lunedì 28 febbraio 2011

Carlo Scognamiglio, La persona. Etica e ontologia in Nicolai Hartmann.

Lecce, Pensa Multimedia editore s.r.l., 2010, pp. 284, euro 25,00.

Recensione di Franco Bosio

Parole chiave: Filosofia teoretica, etica, antropologia

Certamente Nicolai Hartmann  (1882 1950), è un pensatore che merita di essere studiato e rivisitato. Le sue problematiche rivestono una forte attualità, specialmente in epoche come la nostra, nella quale si enfatizzano con non poca esagerazione e non senza squilibrio, la ‘destrutturazione’, lo ‘sfondamento’ della soggettività e della persona e la sua polverizzazione nell'inconsistenza più assoluta. E possiamo vedere bene come tutto ciò non manchi di esercitare conseguenze profondamente negative per quanto concerne l'ambito dell'etica e dell'agire pratico.

L’implesso fra gnoseologia, ontologia ed etica configura da cima a fondo l'intero percorso di Hartmann nell'arco di tutta la sua carriera filosofica. Scognamiglio tiene ben presente tale intreccio per tutto lo svolgimento del suo lavoro e ciò gli deve essere ascritto a merito.

Il massimo principio del pensiero occidentale rimane sempre, a più di 2500 anni di distanza, quello enunciato da Parmenide di Elea: “essere e pensare: lo stesso” (einai kai noein tauto’, ed anche tautòn esti noein kai ouneken esti noema). Anche il fenomenismo scettico, nonostante ogni opposizione alla metafisica, lo accetta e lo segue; c’è essere solo in quanto c’è apparire, afferma il fenomenista. E non è questo il suo errore, ché anzi qui c’è una verità incontestabile, ma ve n’è un altro di cui egli assolutamente non si accorge: l’apparire non ha a che vedere con la casualità dell’essere sensorialmente percepito, immaginato e addirittura semplicemente pensato, perché in verità ‘apparire’ significa manifestatività intelligibile dell'essere degli enti in loro stessi, appunto in quanto ‘sono’. Sicché il ‘problema gnoseologico’ in Hartmann si configura ab initio già come problema ‘ontologico’. Hartmann infatti contesta strenuamente il moderno ‘principio’ e il relativo ‘metodo di immanenza’ (Gentile) del soggetto ‘nel’ soggetto conoscente. Per il filosofo di Riga infatti l’oggetto rimane in una differenza e in un’‘inseità’ trascendente rispetto all'oggetto, ma senza perciò diventare un'inconoscibile e problematica ‘cosa in sé’, il che invece avviene in tutti i sistemi che si fondano sul soggettivismo (pp. 14 ss.). E non c’è nulla di scandaloso nel riconoscere che l’‘oggetto’ viene ad essere conosciuto da un ‘soggetto’ senza che nulla si modifichi nella sua natura e nel suo carattere essenziale (pp. 41 ss.; pp. 54 ss.). È necessario avvertire anche brevemente, per non suscitare equivoci, che non si tratta affatto di sostenere il ‘realismo’ della coscienza comune quotidiana. Infatti l’‘oggetto’ è sempre multiprospettico e solo le prospettive accessibili ad ogni singolo soggetto si rendono manifeste. Hartmann ha esercitato un notevole influsso sul pensiero di Max Scheler, subendone a sua volta l’influenza e rimanendogli debitore di notevoli aperture speculative. Anche Scheler, nell'ultima opera da lui pubblicata in vita, Idealismus-Realismus (“Idealismo-Realismo”, oggi in Ges. Werke, Bd. IX, Bern 1976) definisce la conoscenza come una “relazione tra un A e un B senza che nulla muti né nella natura di A né in quella di B”; e anche Scheler, come Hartmann passa dalla gnoseologia all'ontologia e sul piano etico conclude come Hartmann ad un’“etica materiale dei valori” (il titolo della sua opera più nota è infatti Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, la cui prima stesura risale al 1913, anno della sua pubblicazione nello Jahrbuch fuer Phanomenologie di Husserl). E come Scheler, Hartmann sviluppa in una direzione autonoma la grande teoria dell'‘intenzionalità’ della coscienza. Il ‘Formalismo’ è caratterizzato eminentemente da un’‘intuizione assiologica’ dei valori, propria di un’‘apriorità emozionale’ (Fuehlen, Gefuehl) che si distingue molto bene dall’apriori logico e gnoseologico.

Non riusciamo a seguire nei dettagli e negli sviluppi particolareggiati, ammirevoli per finezza di analisi e per ricchezza argomentativa, le linee dell’esposizione dell'autore. Così dobbiamo passare all’ontologia, vero centro portante del pensiero di Hartmann e dell’indagine dello studioso. L’ontologia è essenzialmente ‘teoria delle categorie’. In queste si rinviene l'unità originaria di ‘essere’ e ‘pensare’, di ‘pensante’ e ‘pensato’. L’ontologia tratta dei ‘livelli categoriali’ dell’essere dell'ente. È perciò estremamente importante riconoscerne la molteplicità e le differenze. Ad ogni livello nuovo emerge qualcosa che nel livello inferiore mancava. E perciò ogni livello ha le sue proprie leggi, le sue peculiari connessioni, le sue relazioni; però l'universo categoriale non si riduce affatto ad una pluralità di determinazioni ideali prive di relazioni fra di loro (pp.100 ss.). L’ente è ‘esser-così’ (So-sein, idealità) ed esser-qui (Da-sein, realtà), presenza concreta. Sono momenti polari, inseparabili in sé, separabili solo per noi. Ci sono poi le categorie dell’‘essere reale’, polarmente contrapposte a quelle dell'essere ‘possibile’, non però sovrapponibii e congruenti rispetto a Sosein  e a Dasein. È evidente la maggior articolazione e la maggior ricchezza delle prime (pp.108 ss.).

Tra i livelli categoriali e le relative leggi che li connettono si dà necessariamente dunque una stratificazione. Ed ecco che qui Hartmann enuncia una legge fondamentale che ispirerà a Max Scheler la celebre e grandiosa tesi dell’‘impotenza dello spirito’ (Ohnmacht des Geistes, in Die Stellung des Menschen im Kosmos, “La posizione dell'uomo nel mondo”, del 1927). Essa dice che lo spirito non ha efficacia causale diretta, perché la potenza causale appartiene alla ‘natura’. Per Hartmann i livelli inferiori sono i ‘più forti’, i più ‘indipendenti’, mentre i livelli ‘più alti’ sono i più ‘deboli’, i più dipendenti. La vita organica dipende dalla natura inorganica, anche se non ne è ‘causata’ univocamente, e lo ‘spirito’ a sua vota dipende dalla ‘vita’. Così le ‘regioni ontologiche’ (un concetto più husserliano che hartmanniano, ma che certo ha ispirato Hartmann e dunque gli si attaglia bene), della ‘cultura’ e dello ‘spirito’ dipendono dalla ‘vita’ e dalla ‘materia’, il cui potere distruttivo, disordinante e disorganizzante, è massimo.

Non possiamo continuare ad illustrare con sviluppi più dettagliate le analisi, sempre fini e accurate di Scognamiglio. Circa l'ontologia ci sembra di poter giustamente avanzare la tesi secondo cui essa è, aristotelicamente, una vera e propria ‘filosofia prima’. Si dica pure, se si vuole, ‘metafisica’, non però come ricerca sistematica di un ‘mondo vero’ al di là del nostro.

Hartmann, come del resto anche Scheler, persegue il compito di conservare il meglio del metodo e dell’impostazione fenomenologica di Husserl, denunciando risolutamente la sua ‘svolta’ in senso ‘trascendentalistico’. L’andamento dell’ontologia di Hartmann è essenzialmente ‘descrittivo’. Ma l’impianto descrittivo della multiforme compagine del mondo fa emergere risultati che non provengono dal solo momento della descrizione perché sono conquiste dell'interpretazione ‘speculativa’ dell'essere.

Innanzitutto l’uomo non si risolve nell’esser-soggetto. Il suo essere è “esser-più che soggetto” (cap. II, p. 53). La dimensione conoscitiva ed ‘oggettivante’ non lo esaurisce. Emozionalità, volitività, intersoggettività fanno di ognuno di noi, di ogni singolo, una realtà ‘personale’ che emerge nel tutto, e che si rapporta alla realtà non unicamente nella modalità del conoscere e del sapere, bensì anche in quelle pratiche del dovere, dello scegliere, del decidere, dell’aver dunque a che fare con il ‘nocciolo duro’ di una realtà che è diversa da lui e gli si contrappone a volte anche in modo ostile; nelle ultime pagine del suo libro, Scognamiglio sottolinea il debito posto che Hartmann conferisce al lavoro e alla sua ineludibile necessità. La filosofia dell’uomo è dunque anche ‘antropologia filosofica’, è cura e riconoscimento delle ineludibili dimensioni storiche e sociali dell'agire umano (pp. 73 ss.).

L'analisi e la descrizione degli ordini dei valori, delle loro stratificazioni, della loro gerarchizzazione, del rapporto fra la loro ‘idealità’ e la loro incorporazione nei ‘beni’ è complessa e articolata e costituisce un altro degli aspetti pregevoli del libro. Nell’etica si dischiudono le prospettive filosofiche più importanti e più decisive del filosofo di Riga. Il ‘dover essere’ che è ‘ideale’ e che esige di venir realizzato nel ‘bene’ morale come risultato concreto che  richiede una scelta in cui si compie il ‘volere’ e si realizza la ‘volontà’, ha il suo centro nella ‘persona’. La ‘persona’ come centro e totalità di atti ci porta fuori dal chiuso centro di immanenza che è la coscienza come attività semplicemente conoscitiva. È la ‘collocazione eccentrica del soggetto’ (p. 235). E nella persona si apre l'attualità della libertà, del libero agire in cui la persona si conosce, si sa e prova se stessa come libera. L’uomo come persona nella libertà del suo agire emerge dal determinismo materiale e meccanico e dal nesso motivazionale organico e biologico, ed è in ciò ‘essere spirituale’. Il mondo dello spirito si rende dunque manifesto nella dimensione dell’etica. Ma etica e valori rinviano necessariamente all’intersoggettività e la relazione intersoggettiva non può prescindere dall’apertura della ‘persona’ (la quale in ogni singolo e nelle sue manifestazioni diventa ‘personalità’, Persoenlichkeit, pp. 156 sgg.), allo ‘spirito oggettivo’ che a sua volta richiede ed esige quale sua condizione di mantenimento e di arricchimento di sé, lo ‘spirito obiettivato’ vale a dire l’insieme delle produzioni compiute in ogni epoca da parte dell’agire dello spirito oggettivo (pp. 252-261).

All’etica hartmanniana è assolutamente estraneo ogni intento prescrittivo e imperativistico. Si tratta infatti di un’etica dell’accomunamento di ‘persone’ e di coscienze umane nella volontà  di attuazione di un mondo giusto, di una ‘vita buona’ sentita e realizzata nella massima universalità possibile.  

Nel suo confronto con Scheler, Hartmann, sulla base della giusta conclusione di una non-autocoscienza della collettività, delle comunità, delle nazioni (non esistono per lui al contrario di Scheler le ‘persone comuni’, pp. 161-170), approda alla sconfessione dell’istanza scheleriana di una ‘persona infinita’ e suprema (ivi). Del resto l’esigenza avanzata da Max Scheler ne “Il Formalismo…” può apparire più postulatoria e fideistica che ontologicamente fondata.

Solo nel mondo della persona finita secondo Hartmann può esserci autodeterminazione in vista di fini, e dunque teleologia. La pluristratificazione dei livelli dell’essere conduce Hartmann al netto e reciso rifiuto di ogni teleologia cosmica, che risulta a suo dire non essere altro che il prodotto di un’ingenua proiezione antropomorfica sul cosmo stesso nella sua totalità per scoprirvi un senso e una ragione ultima che costituisca il fondamento uno ed unico di tutto ciò che è (pp. 222 ss.; p. 266). Ogni principio assoluto, ogni trascendenza metafisica intesa in un senso provvidenzialistico e teleologico sono incompatibili con la libertà dell’uomo. È qui il fondamento dell’‘ateismo postulatorio’ di Hartmann, elogiato e preso sul serio dall’ultimo Scheler in Mensch und Geschichte (in Ges.Werke, Bd. IX, Bern 1976). Eppure – e qui concludiamo con una riserva critica e con un’ineludibile domanda –  l’esclusione hartmanniana di ogni principio ultimo e di ogni fondamento e la sua risoluzione di ogni ‘metafisica’ in ‘ontologia descrittiva’ dei livelli dell’essere, pur salvando lo spirito umano da ogni riduzionismo riesce a sostenersi fino in fondo? Seguendo con diligenza, con finezza ed acutezza lo svolgimento del pensiero hartmanniano Scognamiglio deve pur riconoscere alla ‘persona’ in quanto radicata nella molteplicità dei rapporti intersoggettivi nel tessuto dello ‘spirito oggettivo’, “una natura al tempo stesso individuale ed ultraindividuale” (p. 255) che si rivela come il segno certo e manifesto della sua apertura all’intero dell’essere. E ben a ragione l’autore sottolinea l’inapplicabilità delle categorie freudiane dell’‘inconscio’ e delle loro connessioni alla “persona spirituale” (pp. 244 ss.). Ma qui non si riapre allora uno spiraglio verso un principio di trascendenza? A nostro avviso e un po’ anche sulle tracce di Max Scheler (l’ultimo Scheler, quello della ‘svolta’dal 1922 in poi), si può riconoscere a quello che chiamiamo ‘principio assoluto’ una ‘personalità’, e tuttavia solo mediatamente, vale a dire attraverso il suo inserirsi manifestativo di sé negli ‘spiriti finiti’ e nelle ‘persone finite’. Ci sembra che ciò sia richiesto dalla multi relazionalità della ‘persona spirituale’ che non ha nulla di eguale nel mondo della pura e semplice ‘natura’, neppure in quella vivente e vitale. E riteniamo che con questo non ritornino a riproporsi le ricadute in un teismo classico e in una metafisica sostanzialistica che non ci appartengono più e che non sentiamo più vivi.

Indice

Prefazione  
Capitolo I – Il soggetto nella relazione gnoseologica
La conoscenza come problema metafisico – Fenomenologia della conoscenza – Aporetica della conoscenza – Trascendentalismo e soggettivismo
Capitolo II – L’esser-più-che soggetto del soggetto: verso una teoria della personalità
Soggettività e trascendenza – La critica di Hans-Georg Gadamer alla tesi della trascendenza – Soggetto, uomo, persona – Due “sospensioni”
Intermezzo: la fondazione dell’ontologia.
Capitolo III – L’essere personale e la sfera assiologia
L’etica antisoggettivistica – Assiologia – Il formalismo husserliano e la scelta del bene
Capitolo IV – La teoria della personalità
Soggetto e persona – Personalitaet e Persoenlichkeit – L’etica di Max Scheler e l’ontologia della persona – Personalità e libertà
Capitolo V – L’agire personale: categorie modali e nessi di determinazione
Soggettività e dovere nella costituzione della persona – Divenire e categorie modali: il problema dell’agire personale – I nessi di determinazione – La costruzione modale del dovere
Capitolo VI – La persona nella “topografia” dello spirito
Breve retrospettiva – I tre “momenti” dell’essere spirituale – Il confine inferiore dell’essere personale: la psiche – Il confine orizzontale: spirito obiettivo e spirito obiettivato – Considerazioni conclusive


L'autore

Carlo Scognamiglio ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Filosofia presso l’Università “La Sapienza” di Roma nel 2010. Il libro è la rielaborazione della sua tesi di dottorato. Attualmente insegna Ermeneutica della storia all’Università “La Sapienza” di Roma e Filosofia e scienze umane nella scuola superiore. Ha fondato la Nicolai Hartmann Society della quale è membro esecutivo. Ha pubblicato nel 2008 per l’editore Pensa Multimedia Ontologia e organizzazione della conoscenza (con C. Gnoli). Si occupa dal 2007 della Fondazione Giovanni Gentile. 

Links

http://nicolaihartmannsociety.org
http://carloscogna.blogspot.com

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