venerdì 2 dicembre 2011

Redaelli, Enrico, L'incanto del dispositivo. Foucault dalla microfisica alla semiotica del potere

Pisa, ETS, (Segni del pensiero), 2011, pp. 284, euro 18, ISBN 978-884672969-9

Recensione di Alessandro Baccarin – 20 agosto 2011

È compito arduo disinnescare un'aporia, soprattutto quando questa è frutto del lavoro intellettuale di un filosofo come Michel Foucault, l'ultimo grande maître a penser del secolo scorso. Eppure l'intento ordinatorio ed euristico assunto da Redaelli in questo suo ultimo lavoro, quel metter mano al “guazzabuglio metafisico”, così definito dall'autore (p. 81), lasciato in eredità da Foucault ai suoi numerosi esegeti, continuatori e commentatori, è senz'altro meritorio e necessario. 



Numerose e importanti, infatti, sono le incongruenze evidenziate dall'autore nel corso della sua analisi, incongruenze e aporie di cui chiede ragione direttamente al filosofo parigino, interrogandone i testi. E le domande danno luogo ad una sorta di spietato, quanto onesto, interrogatorio. Una indagine semidialogica che lo stesso Foucault avrebbe senz'altro apprezzato, lui che era solito lamentare la mancanza di confronto e di dialogicità con i suoi uditori, nei suoi seguitissimi corsi al College de France.
Da dove parla Foucault? La sua voce proviene da un fuoricampo, o lei stessa è imbrigliata in un dispositivo? È possibile una critica, è possibile una “aufklärung” al di fuori di un gioco di potere/sapere? E in caso contrario, quale efficacia può avere il suo valore emancipatorio? In definitiva, il dispositivo, anche se costituito dalla critica, riesce a disincantare, oppure ricade inevitabilmente nell'incanto? Questi sono gli interrogativi dal quale l'autore prende le mosse per la sua indagine. L'intera prima parte del libro è dedicata proprio all'articolata formulazione di queste domande e delle fondamentali conseguenze che le eventuali risposte comportano per la coerenza del sistema foucaultiano. Se infatti la critica è un dispositivo, se quindi produce con il suo incanto soggetti, la sua funzione liberatrice diventa opaca, se non evanescente o nulla.
Partendo da questa “Urszene” (p. 22), ed esaminati brevemente i debiti foucaultiani nei confronti della fenomenologia husserliana, l'autore evidenzia come la prima fase della produzione foucaultiana, quella concentrata attorno ai lavori degli anni sessanta ed alla Archeologia del sapere, contengano spunti di una viva consapevolezza delle criticità connaturate in una elaborazione teorica priva del soggetto metafisico. Consapevolezza che sembra invece venir meno nella produzione successiva, dove appare prevalente quella che l'autore definisce “un'urgenza politica”. È soprattutto il potere ad essere investito da una sorta di oscillazione definitoria: di volta in volta effetto relazionale della soggettivazione, oppure artefice del dispositivo e della successiva soggettivazione. Questa opacità viene ricondotta dall'autore alla questione irrisolta della natura semiotica del potere. Se infatti è il dispositivo a formare il senso, grazie all'iterazione oggettivazione-soggettivazione, allora è corretto definirlo come un meccanismo segnico. Ne consegue che eliminare il dispositivo, grazie al lavoro della critica, significa disfarsi di qualsiasi senso. Difficoltà questa che trova rinforzo in quell'ambiguità di fondo che avvolge il rapporto potere-dispositivo in tutte le opere di Foucault. Il dispositivo è osservato di volta in volta come produttore di soggetti e quindi di poteri, ed allo stesso tempo strumento di poteri. Il potere oscilla quindi fra l'essere un prodotto degli a priori storici, e un soggetto metafisico che si impone sul dispositivo
Queste incertezze teoriche sono ricondotte dall'autore ad una sorta di duplicità prospettica. Il Foucault degli anni sessanta osserva al microscopio ciò che invece osserva ad occhio nudo negli anni successivi. Una “micro e macrofisica del potere” (p. 13) applicata rispettivamente al rapporto critica-potere e potere-soggetto. Uno scarto di scala similare a quello che accomuna il lavoro del biologo a quello del fisico quantistico. Uno scollamento che è prodotto da una scelta politica: Foucault, a partire dagli anni settanta, decide di dedicare i propri sforzi intellettuali e d'impegno umano su quei dispositivi universalizzanti che caratterizzano la modernità, i cui effetti, da attento osservatore e commentatore dell'attualità, riscontra nella quotidianità politica. La sua ricerca sul dispositivo disciplinare e carcerario e il suo impegno a favore dei diritti dei carcerati, rivendicati nei primi anni settanta da una popolazione carceraria in aperta rivolta, ne costituiscono forse l'esempio più chiaro. Un'urgenza politica, quindi, ma anche una sorta di ritrosia, di fastidio, di timidezza verso quel groviglio di nodi teorici che, nella sua estrema lucidità intellettuale, il filosofo parigino doveva avvertire, con una ben celata contrarietà.
Denunciati questi irrisolti foucaultiani, l'autore può dedicarsi, per l'intera seconda parte del libro, a proposte e suggestioni teoretiche volte a sciogliere le problematiche definitorie di potere e critica. Ed è il dispositivo segnico a costituire il centro di queste riflessioni. Avvalendosi dei fondamentali lavori sul tema di Mario Liverani, analizza la prassi scritturale quale produttrice di potere già ai suoi esordi, ovvero presso le civiltà del Vicino Oriente antico. È su quel repertorio eterogeneo di tavolette d'argilla che il dispositivo segnico emette i primi vagiti, capaci già allora di produrre soggettivazione e potere, di enucleare un primo abbozzo di nuda vita attorno ai soggetti, e di proporre un primo esempio di biopolitica. Se infatti la nuda vita è quella sfera del soggetto non inclusa nel codice (la tavoletta definisce solo quanto è dovuto al tempio, non tutto ciò che impedirà o ostacolerà il contadino nella restituzione del debito), si crea uno spazio per uno stato d'eccezione che include escludendo. Testimoniando il proprio debito alle riflessioni di Agamben, l'autore perviene alla definizione di una semiotica del potere. Troverebbe cosi soluzione l'aporia foucaultiana: il potere è il prodotto della prassi scritturale, fondata su un codice, e per questo universalmente replicabile. Non più, quindi, quell'oscillazione fra un potere prodotto da, e allo stesso tempo produttore di, dispositivi, ma mero effetto di pratiche, di un dispositivo semiotico legato alla pratica scritturale.
È in virtù di questa soluzione che l'autore può definire la critica un dispositivo, ed ipotizzare, quasi provocatoriamente, un dispositivo Foucault. Ogni disoggettivazione produce, infatti, una ennesima soggettivazione, e la domanda sul possibile valore emancipatorio della critica rimane aperta. A sottolineare questa impasse della critica, l'autore ipotizza, proprio al termine del libro, il valore fondante, per la formazione della critica e del soggetto logico/critico, delle lingue basate sul sistema vocalico, e in particolare del greco antico. È proprio l'emergere della scrittura vocalica a consentire quell'esplosione della mentalità logico/critica che caratterizza l'enorme lascito della letteratura, filosofica e non solo, della cultura ellenica.
Un testo quindi, questo di Redaelli, denso e acuto, che rilancia quelle oggettive difficoltà, quelle aporie si diceva, che ogni lettura attenta di Foucault fa emergere. Un lavoro rigoroso, quindi, ed anche coraggioso, che tuttavia presenta passaggi e soluzioni capaci in alcuni casi di generare entusiasmi, ma anche perplessità. In primo luogo, la scelta di fare del potere un prodotto della pratica scritturale. Per la vicenda storica del Vicino Oriente antico, dove l'autore individua le origini del fenomeno, è sempre possibile ribaltare lo schema proposto: è il surplus di risorse alimentari, generato dalla sedentarietà agricola, a rendere necessario il codice, la scrittura, e quindi le oggettivazioni da questa imposte (schiavitù, ecc.). Su questi temi i lavori di Polanyi o di Clastres costituiscono solo la parte più vivace di un dibattito che vanta un’estesissima letteratura.
Per quanto riguarda poi il primato delle lingue vocaliche su quelle sillabiche, per l'origine della critica/logica, è necessario sempre tenere nella dovuta considerazione il totale naufragio subito dalla letteratura antica di lingua non greca. Considerazione che ha indotto Martin Bernal, già da tempo, a formulare la sua teoria dell'Atena Nera, ovvero delle origini semitiche e africane di buona parte della cultura ellenica.
Infine, l'immagine di un potere, quale prodotto esclusivo della pratica scritturale, tende pericolosamente ad assimilare il potere ad una incorporeità fantasmatica. Ed era forse proprio il pericolo di dover confrontarsi con un potere fantasma ad aver indotto Foucault a sviare il problema del rapporto critica-potere, ad esorcizzarlo con il desiderio di veder svanire i suoi libri, le sue scatole di attrezzi, sempre e solo dopo aver lasciato loro compiere la necessaria opera emancipatoria. Un Foucault, quindi, consapevole del fantasma, e piuttosto che incerto o infastidito, sicuramente preoccupato. Un elegante e coraggioso samurai, come lo definisce Veyne in un suo splendido e recente ritratto, che ha preferito lasciare ai suoi lettori il compito di trovare risposta all'aporia della critica: esiste un potere emancipatorio che non sia potere?


Indice

Prefazione
Introduzione – Campo e fuori campo
Capitolo I. Verso una semiotica del potere
Capitolo II. Scrittura, gestione, controllo. Per una genealogia del potere
Parte I. Scrittura e disciplina
Parte II. Scrittura e biopolitica
Capitolo III. Dispositivo Foucault
Capitolo IV. Scrittura, astrazione, decentramento. Per una genealogia della critica.
Bibliografia

8 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Recensore senza dubbio coglieva lato debole di vera e propria concertazione intellettuale cui lato non debole costituito dal lasciar essere da parte di M. Foucault la possibilità di un disporsi del proprio antidispositorio indagare. In definitiva Foucault giunse al punto di rilevare che avrebbe lasciato finanche una oggettivazione, dispositivo-alternativo; rendendosi conto della parallelità costruzione-distruzione in essere ormai contro esiti di Decostruzione; eppure affidando Egli a Decostruzionismo esiti stessi non quali ricezioni soggettive. Da una parte tradizionalisti, da altra innovatorismo, erano opposti a un dimensionalmente altro 'dispositante' infine dispositivo-controdispositivo. In riferimento ad autoritarismo e violenza, si pensi a evocazione di ordinate legittime difese non solo inermi; e assai recentemente alle richieste soddisfatte da Macron ai "Gilet Gialli" che lamentavano poca competenza scarsi servizi e tasse inique a motivo di strade...

Autore recensito non coglieva tanto il lato positivo del contropotere intellettuale preorganizzato da Foucault; e recensore ne criticava... la critica cioè mostrando qualcosa di diverso in pensiero cui autore ridimensiona incautamente... più per innovare perché troppo poco di radicalità ne trovava...

Genealogia del potere; genealogia della critica; sarebbe questa una critica a sua volta di critica, un superamento critico...? Ma postmodernità in Francia era legata a Critiche kantiane ed a criticismi di kantismi ed invece recensore mostra altro in base a criteri moderni precedenti...
Risultato della "critica oltre il potere" era, ancora in anno 2011, dipendente da attese di futuro e da rifiuti, radicalismo ideologico erede di alternativa totale. Odiernamente non se ne trova risultanza oggettiva, solo possibilità che rovina definitiva di marxismo-comunismo non consentì di riscattare da logica di ritorno al potere stesso - e fantasmagorico tutto il resto diventando...

Non così la persuasione oggettiva, filosofica suggestione e politici aut aut: coi quali M. Foucault inibiva propaganda già illusoria... Incanti ad illusioni, che autore recensito non tematizza perché ne giudica anche inganni di fondo, da esterno... ma giudizio soggettivo, cioè senso politico arbitrario non esigenze filosofiche e nessuna esigenza di filosofia... Inoltre tal giudizio con idea conservatrice significherebbe; ma Foucault agiva senza assolutezza cui contraddire ed opporre da un passato concreto.
Determinismo moderno in logiche democratiche di contemporaneità democratica non vale a definire progressismi-mutamenti di postmodernità e non valendone non salva neanche disattese non-messianiche post ex Marxiste.

Scrittura ordinativa per rifiuto delle scritture critiche kantiane si palesa dispositivo soggettivamente; e recensore giustamente fa notare ubertà di ambienti orientali da cui nasceva fissità di consegne contadine ad Istituzioni e solo apparenza di schiavitù — aggiungo: questioni di onori e di disonori, cui ruoli di schiavitù solo teatri del disonore; e perciò concordia e come marxismo e filomarxismi, resoluti o no, distratti pure che fossero, non immaginarono né mai immagineranno in loro odio collaterale ma decisivo contro evenienza involontaria di povertà.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Passaggio da microfisica a semiotica del potere non profila critica ma senza critica non se ne attua passaggio in fatto di dispositivi sociali e non solo sociali e di conseguenti ristrettezze.

Si trovano critiche di tali dispositivi in neoplatonismi, in riferimento ad assolutizzazioni astrologiche.
Plotino diceva "quasi" di isocronia solare concreta; e tanto immane massa solare, che quel quasi significa a volte tanto a volte pochissimo per logica umana e tal saggezza era ed è una biopolitica.
Ficino diceva "poco" di influssi astrali e tal moderazione era tanto concreta che aveva senso grandissimo e sorprendente per ragioni terrestri... ed era ed è biopolitica.
Culture ingenue leggono nei moti degli astri una sottrazione semantica ad atti di scrivere di saperi distanti; e cultura popolare da cui successi utopici marxisti e filomarxismi ne provvedeva di morale, soggettiva; da qui storia di 'scrittura ordinativa', dai poteri degli Scribi egiziani favoleggiati in Europa Mediterranea medioevale e dalle facoltà dei Notari, di cui famigerate le Asburgiche, leggendarie le Prussiane... Storia per soggettivazioni di oggettivazioni cui solo possibile esito oggettivo sarebbe stata e sarebbe sostituzione ingiusta di poteri; anche perché...
Oramai il sole correndo fa correre orologi e giornate brevi son scandite per gli sprovveduti o scalmanati non da pause-premio ma da sensazioni influenzali che avvertono di concitazione di moltitudini troppo esagerata ed ostinati one di esse trova il morire in annessi bacilli e batteri e virus; e concitazione stessa ha costretto a misure di emergenza concitate, cui influssi astrali potrebbero mostrare inanità perlomeno...

e non conviene cultura del sospetto che di saggezza filosofica faccia alternative provvisorie.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

In messaggio precedente 'ostinati one' sta per:


ostinazione .

Reinvierò con testo corretto.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

* +


Passaggio da microfisica a semiotica del potere non profila critica ma senza critica non se ne attua passaggio in fatto di dispositivi sociali e non solo sociali e di conseguenti ristrettezze.

Si trovano critiche di tali dispositivi in neoplatonismi, in riferimento ad assolutizzazioni astrologiche.
Plotino diceva "quasi" di isocronia solare concreta; e tanto immane massa solare, che quel quasi significa a volte tanto a volte pochissimo per logica umana e tal saggezza era ed è una biopolitica.
Ficino diceva "poco" di influssi astrali e tal moderazione era tanto concreta che aveva senso grandissimo e sorprendente per ragioni terrestri... ed era ed è biopolitica.
Culture ingenue leggono nei moti degli astri una sottrazione semantica ad atti di scrivere di saperi distanti; e cultura popolare da cui successi utopici marxisti e da filomarxismi ne provvedeva di morale, soggettiva; da qui storia di 'scrittura ordinativa', dai poteri degli Scribi egiziani favoleggiati in Europa Mediterranea medioevale e dalle facoltà dei Notari, di cui famigerate le Asburgiche, leggendarie le Prussiane... Storia per soggettivazioni di oggettivazioni cui solo possibile esito ed oggettivo sarebbe stata e sarebbe sostituzione ingiusta di poteri; anche perché...
Oramai il sole correndo fa correre orologi e giornate brevi son scandite per gli sprovveduti o scalmanati non da pause-premio ma da sensazioni influenzali che avvertono di concitazione di moltitudini troppo esagerata ed ostinazione di esse trova il morire in annessi bacilli e batteri e virus; e concitazione stessa ha costretto a misure di emergenza concitate, cui influssi astrali potrebbero mostrare inanità perlomeno...

e non conviene cultura del sospetto che di saggezza filosofica faccia alternative provvisorie.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

In testo di mio invio precedente ho anche apportato miglioramenti ad espressioni di cui messaggio.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Sono dispiaciuto per inconvenienti di scrittura ma briganti quest'oggi davan brighe finanche coinvolgendo mosconi e mostrando di esser appassionati infedeli del Sud e troppo e troppo a lungo curiosi di luoghi ed impegni del Nord del Mondo ( cui Europa tutta) ed era meglio inviare senza troppi indugi e internet non è libreria; basta il rinviare e senza così aver davvero sbagliato.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Recensore riporta itinerario mentale di cultura linguistica compiuto da autore recensito circa vocalità, non vocalità, greci, non greci... Ma alla fine reale oggetto di riflessione di autore è limitato a cultura ellenica e questa può essere anche attuale; cosa allora fa propendere stesso autore per conclusioni storiche? Il riferimento ad antichità ellenica e non specificamente a medioevale ellenica, perché altrimenti non avrebbe senso deduzione? Direi di sí.

* In ogni caso, lingua greca antica era dialettale non dialetto e ne utilizzavano elleni ma grecità non se ne basava e soprattutto vocalità era determinata da consonantica ed era vocalità a denotare differenze dialettali ed invece consonantica variava soltanto e non tanto da differire in pronunciare. Ciò non si può capire con sistemi di riesumazione di lingua morta; ma questa ultima è il sistema classico generico di lettura dei testi greci antichi; eppure in stessi licei classici professori assai pignoli e non obliosi sapevano mostrare differenziazione vocalica dal differimento di emotività spontanee o di argomenti o di letture stesse. Leggere il 'nessuno' odissiaco accanto ad alunna od alunno, che differenza...? In cultura ellenica antica lingua greca era un esperanto e da esso derivò unificazione medioevale bizantineggiante-ellena; in Italia tal esperanto greco divenne latino-greco poi greco-neolatino; a Napoli si parlava lingua quasi sosia di antica greca ma coincidenze non ne lasciarono combinazioni lessicali; in tal cultura linguistica, greca in particolare grecale, vocalica era basilare; in riesumazione di lingua greca ellena antica essa è base preliminare non di stessa lingua; e studi linguistici riesumativi ne presentano basica di tecnica non descrittiva di lingua.
Luoghi di retaggi culturali linguistici forti erano o forse sono in America: in particolare per lingua greca antica: Philadelphia; Indianapolis è caratterizzata da retaggio forte pre-elleno; più greco che antecedente nome di luogo "California", "ove i tepori son belli" però in antecedente omologa: 'ove tutto è costanza, tramite, regola e meraraviglia", dire che greci riferivano a natura, gli indi a civilizzazione, indiani a consuetudini sociali; in modi ellenici di ' kali phornìa ' c'era similare a modi indios, estranei non alieni ad espressione stessa.
In Italia, parallelamente a formazione di greco-elleno lingua non dialettale e nazionale di Stato Greco attuale, v'era un greco moderno sorto in Salento similmente ad italiano ai tempi di Federico II; testimonianza letteraria non fu seguita da unanime pronuncia linguistica e da varie dialettale ma oggi poche o meno o più niente; testo poetico servì per inni italiani antifascisti; oggi se ne ritrova canto mediato da folklore. Ascendente di tal lingua ne erano passi omerici in poema Odissea, ma origine autoctona di cui riferimenti omerici non di Omero.
In Italia retaggio forte ha senso particolare e provvisorio o còlto non spontaneo; ma non è insegnamento scolastico né universitario; attuale lingua unica italiana reca lessico greco fortemente o non fortemente od altramente a seconda di luoghi di Italia; in tal senso è anche greca.

...


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

**

...
Lingue greche, hanno reimmesso in uso, nel mondo, consuetudini prima estinte, di onomatopee fortissime o nulle (riferiti a fine Rinascimento qual: modi mauri); cosiddetta deriva linguistica non greca in pratica è stata evoluzione libera non più vincolata a conservazione di modi prearcaici che era ormai logorante anche per latini; latino antico-medioevale bizantino-romano rimandava a pensiero numinoso anche di Atena Nera. Non è una mitologia occulta, in certo senso; era lingua greca in particolare grecanica; non semita, araba non africana ed africaneggiante. Spartani al tempo di Platone parlavano il britanno-greco; solo intonazione greca. Se ne può dedurre da testi di Platone. Marinai ateniesi durante guerre persiane imparavano altra lingua, che ricostruivano per esigenze pratiche da memorie ancestrali e retaggi arcaici o per intuizioni estreme; replica greca da non greco che potrebbe dirsi 'il punico' (non:'punico'). Frammenti di Parmenide recano duplice lingua pensata in singola scrittura; greco-ellena; greco-ausone-ellenica; questa ultima ricostruibile perché da sùbito poi itala, italo già Autore; in testi eleatici se ne allude con precisione; ma diffuse relazioni attuali con scrittura greca son perlopiù convenzionali fin quasi al fraintendimento.
Cultura linguistica semitica fu provvisoriamente in Egitto al tempo di traduzioni bibliche dal giudaico in greco ellenista cui riferimenti erano greco-persiani e base scritturale greco ellena. Tuttavia significati sensi e dire furono perduti in stesse interpretazioni dei testi greco egizi e proprio col greco neotestamentario ed annessione veterotestamentaria a neotestamentario. Consuetudini originali di tal greco egizio in scrittura ellena era da primordi (non greci ovviamente) persiani a ellenismo persiano tutt'altro da mondo semita, cioè da mondo prebiblico e selvaggio da cui provenuto racconto biblico di Eden; abitudine, ancor oggi tradizionale retaggio in Iran, da regola, ne era di parlare solo nudi tacere vestiti.


MAURO PASTORE