sentimento' che sta alla base della formazione del valore estetico che, a sua volta porta in evidenza "quel terreno estetico il cui senso è correlato al fungere attivo passivo del soggetto" (p. 147). 
Infine Philippe Descola, che prende le mosse dalla tesi di Alfred Gell secondo cui "il modo migliore di avvicinare gli oggetti d’arte è di trattarli […] come degli agenti dotati di un’intenzionalità delegata e eventi a questo titolo un affetto sul loro ambiente" (p. 149). Avvalorando l’assunto che attribuisce alle immagini una vita doppia (una statica e una dinamica), Descola suggerisce di concepire l’arte come un sistema di azioni destinato a cambiare il mondo. 
L’ultima sezione, “Il fatto estetico e la frontiera delle arti contemporanee”, è dedicata allo statuto dell’opera d’arte. Prendendo le mosse dal concetto benjaminiano di 'immagine dialettica', un’immagine al contempo opaca e trasparente, qualcosa che presenta e che rappresenta, Giuseppe Di Giacomo riflette sulla triade immagine, icona e opera d’arte. Intesa come tentativo di mostrare ciò che non si può vedere, l’immagine mostrando se stessa rimanda a qualcos’altro, diventando in tal modo icona dell’invisibile. L’autore riflette a lungo su questa potenzialità dell’icona di lasciare apparire la traccia dell’invisibile: "in essa il visibile non apre a un altro visibile, ma all’altro del visibile" (p. 171). Nella moltitudine delle forme artistiche contemporanee l’icona rappresenta per Di Giacomo un’alternativa ad una concezione unidimensionale dell’immagine. 
Anche la riflessione di Ubaldo Fadini è votata al contemporaneo. A partire dall’estetica dell’apparizione di Virilio secondo la quale la percezione del mondo artistico si deve cercare nei grandi capolavori della pittura e della scultura, Fadini approfondisce il corrispettivo opposto di questo tipo di estetica, ovvero l’estetica della sparizione. Nata nell’Ottocento in concomitanza con la rivoluzione industriale essa è il risultato della nuova scansione del tempo inaugurata dalle macchine: la fotografia, il cinema e poi la televisione mettono in moto l’estetica ed è questo movimento, questa velocità a trasformarla radicalmente. Insieme all’estetica cambia anche la fruizione e la percezione dell’opera, si inizia ad indagare insieme alla forma, l’antiforma e l’interforma, e al di là della forma lo fondo: "l’effetto è quello della persistenza retinica, il processo è quello del passaggio dalla persistenza del substrato materiale alla persistenza cognitiva della visione" (p. 184). A ribadire ancora una volta che il fatto estetico è unione intrinseca di emozione e cognizione. 

Indice

Prefazione (F. Desideri, G. Matteucci, J.-M. Schaeffer)
Parte Prima Il tenore cognitivo dei fatti estetici
Relazione estetica e conoscenza, J.-M. Schaeffer
Estetica e meta-estetica: vincoli percettivi, gradi di libertà, anticipazioni cognitive, F. Desideri
Il piacere della comprensione: un’esperienza da ripensare?, P. Montani
Parte Seconda Il fatto estetico tra psicologia e neuroscienze
L’architettura cognitiva del senso estetico, J. Dokic
Arte ed emozione, L.P.Russo
Circolazione estetica nelle opere e nel corpus, G. Ruget
Parte Terza Il fatto estetico tra simbolicità e ontologia
Fattori estetici nella costituzione della simbolicità, G. Matteucci
Simbolicità del sentimento, E. Franzini
La doppia vita delle immagini, P. Descola
Parte Quarta Il fatto estetico e la frontiera delle arti contemporanee
Immagine, icona, opera d’arte, G. Di Giacomo
Bunker. Figure della sparizione in P. Virilio U. Fadini
I curatori
Indice


I curatori

Fabrizio Desideri è professore di Estetica presso l’Università di Firenze. Tra le sue opere: L’ascolto della coscienza. Una ricerca filosofica (Milano 1998); Il fantasma dell’opera. Benjamin, Adorno e le aporie dell’arte contemporanea (Genova 2002); Il passaggio estetico. Saggi kantiani (Genova 2003); Forme dell’estetica. Dall’esperienza del bello al problema dell’arte (Roma-Bari 2004); insieme a Giovanni Matteucci ha curato i volumi Dall’oggetto estetico all’oggetto artistico (Firenze 2006) ed Estetiche della percezione (Firenze 2007); con Massimo Baldi ha curato il volume, Paul Celan. La poesia come frontiera filosofica (Firenze 2008). Recentemente ha pubblicato (con C. Cantelli), Storia dell’estetica occidentale. Da Omero alle neuroscienze (Roma 2008). 
Giovanni Matteucci è professore associato di Estetica presso l’Università di Bologna. Tra le sue opere: Anatomie diltheyane (Bologna 1994), Per una fenomenologia critica dell’estetico (Bologna 1998), Dilthey: Das Ästhetische als Relation (Würzburg 2004), Filosofia ed estetica del senso (Pisa 2005). Insieme a Fabrizio Desideri ha curato i volumi Dall’oggetto estetico all’oggetto artistico (Firenze 2006), Estetiche della percezione (Firenze 2007) e una nuova traduzione della Teoria estetica di Adorno (Einaudi 2009). 
Jean-Marie Schaeffer è Directeur d’études all’École des hautes etudes en sciences sociales (EHESS) e president del CRAL (Centre de recherché sur les arts et le langage) CNRS-EHESS. Tra i suoi libri: L’image precaire. Du dispositive photographique (1987), L’art de l’âge modern. L’esthétique et la philosophie de l’art du xviie siècle a nos jours (1992), Adieu à l’esthétique (2000), La fin de l’exception humaine (2007).

Links

http://www.philos.unifi.it/CMpro-v-p-43.html (pagina personale di Fabrizio Desideri presso l'Università degli studi di Firenze)
http://www.unibo.it/SitoWebDocente/default.htm?UPN=giovanni.matteucci%40unibo.it (pagina personale di Giovanni Matteucci presso l'Università degli studi di Bologna)
http://cral.ehess.fr/document.php?id=203 (pagina personale di Jean-Marie Schaeffer presso il CRAL-EHESS)

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