giovedì 31 marzo 2011

Jamesiana

nota critica dei volumi: W. James, Pragmatismo, Aragno Editore, Torino, 2007, pp. 186, € 12, ISBN 978-88-8419-338-4; W. James, Saggi di Empirismo Radicale, Quodlibet, Macerata, 2009, pp. 210, € 27, ISBN 978-88-7462-247-4; W. James, Il Significato della Verità. Una Prosecuzione di Pragmatismo, Aragno Editore, Torino, 2010, pp. 209, € 12, ISBN 978-88-8419-438-1; C.S. Peirce – W. James, Alle Origini del Pragmatismo. Corrispondenza tra C. S. Peirce e W. James, Aragno Editore, 2011, pp. 387, € 12, ISBN  

Nota critica di Sarin Marchetti – Sapienza Università di Roma

1. Il lettore italiano di James ha di che rallegrarsi per la recente pubblicazione delle traduzioni dei volumi Pragmatism, Essays in Radical Empiricism, The Meaning of Truth, e di una selezione importante della corrispondenza con Pierce dal titolo Alle origini del Pragmatismo. Per la qualità del lavoro dei curatori e traduttori, queste edizioni rappresentano un avanzamento significativo rispetto alle precedenti in circolazione, per altro difficilmente reperibili, tanto che il lavoro svolto ha l’aspetto di un vero e proprio intervento archeologico sui testi che ne porta alla luce aspetti spesso negletti. Questi volumi sono infatti il frutto di studi approfonditi del pensiero di James, che negli ultimi anni stanno vivendo una nuova fertile stagione; studi che, a differenza dei lavori precedenti, possono contare su alcuni preziosi strumenti storiografici quali l’edizione critica delle opere e delle lettere di James, solo recentemente portata a compimento e dunque disponibile agli studiosi. Il risultato non è dunque solo un aggiornamento lessicale del testo, bensì una vera e propria restituzione allo spirito originale jamesiano. Infatti, le traduzioni fino ad ora disponibili, anche le più recenti e attente, essendo improntate su edizioni non definitive tradivano in alcuni passaggi il testo originale, falsandone la comprensione e dunque il commento. Queste nuove pubblicazioni, raccogliendo i frutti di tali edizioni critiche, hanno insieme l’ambizione di arricchirle ulteriormente e rilanciare gli studi jamesiani in Italia.

2. I volumi Pragmatismo e Il Significato della verità. Una Prosecuzione di Pragmatismo, usciti rispettivamente nel 2007 e nel 2010 per i tipi di Aragno nella pregevole collana ‘Filosofia Americana’ curata da Rosa Maria Calcaterra e Giovanni Maddalena –che, oltre al già pubblicato Condurre la vita di Ralph Waldo Emerson (2008), ha in uscita la prima edizione italiana del saggio di Frank Ramsey Sulla verità– rappresentano un contributo fondamentale per gli studi jamesiani, sia per la qualità delle traduzioni e per l’attenta curatela con relative inedite introduzioni e note critiche redatte per l’edizione italiana. Questi due volumi costituiscono infatti i primi esemplari dell’edizione critica italiana dell’intera opera jamesiana che la casa editrice Nino Aragno ha in progetto di costruire sulla scorta dell’autorevole edizione dei Works of William James diretta da Frederick Burkhardt presso Harvard University Press (1975-1988) e dei dodici volumi della Correspondence of William James curati da Igans K. Skurupelis e Elizabeth M. Berkeley per i tipi di University Press of Virginia (1992-2004). Proprio in riferimento a quest’ultima è di fresca stampa il volume Alle origini del pragmatismo (2011), anch’esso nella medesima collana di filosofia americana, in cui è ricostruito il carteggio James-Peirce nelle sue linee fondamentali. L’importanza di questa edizione critica per il panorama italiano di studi jamesiani (e sul pragmatismo in generale) non può essere sottovalutata, poiché ha l’ambizione di stabilire un canone di riferimento per gli studiosi italiani che ora potranno contare su traduzioni attente e fedeli ai testi originali e su ricchi apparati bio-bibliografici con particolari riferimenti all’opera curata, strumenti strategici per portare avanti ulteriori ricerche e lavori. Spesso infatti le traduzioni italiane dei lavori di James sono state parziali o hanno invece visto mescolati più volumi in uno; ne è il caso più rappresentativo il volume La volontà di credere, di cui vi sono in circolazione almeno cinque edizioni italiane più o meno datate, e tutte diverse tra loro per contenuti e contributi. Tuttavia la colpa di tali confusioni non è attribuibile esclusivamente ai rispettivi curatori italiani, poiché gli stessi lavori di James, dopo la loro uscita, sono stati spesso antologizzati e mescolati in volumi collettanei, oppure spezzettati in contributi parziali presso case editrici più interessate alla facile diffusione del prodotto che alla sua qualità e accuratezza storiografica. Sono state proprio le edizioni Harvard per le opere e University of Virginia Press per le lettere di James a stabilire un canone affidabile e autorevole a cui ispirarsi per lavori di traduzione fedeli ai contributi originali, quanto alle loro successive edizioni emendate dall’autore o dai curatori da lui indicati. L’edizione Harvard, su cui queste nuove traduzioni sono approntate, è infatti munita sia di una fitta serie di note al testo che esplicitano, se non tutti, quantomeno i principali riferimenti a dottrine e pensatori a cui James fa riferimento nel testo, sia di una ricca sezione, che occupa variamente un buon terzo delle pagine di ogni volume, dedicata all’apparato lessicografico del testo e di alcune appendici critiche che approfondiscono alcuni sue parti. Anche se le edizioni Aragno non riportano nella sua interezza quest’ultima sezione, che si concentra sulla scrupolosa analisi del testo originale inglese e dunque perde senso per il lettore che si confronta con la sua versione italiana (ma che potrà tuttavia apprezzarne indirettamente i frutti nella qualità della stessa), tuttavia sono presenti nella traduzione italiana alcune delle note più importanti integrate da quelle del curatore del volume corrispondente dell’edizione Harvard, a cui ne sono state aggiunte alcune del curatore italiano. Questa importante integrazione riguarda anche l’edizione dei Saggi di empirismo radicale per i tipi di Quodlibet, in cui oltre alle note del curatore dell’edizione Harvard e quelle del curatore italiano vi sono anche quelle del primo editore Ralph Burton Perry, che curò il volume di James uscito alle stampe postumo nel 1912.

La lettura dei testi che qui presentiamo è dunque accompagnata da molti e nutriti riferimenti che permettono una più ricca comprensione del testo e della sua trama di riferimenti, di cui James faceva un grande uso in particolare in questi volumi, che per quantità di riferimenti sono superati solo dai monumentali Principles of Psychology, le cui note costituiscono la metà dell’intero testo. James aveva infatti l’abitudine di presentare le sue posizioni attraverso un dialogo fitto e continuo con alcune delle principali posizioni e scuole filosofiche rivali con cui si confrontava, tanto che ad esempio gran parte del volume Il Significato della Verità è dedicato proprio alle risposte al vespaio di critiche che la sua concezione pragmatica della verità aveva sollevato sin dalla sua prima esposizione sistematica a partire dalla celebre conferenza californiana del 1898 dal titolo Philosophical Conceptions and Practical Results, dove il termine pragmatism fece il suo debutto pubblico nonostante fosse nell’aria sin dal 1870, seppure esclusivamente nei selezionati circoli filosofici e letterari bostoniani frequentati dal nostro autore. In questa direzione la letteratura jamesiana è arricchita ulteriormente dalla pubblicazione del carteggio privato tra James e Peirce, poiché questo ha per oggetto proprio un fitto confronto tra i due pensatori non solo sulle loro rispettive concezioni del pragmatismo, ma anche sulle posizioni dei pensatori con cui i due intrecciarono relazioni, squisitamente filosofiche o anche biografiche. Particolarmente preziosi sono alcune lettere del carteggio, poiché mostrano la genesi delle idee di James e illuminano aspetti del suo metodo filosofico pragmatista, che, lungi dall’essere una dottrina filosofica pensata a tavolino, è invece la risultante di approssimazioni progressive a partire da alcune contingenze personali e necessità intellettuali. Vista la disomogeneità dei contribuiti, passerò ora a una breve disamina individuale dei volumi, per mostrarne i rispettivi punti di forza e preziosità. Vista poi la loro ottima fattura, dovrò impegnarmi non poco per scovarne le difficoltà, e non è affatto detto che ci riesca.

3. Il volume Pragmatismo, tradotto e curato da Sergio Franzese sul testo della sua precedente traduzione per i tipi del Saggiatore, la prima integrale italiana pubblicata nel 1994, inaugura l’ambizioso quanto atteso progetto della casa editrice Aragno. Sembra incredibile che questo testo, sicuramente il più famoso e letto di James, sia stato tradotto solo parzialmente e non senza difficoltà, relegato in forma antologizzata a pubblicazioni minori o collettanee, da ultimo in un volume del 2000 dal titolo Che cos’è il pragmatismo? per i tipi di Jaca Book. Questo dato tuttavia rispecchia fedelmente la situazione generale degli studi jamesiani in Italia, soprattutto negli anni 1930-1990, in cui l’attenzione alle opere di James è stata distratta e superficiale se comparata a quella degli inizi del Novecento, spesso ridotta all’esposizione del pensiero dell’autore attraverso pochi stereotipati aforismi svuotandone in tal modo il valore e mortificandone l’importanza. Se infatti nei primi lustri del ventesimo secolo in Italia l’interesse per James (e per il pragmatismo tutto) era vivo e diffuso, grazie alla variegata quanto eclettica scuola pragmatista italiana, sul volgere degli anni trenta questo va scemando, come è testimoniato anche dal brusco arresto dell’opera di traduzione dei suoi lavori. Questa acquiescenza ammette certo delle eccezioni illustri, quali i preziosi lavori di Giulio Preti e di Antonio Santucci, i primi per la loro qualità e innovazione teorica, ossia la virtuosa sintesi di pragmatismo ed empirismo logico che trova nell’oramai classico Praxis ed empirismo (1956) la sua più compiuta e riuscita esposizione, mentre i secondi per la loro dettagliata ricostruzione degli intrecci interni alla stessa accademia italiana tra filosofia nostrana e pensiero americano, come è esposta nei volumi Il pragmatismo in Italia (1963) e Storia del pragmatismo (1992). Da menzionare in questa direzione anche i lavori di Carlo Sini e Nino Dazzi, i quali, oltre a interessarsi come il Santucci alla traduzione di alcuni scritti jamesiani, hanno esplorato i legami tra pragmatismo americano e le altre tradizioni di pensiero italiane quali la fenomenologia e la scuola della psicologia empirica. Altri importanti autori come Juvalta o Dal Pra, oggi purtroppo raramente letti, si possono aggiungere a questo movimento carbonaro che ha silenziosamente lavorato dietro i riflettori ufficiali tenendo vivo l’interesse per il pragmatismo in Italia. Tuttavia, nonostante queste eccezioni, che testimoniano appunto se non altro delle linee di continuità teoriche e storiografiche in alcune sacche di resistenza accademica al paradigma dominante (principalmente Milano e Torino, e recentemente Roma con i lavori del gruppo che lavora intorno alla cattedra della prof. Calcaterra), gli studi e le opere di traduzione dei classici del pensiero pragmatista (e di James in particolare) non sono comparabili alla frenetica attività editoriale e culturale che ha caratterizzato la ricezione e la produzione più fresca dei primi lustri del novecento da parte dei protagonisti della scena intellettuale filosofica e letteraria italiana di quegli anni, che proprio a James e al pragmatismo si ispiravano nella loro originale lettura delle correnti culturali che agitavano l’Europa. Dobbiamo infatti a questo periodo, e spesso proprio ad opera degli autori che lavoravano intorno al nucleo più attivo dell’intellighenzia pragmatista italiana, le prime traduzioni dei lavori di James, spesso in volumi collettanei e antologie di scritti pragmatisti. Sicuramente lo strumento più efficace e interessante è stato la rivista Il Leonardo (1903-7) diretta da Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini, che ha pubblicato alcuni contributi di James oltre a vari e interessanti saggi di commento al suo pensiero. Se le traduzioni di questi anni risentono ovviamente dei limiti linguistici dell’epoca, il cui timbro, imbevuto di altre tradizioni filosofiche,  riesce solo in rari casi a rendere la prosa e dunque la forza degli scritti jamesiani, queste tuttavia testimoniano il grande interesse in circolo in quegli anni per il pensiero di James. Papini, il più jamesiano dei pragmatisti italiani, si spese più di tutti per perorare la causa jamesiana tanto sulle pagine ufficiale del Leonardo sotto lo pseudonimo di Gian Falco quanto su quelle ufficiose dei suoi scritti più scanzonati quali Le stroncature. Molto interessanti, per le loro pionieristiche traduzioni, sono i lavori di Antonio Aliotta e G. C. Ferrari, i quali hanno tentato di piegare le parole di James in direzioni diverse per soddisfare altrettante esigenze teoriche. Franzese, il curatore di questa nuova edizione di Pragmatismo, in un bel saggio sulla ricezione italiana di James dal titolo Realismo o umanismo. Il pragmatismo di William James nella lettura di Antonio Aliotta (in G. Maddalena e G. Tuzet, I pragmatisti italiani. Tra alleati e nemici, Milano 2007) osservava proprio la partigianeria di queste traduzioni a servizio di precisi programmi di ricerca, ricostruendone genealogicamente il contesto filosofico e culturale in cui queste furono condotte. Ora, passata questa fase politicamente partigiana se ne apre un’altra, ma, questa volta, scientificamente partigiana. Infatti il lavoro di Franzese sul testo di Pragmatismo ha come obiettivo dichiarato quello di sfrondare le varie costruzioni teoriche su esso proiettate in modo da permettere un contatto genuino e quanto possibile non già carico del testo. L’intento, beninteso, non è quello tanto utopico quanto sterile di fornire una versione più o meno asettica del testo, bensì quello di restituire la piena forza dell’argomentazione jamesiana alla sua dialettica originaria, evitando le forzature e le imposizioni che le traduzioni precedenti hanno imposto al testo. La sua traduzione, oltre ad essere la prima completa e a fare riferimento al volume primo dell’edizione Harvard delle opere, è insieme elegante e fedele al testo originale. La resa è piacevole e mai difficoltosa, e riesce nel delicato compito di rendere l’elegante prosa filosofica jamesiana, a tratti difficilmente distinguibile dalla migliore letteratura del fratello Henry (e non solo per lo stile!). L’occasione di questa nuova edizione ha infatti permesso al traduttore di rivedere la sua precedente versione emendandola in alcuni punti e dunque migliorandola ulteriormente. In particolare, i tredici anni di decantazione dalla prima uscita hanno beneficiato, oltre che di molte critiche e consigli che tale testo ha attirato a sé, come lo stesso traduttore sottolinea nella nota alla nuova versione, anche della maturazione dello studioso che si cela dietro il traduttore, la cui prematura scomparsa ha interrotto, tra le altre cose, la sua faticosa affermazione come uno dei maggiori esegeti e interpreti, sia italiano e a livello internazionale, del pensiero jamesiano. A confermare questa opinione contribuisce la lettura delle molte e precise note che Franzese accompagna al testo, con cui il lettore è puntualmente seguito nella lettura del volume. Ve ne sono alcune particolarmente interessanti, come quelle in cui Franzese fa dei riferimenti ad articoli o libri che discutono o approfondiscono alcuni passi del testo di James, mostrando la grande rilevanza, pertinenza e attualità delle argomentazioni jamesiane nel dibattito contemporaneo su quei temi. Oltre a queste note, ve ne sono altre altrettanto utili che segnalano le connessioni tra passi diversi, anche contenuti in scritti diversi, in cui James riprende da angolazioni e con strategie differenti il dibattimento di un certo nodo o problema filosofico; oltre ad essere estremamente utili allo studio dello sviluppo del pensiero jamesiano su alcuni temi, queste testimoniano anche l’organicità del suo pensiero, che il curatore sottolinea nel saggio introduttivo al volume.      

Nel saggio introduttivo Franzese presenta infatti la serie di lezioni che compongono il testo in relazione sia agli scritti di psicologia e a saggi sull’empirismo radicale, contestualizzando dunque questo importante testo all’interno dell’opera di James, early e late. Franzese si concentra sul tema della pervasività del pragmatismo inteso come un metodo filosofico nella riflessione di James, che ne rappresenterebbe il grimaldello per comprendere le molte parti della sua produzione filosofica. In particolare vengono esplorati due aspetti tra i più originali di queste lezioni, che sono poi due degli esiti della sua concezione del pragmatismo come insieme metodo e dottrina filosofica: ossia l’idea che le posizioni filosofiche siano l’espressione di temperamenti personali, e il rifiuto di una caratterizzazione epistemica e corrispondentista della verità. Per quanto riguarda il primo aspetto, è interessante il modo in cui Franzese presenta il pragmatismo di James, ossia come una meta-filosofia, ‘una critica del fare filosofia come attività specifica e caratteristica dell’uomo nella relazione con il suo ambiente’ (p. x). Infatti è proprio James a presentare in questi termini il suo pragmatismo nel primo capitolo del libro, in cui compare la famosa lista di caratteristiche temperamentali di cui tale posizione promette di dar conto (p. 13). Franzese commenta cosa James intenda per visione temperamentale delle posizioni filosofiche, e tuttavia, in un paio di passaggi, che posso solo segnalare senza discutere, il suo commento al testo mi sembra troppo forte, poiché afferma che secondo James l’accettazione di una certa posizione filosofica sia ‘un fatto di gusti personali… puramente idiosincratico e in un ultima analisi non suscettibile di migliore giustificazione’ (xi). Questa conclusione mi sembra un non-sequitur, poiché Franzese fa seguire all’affermazione jamesiana secondo cui la sottoscrizione di una certa posizione filosofica sia dettata, oltre che da considerazioni razionali, anche da esigenze etiche, estetiche e pratiche la conclusione che tali considerazioni temperamentali sono ingiustificabili razionalmente. Tuttavia uno dei temi che percorrono tutto il volume è proprio quello di mostrare come una tale concezione della filosofia possa accogliere dentro di sé le nozioni di oggettività, argomentazione e giustificazione, solo ridescrivendone i confini e le mosse possibili. Il commento dell’autore sembra tanto più fuori luogo in quanto in contrasto con quanto poi egli scrive nel prosieguo dell’introduzione, in cui descrive il carattere terapeutico della concezione pragmatista dei problemi filosofici e la sua connessione con la concezione jamesiana della verità come intenzionalità delle nostre pratiche di conoscenza e azione, che tutto ha meno che il sapore di relativismo e irrazionalismo che Franzese evoca con il passo sopra citato. Questa la sola macchia al bel saggio che introduce il volume tradotto.

5. I Saggi di empirismo radicale, curati sempre da Franzese questa volta per Quodlibet, condividono pregi (molti) e difetti (esigui) dell’edizione di Pragmatism: ad una traduzione impeccabile e note davvero molto ricche, nell’introduzione, anch’essa densa e ambiziosa, vi sono alcuni passaggi in cui il curatore sacrifica la accuratezza espositiva a discapito di una complessa presentazione del testo. Tuttavia, in questo caso vorrei fare un appunto sul carattere complessivo dell’introduzione al volume. Se è infatti il saggio che fa da introduzione a questo volume è dettagliato e immaginativo, un suo difetto è quello di essere poco introduttivo e squisitamente critico. Anche se Franzese prepone al testo un profilo della vita e delle opere di James in cui fornisce alcune informazioni generali anche sul testo presentato, nel saggio introduttivo si parla poco del testo e se ne fornisce piuttosto una sua difesa-apologia teorica. Se dunque la sua lettura ci informa che questo testo postumo raccoglieva i pensieri più maturi di James sulla psicologia e sull’empirismo, si rimane interdetti se si cercano quelle informazioni circa la sua genesi, struttura e fortuna, ossia quelle informazioni che ci aspetteremo di trovare in un saggio introduttivo. Franzese insomma ci presenta l’empirismo radicale di James, ma senza parlarci dei Saggi di empirismo radicale. Tuttavia, premessa questa riserva, il saggio è denso e molto tecnico, per cui la sua non facile lettura sarà ricompensata da una grande mole di informazioni, dettagli e ricostruzioni ambientali che costituiscono l’ossatura teorica dell’empirismo radicale jamesiano. I saggi che compongono questa raccolta, come scrive Putnam, sono infatti tra i più tecnici e difficili da comprendere e padroneggiare, sia per l’oggetto trattato e anche per il fatto che sono stati scritti lungo l’arco di molti anni, per cui non sempre è semplice seguire le molte strade che James percorre per rintracciare, circondare e attaccare il problema che affronta, ossia quello della natura dell’esperienza nel nostro contatto pratico con il mondo. Franzese mostra come la comprensione di questi saggi possa essere aiutata se inquadrati nell’ottica della querelle tutta fine ottocentesca sul rapporto tra mente e mondo nei processi di conoscenze, che James ha assorbito negli anni dei suoi studi europei e che ha poi confrontato con le nuove teorie psico-filosofiche circa la natura della coscienza.

Sono allora preziose le molte e attente note che Franzese accompagna al testo di James, in cui il curatore ricostruisce i molteplici riferimenti che James fa più o meno direttamente al dibattito contemporaneo su tali questioni. Nonostante la quantità di tecnicismi contenuti in questi scritti, e la stessa natura tecnica dell’argomento trattato, James riesce sempre con una prosa felice e piacevole, e la traduzione di Franzese non tradisce le alte aspettative che il precedente volume jamesiano da lui tradotto aveva creato nei lettori. I saggi che compongono i capitoli del volume sono abbastanza omogenei, anche se alcuni, soprattutto gli ultimi, trattandosi di risposte critiche ad alcuni suoi detrattori, sono più ostici degli altri. Inoltre alcuni di questi saggi appaiono qui per la prima volta in stampa poiché il precedente curatore Nino Dazzi, la cui edizione per i tipi di Einaudi del 1975 è lodevole per molti aspetti, ne aveva omessi alcuni già precedentemente pubblicati o troppo tecnici per alleggerire il testo di non facile lettura. A questi saggi Franzese ha inoltre aggiunto altri due saggi che non appartengono alla selezione originale (ma che trattano di temi comuni), gli appunti per un corso universitario di psicologia del 1897-8 e la voce Esperienza per il Dictionary of Philosophy and Psychology diretto da J. M. Baldwin. Queste sono aggiunte preziose per due ordini di motivi: in primo luogo perché i tratta di contribuiti difficilmente reperibili (soprattutto gli ultimi due), e in secondo luogo perché si tratta di contribuiti che si innestano idealmente nella trama dei Saggi di empirismo radicale (in particolar modo i primi due). Le note per il corso seminariale Philosophy 20b – I problemi filosofici della psicologia rappresentano un osservatorio privilegiato per osservare James a lavoro, poiché in esse egli lavora le sue idee circa la natura dell’esperienza attraverso una lunga serie di argomentazioni dialogiche di cui testa volta per volta la solidità e cogenza. Queste note rappresentano dunque dei veri e propri quaderni di lavoro preparatori in cui James pensa, articola, ritorna e talvolta stravolge la sua posizione e fornisce allo stesso tempo il miglior esempio di temperamento intellettuale pragmatico in cui la validità di ogni passaggio è misurata sulla sua capacità di illuminare e risolvere una certa difficoltà che grava sulla nostra vita pratica. Tutte le sue note private, sia quelle preparatorie per i seminari e corsi universitari sia quelle di studio, hanno questa struttura aperta e dialogica, e assomigliano più a una conversazione con se stesso che a un appunto mentale per ricordare un pensiero già di per sé fissato e solo da rievocare al momento della scrittura. La lettura di queste note è dunque fondamentale per comprendere il tipo di lavoro filosofico che James porta avanti, anche in scritti come i Saggi di empirismo radicale che sembrano più astratti e teorici; dunque la pubblicazione di queste note è utile e intelligente anche se queste non facevano parte del volume edito da Perry.

6. Il volume Il significato della verità. Una prosecuzione di Pragmatismo, tradotto da Stefania Scardicchio e curato da Francesca Bordogna per i tipi di Aragno rappresenta la prima edizione italiana assoluta di quest’opera, mai nemmeno tradotta parzialmente. Cominciamo con un commento sulla traduzione. Questa è precisa e fedele al testo del secondo volume dell’edizione Harvard delle opere. Essendo il volume formato da capitoli già apparsi come articoli singoli in riviste specializzate, James ha dovuto talvolta modificarne qualche parte per meglio adattarlo al formato del libro monografico, e tuttavia la lettura non risente della genesi non omogenea dei vari contributi poiché tutti i capitoli sono ben legati da un filo rosso argomentativo che si snoda tra essi senza interruzioni. La traduzione aiuta a uniformare la lettura i vari capitoli infondendo loro un timbro comune, e la prefazione dell’autore ne fornisce una chiave di lettura precisa. Questo non è un testo facile da tradurre perché la quasi totalità dei capitoli consiste in risposte variamente polemiche (ma sempre puntuali) ai molti attacchi che la concezione pragmatista della verità si è vista recapitare da parte di molte province filosofiche, e dunque l’andamento argomentativo non è sempre lineare bensì indiretto e pieno di allusioni a tali critiche. Stefania Scardicchio fa un ottimo lavoro poiché conserva il peculiare tono che James infonde al testo originale, insieme sobrio e di sfida. Se infatti a tratti James, specialmente quando pensa di non esser stato capito dai suoi detrattori, è un affabile oratore che tenta sobriamente di presentare in maniera più comprensibile e chiara possibile la posizione contestata, in altri luoghi si scaglia con convinzione contro l’avversario filosofico cercando di muovergli scacco in una sequenza fulminante di mosse. La traduzione regge bene a questi continui cambiamenti di enfasi, e l’accuratezza dell’argomentazione jamesiana è conservata insieme al suo peculiare stile narrativo. Le note sono puntuali e tuttavia meno numerose di quelle ai due volumi appena commentati, il che rende scorrevole la lettura non sempre semplice da seguire, nonostante l’ottima prosa jamesiana proprio a causa del complesso sottotesto polemico. Il lettore apprezzerà inoltre la capacità di James, che non va assolutamente persa nella versione italiana, di scrivere un testo estremamente tecnico e intricato usando un linguaggio che commercia continuamente con l’ordinario e non si lascia mortificare dalle esigenze pur severe della precisione filosofica. Troppo spesso James è stato accusato di essere un filosofo troppo visionario la cui immaginazione personale era preferita alla sobrietà e la precisione propria di ogni buona argomentazione filosofica, mentre invece dietro alcune espressioni certo eclettiche, spesso riportate senza il contesto assertivo e ridotte a meri aforismi evocativi, si annida un fine retore che cesella le sue argomentazioni in eleganti strutture logico-linguistiche per nulla ingenue che solo raramente lasciano il fianco scoperto a facili critiche.

Passiamo ora al saggio introduttivo di Francesca Bordogna, che completa il volume arricchendolo con una presentazione intelligente ed estremamente interessante. L’introduzione al volume è infatti un ottimo strumento per avvicinarsi al testo, poiché lo presenta criticamente e tuttavia allo stesso tempo ne suggerisce una possibile chiave di lettura originale. La curatrice ci introduce al testo attraverso la ricostruzione del congresso annuale del 1907 dell’APhA che si tenne a Cornell, a cui partecipò James in qualità di relatore principale al simposio su ‘Il significato e il criterio della verità’. È infatti proprio a causa degli esiti questo incontro, a cui parteciparono gli stati generali della filosofia americana compatti nella loro critica alla concezione pragmatista delle verità, che James pensò di mettere insieme i suoi ultimi scritti su tale questione e pubblicarli in un unico volume che fosse la prosecuzione ideale di Pragmatismo, riprendendone le argomentazioni e rilanciandone la ambizioni. Se dunque da una parte nel volume James si difende dagli attacchi e tenta di sciogliere le incomprensioni dei suoi detrattori, dall’altra cerca di costituire un fronte comune con quelli che sente i suoi alleati più stretti, ossia John Dewey e F. C. S. Schiller. Come mostra in maniera molto precisa Bordogna nel suo saggio, questa accesa controversia sul concetto di verità ne nascondeva una più profonda e molto sentita in quel periodo, soprattutto dalle nuove generazioni di filosofi che al pragmatismo si opponevano: ossia la controversia circa lo statuto dell’indagine filosofica e il suo rapporto con gli studi psicologici. Come scrive Bordogna ‘la controversia sulla verità pragmatista in ultima analisi verteva su una questione che per i filosofi americani del primo Novecento era forse ancora più importante della questione della verità, cioè la questione della natura stessa della filosofia, del suo ruolo e della sua posizione nel rapido evolversi dell’accademia americana’ (p. ix). È dunque sullo sfondo di questo più ampio dibattito che vanno lette le posizioni degli anti-pragmatisti quanto le risposte di James, il quale non era certo ignaro della posta in gioco. Infatti possiamo leggere molti dei suoi scritti come mossi proprio dall’indagine sulla natura del lavoro filosofico, della sua fisionomia e delle sue differenze rispetto ad altri ambiti di sapere e di indagine. Questa situazione ci è familiare poiché i nostri odierni dibattiti su questi temi non sono che una versione (si badi bene, non necessariamente una evoluzione) di quelli che accendevano le discussioni e la produzione filosofica al principio del ventesimo secolo. James è considerato a buon ragione un pioniere in molti campi di ricerca, dalla filosofia della psicologia alla filosofia della religione, proprio in virtù del suo interesse meta-filosofico sulla natura stessa del lavoro filosofico. Insieme a un manipolo di altri suoi colleghi James cambiò infatti il volto dell’università americana, operandone trasformazioni radicali e suggerendone molteplici esiti, alcuni dei quali sono quelli che ancora conosciamo nella nostra vita accademica. Lo scontro sulla natura della verità che Bordogna ci presenta affonda le sue radici in una visione d’insieme dell’attività filosofica e ha conseguenze ben più ampie di quelle strettamente dialettiche del dialogo filosofico, che investono la vita pratica delle persone coinvolte. Come scrive la curatrice, James era ben consapevole che la sua teoria della verità ‘metteva sotto attacco proprio la concezione della filosofia come disciplina professionale chiusa’ (p. xxv), e l’importanza della sua posizione nella storia delle idee non può essere in alcun modo sottodimensionata poiché egli proponeva attraverso i suoi scritti una nuova concettualizzazione di sfere importanti del sapere quali la medicina, la filosofia e la psicologia, facendole reagire tra loro e mettendole in stretta connessione con la letteratura e l’arte. Il lettore dovrebbe dunque leggere le pagine di questo prezioso volume con in mente questo tipo di dibattito, e questa bel saggio introduttivo ci aiuta a farlo molto bene.       

7. Anche la valutazione del carteggio James-Peirce pubblicato con il titolo Alle origini del pragmatismo non può che essere positiva, e per molteplici ragioni. In primo luogo esso ci consegna un ritratto privato, quasi intimo, del rapporto tra James e Peirce, e tuttavia della massima importanza pubblica. Come infatti scrivono i curatori Giovanni Maddalena e Marco Annoni, il loro criterio di selezione per il carteggio è stato proprio quello di privilegiare quei contributi più interessanti per la comprensione del rapporto intellettuale che intercorreva tra i due pensatori, omettendo sia le comunicazioni più irrilevanti quali la conferma di appuntamenti o registri di transazioni, sia alcune lettere di Peirce a James contenenti questioni matematiche sofisticate, spesso per altro non corrisposte da James. La lettura di questo intenso carteggio ci permette di entrare nel laboratorio delle idee dei padri del pragmatismo, che spesso definirono le proprie posizioni proprio attraverso un denso scambio epistolare sui temi di loro comune interesse.

Il saggio introduttivo di Marco Annoni è molto interessante poiché ricostruisce criticamente la genealogia del pragmatismo classico, con particolare attenzione al periodo che va dai primi decenni del diciannovesimo secolo fino al 1875, anno della prima lettera conservata di Peirce a James. Annoni tratteggia un affascinante quadro intellettuale di un’epoca, che affonda le sue radici nel trascendentalismo di Emerson e Thoreau e si dirama in molteplici direzioni fino al suo primo declino negli anni cinquanta del novecento dopo la morte di Dewey. Quella che l’autore del saggio descrive è un vero e proprio ritratto spirituale e morale di un’epoca, che ha visto James e Peirce come suoi eroi e mentori, e questo carteggio ne illumina ulteriormente alcuni aspetti meno evidenti, come il coinvolgimento personale e la dedizione dei due protagonisti alla causa pragmatista. Come scrive l’autore, ‘per diverse ragioni, la corrispondenza tra Peirce e James offre una testimonianza importante per analizzare questo processo di emancipazione culturale e le caratteristiche del pensiero americano in questa fase storica. Grazie a quella forma priva di mediazioni che solo una serie di lettere tra amici può restituire, questo carteggio consente infatti di approfondire, in modo inedito per il pubblico italiano, i rapporti che sono intercorsi tra questi due pensatori’ (ix). Il saggio introduttivo ci guida dunque in questa affascinante corrispondenza che si staglia sullo sfondo più ampio del processo di emancipazione culturale che porterà alla nascita di una nuova società americana in ‘un equilibrio consapevolmente instabile’ (viii). Questo saggio rappresenta un contributo unico italiano poiché è sia attento alla ricostruzione genealogica degli avvenimenti e delle contingenze che in quegli anni stravolsero la società americana, sia ai dettagli biografici dei suoi attori che cavalcarono questi cambiamenti imprimendogli una direzione distintiva. In questi anni la vita e la carriera dei due protagonisti prende pieghe e svolte difficilmente prevedibili che finirono per influenzare i destini di un’intera generazione, e solo la lettura del loro carteggio può farci apprezzare i passaggi più delicati di queste vicende insieme personali e intellettuali. Annoni nella sua introduzione copre una quantità notevole di materiale con una sicurezza davvero invidiabile, suggerendo possibili esiti teorici e linee di lettura di testi e biografie tanto complesse e sfaccettate. Particolarmente interessanti sono le ‘analisi ambientali’ dei vari luoghi cardine della filosofia americana, quali l’Harvard dell’accademia e la Concord dei circoli letterari, poiché mai come in questi autori il contesto, geografico e geopolitica, ha significato e peso nello svolgimento delle vicende e delle trame che in quei luoghi si sono consumate. Il pragmatismo si respirava letteralmente in quei luoghi (e sfido chiunque a sfogliare i manoscritti di James o di Peirce nella Houghton Library all’ombra dell’Emerson Hall aspettando una lettura alla Woodberry Poetry Room o al Concord Poetry Center e non percepire la storia, la cultura e la tradizione trasudare dagli spazi circostanti), e una lettura attenta del carteggio ci consegnerà un’immagine simbiotica del rapporto che questi pensatori stabilirono con l’ambiente in cui vissero e elaborarono le loro posizioni.      

Un ultima parola sulla traduzione del volume. Questa rappresentava una vera e propria sfida per i suoi traduttori poiché i toni e le flessioni linguistiche di un carteggio privato sono spesso difficili da preservare, soprattutto quando a scrivere sono due autori che hanno fatto dello stile di scritture parte integrante del loro lavoro filosofico. E se questa attenzione allo stile è cosa risaputa per James, le cui qualità sia oratorie erano ben note ai suoi contemporanei quanto ai suoi studiosi, questo carteggio ci consegna una immagine di Peirce inusuale, di uno scrittore oltre che di un logico. La traduzione di Maddalena e Annoni ha dunque un non facile compito, ma vi riesce egregiamente, preservando le sfumature e le inflessioni delle voci dei due protagonisti, che in alcune lettere sembrano proprio dialogare vis-à-vis argomentando, ribattendo e commentando le parole dell’altro. Oltre che molte informazioni interessanti per le rispettive posizioni teoriche, la traduzione di questo carteggio procurerà un grande piacere di lettura, cosa che siamo sicuri caratterizzava anche i suoi protagonisti, vista la frequenza dei loro scambi e commerci a distanza.   

8. In questa nota critica ho parlato molto delle traduzioni e delle curatele di questi volumi jamesiani, astenendomi a fatica dal dire qualcosa sul loro contenuto. Ma questo, oltre ad andare oltre ai miei doveri recensori, avrebbe tolto il piacere di un incontro incontaminato con la bellezza, la fortezza e la freschezza che caratterizza soprattutto le prime letture di James. Facendo mie le parole del suo commentatore e ammiratore Jaques Barzum, provo sempre invidia per chiunque si avvicini a James per la prima volta, per quello che troverà senza quasi aspettarselo e per tutto il bene che gli farà leggerlo. Queste nuove traduzioni sono, dopo l’originale inglese, il mezzo insieme più stimolante e fedele che il lettore italiano ha per immergersi in questa avventura, insieme intellettuale e personale.

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