giovedì 23 febbraio 2012

Colombetti, Elena, L'etica smarrita della liberazione. L'eredità di Simone de Beauvoir nella maternità “biotech”

Vita e Pensiero, Milano, 2011, pp. 137, euro 15, ISBN 978-88-343-2125-6.

Recensione di Carla Fronteddu - 08/01/2012

“Sono passati poco più di tre decenni dalla nascita di Louise Brown (la prima bambina nata attraverso la fecondazione assistita) e le biotecnologie legate alla generazione umana sono ormai vissute e rappresentate solo nella loro dimensione tecnico-pratica, spesso banalizzate nel campo delle offerte mediche disponibili” (p. 3). 
È a partire da questa osservazione che Elena Colombetti individua la necessità di fare il punto su due aspetti: 


il primo ha a che fare con il corpo, nonostante l'emancipazione della generazione dal suo processo naturale, infatti, questa ha comunque bisogno di una donna e del suo corpo; il secondo, invece, chiama in causa categorie filosofiche più profonde, la concezione dell'essere umano e delle sue relazioni, riflessioni sull'identità di genere e le teorie della giustizia, che sottendono la generazione extracorporea. Nel suo ultimo saggio Colombetti ha preso in considerazione questi due elementi muovendo da una prospettiva di genere, o più esattamente dalla riflessione di due importanti esponenti del pensiero femminista: Simone de Beauvoir, oggetto principale dello studio, e Shulamite Firestone. Analizzando i capisaldi teorici di queste due pensatrici, l'autrice ha cercato di mettere in luce i punti di contatto e l'influenza che potrebbero aver esercitato sull'interpretazione delle nuove biotecnologie e sulla comprensione del rapporto tra maternità e libertà. 
In primo luogo Colombetti ha preso in esame la questione dell'alterità dei generi. Nei testi della De Beauvoir la relazione con l'altro da sé è, sulla scia di Hegel, di tipo dialettico-conflittuale, tuttavia, se è vero che le coscienze lottano le une contro le altre per affermare la loro essenzialità, hanno allo stesso tempo bisogno le une delle altre per svelare il mondo e per potersi riconoscere come trascendenze. Quest'ambiguità della coscienza, per De Beauvoir, ha storicamente acquisito nel rapporto tra i sessi un dinamismo peculiare: l'ineliminabile e reciproca opposizione della lotta per il riconoscimento, nella dialettica tra i sessi presenta una nota distintiva assente in Hegel: la donna non ha mai opposto all'uomo una speculare pretesa di riconoscimento, assumendo essa stessa il ruolo dell'altro e concependosi in relazione all'uomo. È a partire da questo ruolo assegnato e assunto che la donna si pone nei confronti dell'uomo non come soggetto, ma come un oggetto paradossalmente dotato di soggettività.
Il nodo teorico della definizione storico-culturale della donna è stato raccolto e radicalizzato dall'altro riferimento teorico dell'autrice, la femminista americana Shulamite Firestone. Quest'ultima, ne La dialettica dei sessi, riconduce lo sfruttamento delle donne all'innaturale divisione dei sessi: il concetto di Altro in cui la donna è stata rinchiusa non trascende la storia, ma è il frutto e la conseguenza di una lettura delle differenze sessuali, che ha strutturato una società divisa in oppressi ed oppressori. Date queste premesse la soluzione del problema della sottomissione femminile rende necessaria la riformulazione della questione procreativa. La categoria hegeliana dell'alterità, osserva Colombetti, è qui giocata e fatta derivare fondamentalmente dal dato biologico della sessualità, per questo occorre rivolgersi alla cultura, “non solo modificando il modo con cui si assegna il senso ad un dato letto in sé come meramente biologico, ma cambiando le condizioni per cui tale dato diventa significativo” (p. 33). La proposta di Firestone è appunto quella di eliminare la base biologica sfruttando le nuove tecnologie per vicariare all'esterno del corpo femminile le funzioni riproduttive.
Sebbene l'idea che la natura sia foriera di ineguaglianza sia costata a Firestone la critica di molte femministe, i suoi scritti hanno introdotto in modo pionieristico l'idea che si possa realmente e praticamente prendere le distanze dalla propria corporeità, attraverso la cultura e la tecnica. L'elemento più interessante de La dialettica dei sessi, secondo Colombetti, risiede appunto nell'idea della tecnologia come strumento di liberazione dalla natura del proprio corpo.
L'autrice individua nella riflessione della femminista americana un itinerario scandito da tre passaggi: 1) la formulazione, sulla scia di Simone De Beauvoir, di una sorta di disprezzo del soma femminile, senza che questo si traduca in un disprezzo della donna (la corporeità della donna in quanto tale è con le sue caratteristiche negativa e foriera di oppressione, mentre la donna è altro rispetto ad essa); 2) l'idea che, avendo messo a nudo le leggi della natura, si possa attraverso la tecnologia rivolgerle contro di essa per plasmarla in accordo con il progetto dell'uomo; data la premessa, infatti, andare contro natura non significa in alcun modo andare contro se stessi; 3) il piano rivoluzionario di cambiare la società attraverso la modificazione e l'abbandono delle determinazioni corporee. Quello che è accaduto negli anni successivi alla Firestone, sostiene Colombetti è che, pur avendo abbandonato la premessa iniziale, si è mantenuta l'idea di una disponibilità della corporeità umana, e femminile in particolare, neutralizzata a livello di strumento. 
Il tema della corporeità viene approfondito dall'autrice nel secondo capitolo. De Beauvoir, ne Il secondo sesso, ci presenta una donna intimamente e insanabilmente frantumata, incapace di raccogliere in unità la sua identità. “Se la cultura (dimensione umana) e la società modellata sul modello maschile condannano la donna al ruolo dell'Altro, la natura sembra a sua volta chiuderla in una servitù iscritta nel suo stesso corpo. Su questo De Beauvoir non ha mezzi termini ed indica nella maternità, vissuta ma anche semplicemente possibile, “la schiavitù”” (p. 55). Colombetti osserva giustamente che “leggere la fisiologia come asservimento alla specie non è un dato, ma già una precisa interpretazione alla luce di un'idea dell'identità umana separata dalla sua identità corporea” (p. 56). Inoltre, rispetto alla descrizione debeauvoiriana della maternità come “dramma che si svolge nell'intimo della donna”, Colombetti sottolinea la contraddizione “per cui colei che ha richiamato la necessità dell'esistenza altrui per poter mantenere il senso della propria, [...] non riesca a leggere la maternità in questi termini” (p. 58). 
Scorrendo la storia che ci separa dagli scritti di De Beauvoir e Firestone, osserva Colombetti, assistiamo ad uno strano fenomeno: “quello che in Firestone sembrava ancora utopistico, “la riproduzione artificiale”, diventa prima possibile e poi prassi su larga scala, dall'altro la visione della maternità e della scienza cambiano profondamente, mentre poco a poco l'utopica fiducia nel ruolo salvifico delle scienze si ridimensiona fino a venire apertamente contestato da alcune pensatrici” (p. 121). In conclusione al suo saggio, dopo aver preso in esame la proposta etica di De Beauvoir, che nella categoria di progetto indica il senso dell'esistenza umana, la sua possibilità di successo o di fallimento, Colombetti porta alla luce la eco del pensiero della filosofa nell'odierna concezione delle tecnologie riproduttive. Secondo De Beauvoir solo una maternità che sia interamente l'esito di un progetto appartiene alla donna e acquista un senso umano. Il primo passo che la filosofa addita come necessario è quello della liberazione dalla maternità: separare la sessualità dalla maternità attraverso la contraccezione e, in caso estremo, l'aborto. Tuttavia, su questa linea, osserva Colombetti, la maternità non diventa propriamente un progetto: la libertà, infatti, è messa in campo solo nel versante negativo del rifiuto. Oggi, al contrario, le possibilità tecniche raggiunte sembrano promettere la collocazione della maternità nella sfera della progettualità aprendo la possibilità di un superamento della liberazione dalla maternità, verso una liberazione della maternità. È qui, che secondo l'autrice, troviamo più fortemente l'eco di De Beauvoir: la percezione delle biotecnologie come risposta ad un progetto di maternità reso, per motivi diversi, difficoltoso. Certamente non si tratta di un progetto chiuso, perché la procreazione extracorporea coinvolge più agenti, sottraendo al privato sfere intime dell'esistenza, ma anche questa dimensione sociale della tecnica, osserva Colombetti, ben si coniuga con la convinzione della filosofa francese che il proprio progetto non si sviluppa mai in un vuoto di significati. In questo quadro di liberazione della maternità, tuttavia, avverte l'autrice, si perde il pensiero critico sulla donna e sulla maternità stessa. “Tale abbandono, per quanto sottilmente celato, nasce dalla fragilità teorica di una morale che si basi solo sulla libertà individuale, sulla volontà del soggetto” (p. 127). L'esito di questa rimozione è un vuoto di riflessione sull'azione normalizzante delle biotecnologie, su come questa normalizzazione mini proprio la pretesa di scelta libera. Tra le questioni che rimangono accantonate si colloca la dimensione relazionale della persona. Se prescindiamo dalla relazione e partiamo da individui isolati compiamo, secondo Colombetti, almeno due errori: in primo luogo, banalmente, pensiamo ad un essere umano che non esiste, in secondo luogo pensare ad un individuo a prescindere dalle sue relazioni porta inevitabilmente ad uno scontro tra progetti di vita. La questione morale, conclude Colombetti, si gioca su un doppio versante: quello della libertà e quello del contenuto della libertà, che deve coniugarsi con altre dimensioni dell'essere umano. “Nell'epoca delle biotecnologie, dove anche la maternità è diventata biotech, c'è bisogno di uno sforzo addizionale per coglierla non come l'esito di un processo produttivo, ma come una relazione significante e originante tra esseri umani” (p. 137).


Indice


Presentazione di Laura Palazzani

Introduzione. Recuperare il passato per capire il presente

1.     Identità e relazioni
        La donna come Altro
        Alterità come contrapposizione
        Genderizzazione dell'alterità
        Conflitto e malafede
        Un'opposizione radicale
        Trasformando le radici
        Relazioni e famiglia (è possibile amare?)
        Cultura tecnologica e rivoluzione

2.      La relazione con il proprio corpo
        Il corpo che sono, il corpo che non sono
        La generazione come violazione e alienazione
        Soggetto, corpo e società: l'erotizzazione del sociale

3.     Il progetto come categoria unica di senso
        Il periodo morale. Ambiguità e libertà
        Volere se stessi liberi
        Volere gli altri liberi
        L'arte di vivere
        Progetto e giustificazione

4.     Da Simone e oltre Simone
        Progettarsi madri
        Dalla liberazione “dalla” maternità alla liberazione “della” maternità
        Ripensando la relazione
        Identità, narrazione e relazioni

Bibliografia

1 commento:

MAURO PASTORE ha detto...

Assistenze a nascita, a vita, a morte, non sono rivoluzioni nella natura ma possibilità nella natura e della natura; il rapporto tra intrinsecità diretta e indiretta naturale e quanto di maggiore e minore in ciascuna rispetto ad altra determinano possibilità extranaturale e quanto per questa fatto artificialmente non accade direttamente né per necessità esclusiva e accade con naturalità e per naturalità di evento.
Illusione opposta, era da altrui attuare antidenotativamente omosessualizzando i resoconti eterosessuali, di solito negando menzione di esistenza di maschilità, ricorrendo a termini verbali che sono ragionativamente sessuofobici non logici, di cui ultima 'moda' il cosiddetto "gender" che è anche termine in certo senso finale perché sua illogicità più direttamente manifesta in quanto esso indica volontarietà di condursi ed essere, dunque in fare non agire con sé ed in apparenza di esistere non modalità di esistenza né esistenza... Questo, con affermazione non illusoria, sessuologicamente si può riferire a giocosità erotica e dire: "finzione", "travestitismo", "teatro"... che rientrano in casistiche di diritti di comportamento ovviamente solo se volontari mezzi per scopi propri o di giusta difesa o di non offesa... Uso di termine "gender", cui italianizzazione usata da autrice, fu invalso traendolo da linguaggio criminale, di ambienti e non i peggiori di sfruttatori nonché aguzzini, dunque serviva e servirebbe in caso di dover evitare epiteti peggiori o durante imposizioni linguistiche affinché comunicare con vittime di plagi culturali e verbali... Tentativo di sfruttarlo per descriver realtà non solo di parvenze, ovviamente o è erranza verbale o protesta sarcastica, metaforica, contro false menzioni di natura o falsa menzione di natura. Di fatto rinomanza del termine dipendeva da minor negatività rispetto ad altri e poi è dipesa da volontà di non manifestare realtà naturale, o per difesa da violenze contro vere manifestazioni, o all'opposto per evitarne... ed evidentemente tal intento prevarrebbe se non si continuasse a porre limiti a usi che sono illazioni verbali inoltre usi difensivi con essi diventano perdenti se continuati non ai margini di discorsi possibili in rette espressioni...
Che filosofia da questo ed altro più grave sia stata e sia coinvolta, è da riferirsi ad utilizzo da esterno o per esterno di essa stessa... Ugualmente intero lavoro recensito, che non altro può essere e pure recensione stessa, poco più che parolaia soltanto... Ciò anche se tanto di altro valido potendo essere ed essendo tratto in stesso lavoro, sia di recensione che recensito... Perché una unità filosofica è tale se in unità, non altrimenti; allora, lavoro recensito e recensione sono in esternità di filosofia; ma bisogna intender tale esternità!; e titolo e indice accluso ne potrebbero essere atti ma a chi munito di ragioni anche interpretative. Perciò recensione, con suo inizio o per perduranti illusi o per nessuno, altro non può che indirizzare a indice e titolo non consistendo in alcunché. Dunque essendo essa un nichilismo comunicativo estremo per una comunicazione in sé stessa consistente non in comunicato e senza poter valicare stretti confini spaziotemporali, criminologicamente definiti, non definitori.

...Invece questo mio commento ha valore di identificazione di verità e realtà per esclusione di non verità e non esistere. (Ne ho scritto e inviato a scopo anticrimine ed a vantaggio di potere di vera filosofia. )


MAURO PASTORE