lunedì 30 agosto 2010

Strauss, Leo, La città e l'uomo. Saggi su Aristotele, Platone, Tucidide.

Genova-Milano, Marietti, 2010, pp. 354, € 28,00, ISBN 9788821187043.
[Ed. or.: The city and man, The University of Chicago Press, Chicago 1964]

Recensione di Antonino Scalone - 30/8/2010

Filosofia antica, Filosofia politica, Filosofia del diritto

Nell'Introduzione a The City and Man - classico della filosofia politica novecentesca oggi meritoriamente reso accessibile ai lettori del nostro paese da Carlo Altini, autore anche del saggio che apre l'edizione italiana - Leo Strauss spiega la stretta attualità e la necessità teoretica del suo ritorno alla filosofia politica classica. È a suo dire “la crisi del nostro tempo, la crisi dell'Occidente” (p. 37) a spingere irresistibilmente in questa direzione il filosofo che voglia essere tale. Infatti, proprio perché al presente appaiono in crisi le ragioni del vivere in comune, occorre rivolgersi a quella riflessione che per prima e meglio di ogni altra ha saputo mettere a tema “la città e l'uomo”, vale a dire l'oggetto specifico della filosofia politica (ibidem). Tale ritorno, che si basa sul presupposto della costanza, attraverso le epoche, della filosofia politica e del proprio oggetto, appare però tanto ineludibile quanto impossibile, giacché “ciò che ha determinato il collasso della filosofia politica moderna sembra aver sepolto pure la filosofia politica classica” (p. 38). D'altro canto, e con un paradosso solo apparente, è proprio la crisi di cui si è detto, per la sua radicalità e profondità, che potrebbe metterci nelle condizioni di operare quel salto oltre la tradizione filosofica capace di riattingere in tutta la sua originalità e fruttuosità il pensiero politico classico: “La crisi del nostro tempo – scrive Strauss - potrebbe avere il vantaggio accidentale di renderci capaci di comprendere in maniera immediata o non tradizionale ciò che fino ad ora è stato compreso solo in maniera tradizionale o derivata” (p. 48). Tuttavia, a complicare di nuovo le cose, Strauss afferma che tale ritorno “è allo stesso tempo necessario e provvisorio, o sperimentale”, dato che “non possiamo ragionevolmente aspettarci che un'originaria comprensione della filosofia classica possa fornirci delle ricette per il mondo contemporaneo” in quanto la società moderna è “un tipo di società nella quale i principi classici, così come sono stati stabiliti ed elaborati dai classici, non sono immediatamente applicabili”. E dunque: “Solo noi che viviamo nel presente possiamo trovare una soluzione ai problemi del presente, ma un'adeguata comprensione dei principi elaborati dai classici può costituire l'indispensabile punto di partenza per un'analisi adeguata della società contemporanea nel suo carattere peculiare (un'analisi che dobbiamo svolgere noi stessi) e per una saggia applicazione dei principi classici ai nostri compiti (un'attuazione che dobbiamo tentare noi stessi)” (p. 50).

Consapevole quindi che l'affondo analitico in direzione della filosofia politica classica è solo il primo (necessario, ma non sufficiente) passo per una comprensione adeguata del proprio presente, Strauss inizia il suo articolato attraversamento dalla Politica di Aristotele.
Egli prende le mosse da Aristotele perché questi “ha saputo fondare la scienza politica, intesa come la forma pienamente consapevole della comprensione di «senso comune» delle cose politiche” (pp. 68-9). Tale comprensione conduce però la riflessione politica al di là di se stessa. Per Aristotele, scrive Strauss, “l'associazione politica è per natura e l'uomo è per natura politico perché egli è l'essere caratterizzato dalla parola, o dalla ragione, e dunque l'essere capace della più perfetta, più profonda unione possibile con i suoi simili: l'unione nel pensiero puro” (p. 57). D'altro canto, il filosofo politico non può essere direttamente impegnato nell'agone politico: “Il primo filosofo politico – scrive significativamente Strauss - è il primo uomo non impegnato nella vita politica che si accinge a parlare del miglior ordine politico” (pp. 58-9). Ma la necessità di tale distanziamento segnala anche la presenza di un ineliminabile campo di tensione fra il filosofo e la città, suscettibile, come rivela la vicenda socratica, di esiti funesti. Sicché, come è stato lucidamente osservato, in Strauss “il rapporto tra politica e filosofia si declina specificamente nella figura della persecuzione. Il filosofo corre, di fronte alla comunità, il pericolo più grave: esso rischia di essere perseguitato, come successe a Socrate, per la sua stessa azione persecutoria condotta nei confronti della città” (M. Farnesi Camellone, Giustizia e storia. Saggio su Leo Strauss, Milano, Franco Angeli 2007, p. 243).
Per quanto Strauss affermi l'irriducibilità della polis alle nozioni moderne di Stato e di società (“La città-stato viene intesa come una forma particolare di Stato; ma quest'idea non può nemmeno essere formulata nella lingua di Aristotele; inoltre, quando noi oggi parliamo di «Stato», comprendiamo lo «Stato» distinto dalla «società», ma il termine «città» include in sé sia «Stato» che «società». Più precisamente, il significato di«città» antecede la distinzione tra Stato e società e non può quindi essere derivato da quelli di «Stato» e «società»” p. 75), tuttavia non sembra mantenere sempre questa distinzione in modo rigoroso. Al contrario, talora utilizza proprio quelle nozioni per spiegare la posizione dello Stagirita, come quando scrive: “Aristotele conosceva e rifiutava un'immagine della società che sembra prefigurare la concezione moderna della società politica e quindi la distinzione tra Stato e società” (pp. 77-8). Il fine di Strauss è comunque quello di criticare la pretesa moderna di subordinare in modo assoluto la sfera pubblica a quella meramente privata, propendendo per la soluzione aristotelica, fondata sulla consapevolezza che l'uomo, in conseguenza della sua vocazione essenziale per la vita teoretica, trascende la città, pur non potendone fare a meno, proprio “in virtù di ciò che in lui vi è di migliore” (p. 110). Nella consapevolezza e nella valorizzazione di questa eccedenza si manifestano sia un importante tratto in comune fra il pensiero politico di Aristotele e il liberalismo moderno (anche questa affermazione straussiana potrebbe suscitare qualche dubbio sotto il profilo storico-concettuale), sia un’altrettanto importante differenza: “Nel sostenere che l'uomo trascende la città, Aristotele concorda con il liberalismo dell'epoca moderna, ma si discosta da questo liberalismo nella misura in cui la trascendenza di cui parla si riferisce solo a ciò che vi è di più elevato nell'uomo. L'uomo trascende la città solo ricercando la vera felicità, non nel ricercare una felicità qualunque, o in qualsiasi modo essa venga intesa” (p. 100).
Del densissimo saggio su Platone ci limiteremo per brevità a mettere in luce due elementi, a nostro avviso, particolarmente significativi.
Il primo riguarda la rivendicazione straussiana del carattere ironico e dissimulatorio della filosofia platonica. Essa “è essenzialmente legata al fatto che esiste una gerarchia naturale tra gli uomini” e dunque alla necessità di “parlare in maniera differente a differenti tipi umani” (p. 103). Non si comprende Platone se non si tiene presente questa necessità di differenziazione. Si tratta di una questione preliminare, ma decisiva, non priva di implicazioni sociologiche oltre che filosofiche: “La questione letteraria, la questione della presentazione, riguarda un tipo di comunicazione. La comunicazione può essere un mezzo per vivere insieme nella forma più alta, la comunicazione è vivere insieme. Lo studio della questione letteraria è quindi una parte importante dello studio della società. Inoltre, la ricerca della verità è necessariamente, anche se non sotto ogni rispetto, una ricerca comune, una ricerca che ha luogo attraverso la comunicazione”. Da ciò deriva un'indicazione importante non solo per ciò che riguarda l'interpretazione di Platone, ma la stessa concezione straussiana della filosofia: “Lo studio della questione letteraria è dunque una parte importante dello studio di ciò che è la filosofia. La questione letteraria propriamente intesa è la questione del rapporto tra società e filosofia” (p. 104).
Il secondo elemento riguarda nuovamente il rapporto complesso fra filosofia e vita associata: se la riflessione platonica sulla giustizia ne rivela in ultima analisi l'impraticabilità (“La città giusta è contro natura perché l'eguaglianza dei sessi e il comunismo assoluto sono contro natura. Essa non esercita alcuna attrazione se non su coloro che amano la giustizia a tal punto da voler distruggere la famiglia, intesa come qualcosa di essenzialmente convenzionale, scambiandola con una società in cui nessuno conosca genitori, figli, fratelli e sorelle che non siano convenzionali. La Repubblica non sarebbe l'opera che è se questo tipo di amante della giustizia non fosse il tipo preminente rispetto al più importante senso della giustizia sul piano pratico”, p. 201), ne enfatizza al tempo stesso l'imprescindibilità, giacché essa sola ci permette di cogliere “la natura delle cose politiche” e di ravvisare criticamente “i limiti essenziali, la natura, della città” (pp. 215-6).
L'importanza di Tucidide sta innanzitutto nel modo particolare in cui egli è storico: partendo dalla “vita politica nella sua concretezza” (p. 216) egli, a differenza della storia “scientifica” dei secoli XIX e XX, mira a cogliere “l'universale nel singolo evento narrato” (p. 212), ponendosi così in una cruciale vicinanza con la riflessione filosofica, soprattutto platonica. Le sue analisi particolari, infatti, in ultima istanza “riguardano ciò che trascende la città, o ciò che è più elevato della città, e non riguardano le cose che sono subordinate alla città” (p. 237); secondo Strauss, “studiando la guerra del Peloponneso Tucidide coglie i limiti di tutte le cose umane. Studiando questo evento singolare sullo sfondo degli eventi passati, egli coglie la natura di tutte le cose umane. Questa è la ragione per cui la sua opera è un'acquisizione perenne” (p. 241). Ma non è solo il suo essere uno “storico filosofico” (p. 341) a rendere decisivo il riferimento a Tucidide. Egli ci fornisce un elemento di conoscenza che, per quanto extra- o pre-filosofico, a giudizio di Strauss risulta assolutamente essenziale per la comprensione della natura delle cose politiche: l'importanza che per la polis classica riveste la “cura del divino”, intesa non già come ciò che è primo per natura, bensì come ciò che è primo per noi (p. 346). Per questa via Strauss opera così, nelle ultime righe del suo saggio, una decisiva apertura nei confronti del tema della teologia politica: “Ciò che è «primo per noi», infatti, non è la comprensione filosofica della città, ma la comprensione inerente alla città in quanto tale, alla città pre-filosofica, secondo la quale la città si considera soggetta e al servizio del divino, un divino compreso in termini tradizionali e che esso venera. Solo se partiamo da questa considerazione saremo disponibili all'impatto con la questione cruciale che è coeva alla filosofia, sebbene i filosofi non la pronuncino frequentemente: la questione quid sit deus” (p. 346). Si tratta di una questione cruciale proprio perché la filosofia politica, se vuole essere all'altezza del proprio compito, non può non prendere sul serio quel che è “primo per noi” e che in quanto tale è elemento costitutivo dello stare insieme degli uomini: essa, come scrive Altini nel saggio introduttivo, “non può semplicemente sbarazzarsi delle «opinioni» che strutturano la vita politica considerandole solo come mere «apparenze», ma deve al contrario considerarle nella loro serietà costitutiva per la vita politica” (p. 24).

Indice

Il futuro degli antichi. Filosofia e politica in Leo Strauss di Carlo Altini
Avvertenza
La città e l'uomo
Saggi su Aristotele, Platone, Tucidide
Prefazione
I. Introduzione
II. Sulla Politica di Aristotele
III. Sulla Repubblica di Platone
IV. Sulla Guerra del Peloponneso di Tucidide
Indice degli autori
Indice dei personaggi


L'autore

Leo Strauss (1899-1973), tedesco di nascita e formazione ed emigrato negli Stati Uniti per fuggire al regime nazionalsocialista, è stato uno dei più importanti e influenti filosofi politici del '900. Fra i suoi lavori disponibili in italiano: La critica della religione in Spinoza (Laterza 2003); Che cos'è la filosofia politica? (Urbino 1977), Gerusalemme e Atene (Torino 1998), Diritto naturale e storia (Genova 1990).

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