sabato 3 aprile 2010

Berto, Francesco, L’esistenza non è logica. Dal quadrato rotondo ai mondi impossibili.

Roma-Bari, Laterza, 2010, pp. XXIV+283, € 16,00, ISBN 9788842092421

Recensione di Michele Paolini Paoletti – 03/04/2010

Filosofia analitica, Logica, Filosofia teoretica (Metafisica, Ontologia)

Il dibattito sulla nozione di esistenza è molto vivo nella filosofia analitica contemporanea, anche se affonda le proprie radici nella metafisica classica. Francesco Berto, esaminando il problema a partire dall’ambito della logica, realizza una monografia vivace, originale (soprattutto nel panorama italiano, che conosce questi indirizzi di ricerca generalmente in ritardo rispetto al resto d’Europa) e parzialmente accessibile anche ai non-addetti ai lavori. Dal punto di vista dell’autore, interrogarsi sull’esistenza significa (almeno inizialmente) chiedersi se l’esistenza sia o meno una proprietà logica, di che tipo di proprietà si tratti e quali cose si possano propriamente definire “esistenti”. Berto, riprendendo e correggendo alcune tesi di Alexius Meinong, giunge tuttavia ad affermare che “l’esistenza non è una proprietà logica, non è riducibile ai concetti logici” (p. XIX), che “l’esistenza è un predicato, e un predicato non logico” (p. XXII) e che non esistono necessariamente tutte le cose di cui si può parlare.

Sotto quest’ultimo aspetto, viene criticato l’”antico errore di Parmenide”, che fonderebbe la “received view” sulla nozione di esistenza: l’esistenza, secondo i “parmenidei”, non può essere propriamente negata di alcuna cosa poiché, per dire che “x non esiste”, occorre comunque riferirsi ad x e presupporne l’esistenza. More parmenideo, “tutto esiste” e l’esistenza può essere intesa come un predicato di secondo livello, dal momento che ciascuna cosa può essere ridotta, in linea di principio, ad una descrizione definita atta a produrne il riferimento. La “linea parmenidea” (comprendente filosofi come Frege, Russell e Quine) scivola però in alcune difficoltà: l’esistenza, anzitutto, sembra essere un predicato di primo livello; le parafrasi del verbo “esiste”, poi, sono perlopiù problematiche e non riescono a rendere ragione degli stati intenzionali (introdotti da verbi come “crede”, “pensa”, etc.); il principio parmenideo, infine, è self-refuting, poiché “si riferisce a cose che non esistono, per dire che non ci si può riferire ad esse” (p. 52).

Dopo aver connesso l’esistenza di una cosa con il suo “essere dotata di poteri causali”, Berto si accinge a difendere la tesi per la quale l’esistenza è una proprietà genuina (non fittizia), individuale e non-definibile e che “esiste”, a sua volta, è un predicato individuale e non-definibile. L’esistenza, allora, non può equivalere all’istanziazione di una proprietà. La filosofia di Alexius Meinong può supportare proprio quest’ultima distinzione. Per Meinong, infatti, l’essere di un oggetto (il suo Sein) è indipendente dal suo esser-così (Sosein), cioè dall’avere determinate proprietà (principio di indipendenza). Inoltre, posta una qualsiasi proprietà, vi sono oggetti che ne dispongono realmente, sia che si tratti di oggetti esistenti, sia che si tratti di non-esistenti (principio di comprensione). Il meinonghianismo puro, però, deve affrontare alcune difficoltà non irrilevanti: il principio di comprensione obbliga ad ammettere oggetti logicamente impossibili (come i cerchi quadrati) ed è poco restrittivo, visto che obbliga ad ammettere l’esistenza di qualsiasi cosa (giacché è pur sempre pensabile un oggetto qualsiasi dotato della proprietà “esistenza”). Il meinonghiano “ingenuo”, inoltre, non tiene conto del fatto che ogni oggetto non viene descritto solo dalle proprietà ad esso ascritte esplicitamente, ma anche da quelle implicite nelle proprietà ascritte. L’esistenza, infine, non fa più alcuna differenza per l’oggetto, dal momento che esso continua a sussistere con tutte le sue proprietà anche quando viene privato della proprietà “esistenza”; d’altro lato, come rileva Quine, non si comprende più come l’oggetto possa essere identificato senza l’esistenza.

Berto, dunque, acconsente all’esigenza di una correzione del meinonghianismo, fondata sull’introduzione dei mondi impossibili, del concetto di proprietà “existence-entailing” e sulla riformulazione del principio di comprensione. Ora, accettando che possono darsi (cioè che sono pensabili) mondi nei quali i principi della logica classica non valgono, l’autore spiega che il principio di comprensione deve ammettere l’istanziazione di certe proprietà in qualche mondo (possibile o impossibile). La concepibilità di un oggetto, pertanto, non si identifica più con la sua possibilità: anche i “cerchi quadrati”, pur essendo impossibili, sono in qualche misura concepibili. Berto dimostra queste tesi nel settimo capitolo del libro (quello sicuramente più tecnico), trattando dell’accessibilità al pensiero dei mondi impossibili. Da ultimo, le proprietà vengono distinte in proprietà che non implicano l’esistenza e proprietà “existence-entailing”, implicanti l’esistenza: un oggetto che non esiste nel nostro mondo, così, può comunque essere dotato di proprietà “existence-entailing”, senza che questo fatto conduca i meinonghiani ad ammettere la sua esistenza ed a commettere nuovamente l’”errore di Parmenide”.

Il meinonghianismo accettato da Berto consente di risolvere la maggior parte dei problemi connaturati al meinonghianismo “ingenuo”. Esso deve fare i conti, tuttavia, con una serie di problemi non-risolti, che vengono esposti nell’ultimo capitolo dell’opera e che costituiranno certamente un interessante punto di partenza per nuove riflessioni.

Ci sembra, però, che l’indagine condotta in questo libro debba essere integrata ed affiancata da nuove indagini sulla nozione di esistenza. Se dal punto di vista della logica può essere utile chiedersi se l’esistenza sia o meno un predicato/una proprietà e di che tipo di predicato/proprietà si tratti, dal punto di vista metafisico resta ancora inevasa la domanda sulla “natura” dell’esistenza. “Esistere” implicherebbe, secondo Berto, “avere poteri causali”, ma questa affermazione dovrebbe essere collocata e giustificata entro un quadro filosofico più ampio. Il compito da realizzare non sarebbe certamente né facile, né breve, ma costituirebbe il coronamento di un intero sistema di filosofia. La nozione di esistenza, infatti, è, in qualche misura, l’inizio ed il termine di ogni filosofare. La filosofia analitica contemporanea, pertanto, ha scelto un percorso interessante e potenzialmente fecondo, ma piuttosto lungo ed impegnativo. Fermarsi soltanto ad alcuni risultati e non spingersi continuamente oltre il limite dei problemi presenti sarebbe già una sconfitta.

Indice

Prologo - Un problema da nulla 
Ringraziamenti 
PARTE PRIMA – BREVE STORIA DI UN ANTICO ERRORE 
1. Il paradosso del non-essere 
2. Esistere e contare 
3. I guai della “received view” 
PARTE SECONDA – CIÒ CHE NON È 
4. L’esistenza è un predicato reale 
5. Meinong 
6. Meinonghianismi del primo, secondo e terzo tipo 
PARTE TERZA – INCONTRI RAVVICINATI (CON INESISTENTI) DEL TERZO TIPO 
7. Concepire l’impossibile 
8. Inesistenti del terzo tipo al lavoro 
9. Problemi irrisolti 
Bibliografia 
Indice dei nomi


L'autore

Francesco Berto insegna alle Università di Venezia, Milano-San Raffaele e Aberdeen, dove è membro del Northern Institute of Philosophy di Crispin Wright. Scholar alla University of Notre Dame (IN-USA), Chaire d’Excellence Fellow alla Sorbona, dove ha insegnato Ontologia all’École Normale Supérieure di Parigi. Cura le entries “Dialetheism” e “Impossibile Worlds” della Stanford Encyclopedia of Philosophy. Tra le sue pubblicazioni, Che cos’è la dialettica hegeliana? (Padova 2005), Teorie dell’assurdo (Roma 20062, Premio Castiglioncello giovani), How to sell a contradiction (Londra 2007), Tutti pazzi per Gödel! La guida completa al Teorema di Incompletezza (20094) e Logica da zero a Gödel (20106).

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