giovedì 14 giugno 2012

Farisco, Michele, Ancora uomo. Natura umana e postumanesimo

Vita & Pensiero, Milano 2011, pp. 227, euro 20, ISBN 9788834320563

Recensione di Antonio Allegra – 22/3/2012

Il tema del postumanesimo attraversa un ampio e variegato spettro di analisi contemporanee, non solo filosofiche ma anche sociologiche, artistiche, o letterarie. Non sempre lo spessore della riflessione è all’altezza della ampiezza della produzione, ma una serie di testi di una certa importanza, anche in italiano, fa pensare che almeno in questo caso si possa andare oltre la semplice moda intellettuale.
Il libro di Michele Farisco ha, sotto il profilo dell’approfondimento teorico e concettuale, 

anzitutto il pregio rilevante di inquadrare in una cornice ampia e opportuna un tema che rischierebbe di restare sostanzialmente incompreso, se ci si limitasse alle sue formulazioni più specifiche. L’attenzione all’antropologia filosofica tedesca è un primo, essenziale, momento di tale ampliamento concettuale. Essa infatti mette a fuoco il rapporto cruciale tra l’uomo e la tecnica che è al centro, in varie forme, anche della riflessione postumana. La distanza “operativa” dell’uomo dalla propria corporeità apre lo spazio di azione della tecnica e instaura un possibile legame di continuità tra umanesimo e postumanesimo, nella misura in cui anche il primo è concepito in un fondamentale dinamismo pratico. Detto altrimenti, la sopravvivenza dell’uomo è fin dall’origine segnata da un’attiva, “costante auto-creazione culturale” liberata dalla determinante dello stimolo (p. 42, in relazione a Gehlen).
In maniera meno nuova ma almeno altrettanto decisiva, Farisco include poi nella sua ricostruzione delle ascendenze del postumanesimo la riflessione francese compresa nella diarchia intellettuale di Foucault e Deleuze, e in seguito immensamente influente. La riflessione deleuziana sul corpo senza organi rappresenta in particolare un importantissimo snodo concettuale, laddove una metafisica dell’eterno divenire travolge qualsivoglia ipotesi di fissazione o finzione identitaria e fa dell’uomo, come di ogni realtà vivente, un contenitore provvisorio e transeunte. È un potenziamento radicale delle riflessioni di Foucault sul tramonto dell’uomo. L’oltreuomo è ormai concepito come un’applicazione variabile di un campo di forze, una loro composizione che risente di una trasformazione culturale che non è più esprimibile nelle linee rassicuranti dell’umanesimo. L’ibridazione diviene pertanto non uno stato d’eccezione o una transizione puntuale, ma la norma paradossale: ogni composizione di forze, in realtà, è sotto un certo profilo un’ibridazione. Certamente qualunque ipotesi di purezza ontologica è radicalmente messa in discussione nella sua ragion d’essere metafisica, in favore di una contaminazione espressa, teoreticamente, nella figura ricorsiva della differenza. 
Osserva Farisco che tali figure di pensiero si possono considerare antesignane “della concezione postumana dell’identità umana” (p. 58). Ma in questa citazione, così come nella riflessione dell’antropologia tedesca, appare una questione senz’altro rilevante: e cioè che parlare di postumanesimo non chiarisce affatto, di per sé, la portata della discontinuità o continuità rispetto all’umanesimo. La tensione tra postumano e (ancora) umano è la chiave interpretativa che Farisco adopera criticamente, e che a mio avviso individua correttamente la maggiore aporia di un pensiero che pretenda di parlare in un orizzonte propriamente postumano. L’avversione dell’umano per se stesso o l’aspirazione a individuare nuove figure grazie al prefisso post – non sono ancora voci umane? In qualche misura il problema è analogo all’ambiguo rapporto del postmoderno con la modernità: suo compimento, pur paradossale, o puntuale smentita? La stessa trasformazione del piano corporeo, che si esprime tanto nelle odierne pratiche di modellamento corporeo quanto nelle prospettive di un immaginario incentrato sull’ibrido uomo-macchina, non esprime forse anche una progettualità di stampo ancora soggettivo? Tornerò sul punto concludendo la presente recensione.
Da un punto di vista più interno all’ambito postumano, Farisco sottolinea i fenomeni di virtualizzazione che lo segnano. A partire dal primato dell’informazione nell’età del computer, si afferma una logica per cui gli algoritmi disincarnati prevalgono sulla corporeità e l’informazione sulla trasmissione. Per quanto messo in discussione sul piano teorico, questo assetto si consolida attraverso molti dualismi: tra mente e cervello, ad esempio, o tra informazione e rumore. È importante notare che quest’impostazione si declina in una prospettiva di disincarnazione che si oppone essenzialmente ad altre versioni postumane. Se da un lato una letteratura esplicitamente immortalista postula infatti, in ultima analisi, il riversamento totale e ripetuto dell’informazione che è la coscienza in supporti materiali deperibili, con ciò permettendo precisamente una forma di immortalità e fornendo un’ultima e paradossale versione al dualismo tra anima e corpo, dall’altro altri autori vedono il postumano, al contrario, come costante mutazione e ibridazione, in un rapporto inestinguibile con la dimensione biologica e con l’evoluzione darwiniana da cui proveniamo. Il primato della zoé fa aggio sull’umano. La capacità di proiezione della vita si muove in direzioni polimorfe pur se rigorosamente orizzontali, che non ammettono alcuna ontologia differenziata. La contaminazione subentra alla purezza – si potrebbe anche dire che il mito della contaminazione subentra a quello della purezza. Farisco analizza opportunamente l’opera di Roberto Marchesini, segnata da una fascinazione zoologica in cui l’umano viene pervicacemente riportato alla sua genesi animale. Al di là di altri dubbi puntuali che sarebbe possibile nutrire nei confronti della sua posizione, Farisco ne nota il deficit in termini di responsabilità del soggetto, ove a quest’ultimo non si riconosca consistenza specificamente umana e centrata per affermarne, invece, la transitorietà e un’apertura che, intesa radicalmente, forse non permette di riconoscere lo spessore del sé (p. 117). In qualche modo la struttura del sé va premessa alla relazionalità perché questa possa darsi – ogni identità ha bisogno di, e definisce un, “limite di sopportabilità” ovvero variazione (pp. 119-121). Il rischio ultimo è di far prevalere una metafisica della nuda vita immanente che non riconosce alcun valore all’effettivo spessore dei bioi, alla loro realtà irripetibilmente biografica.
La dicotomia tra disincarnazione e ibridazione è dunque la più rilevante distinzione teorica interna al campo, pur se credo che almeno in parte la diversità vada sfumata. In entrambi gli ambiti infatti vi è una caratteristica e significativa reverenza nei confronti di una sorta di metafisica dell’evoluzione. Anche il passaggio al tecnocentrismo dell’informazione e all’esistenza incorporea è infatti generalmente visto quale ultima tappa di un processo evolutivo con punti di svolta e accelerazioni, ma continuo. L’evoluzione culturale sarebbe così la prosecuzione dell’evoluzione biologica. 
Oltre a Darwin, l’altro riferimento decisivo è all’opera di Nietzsche, in cui il rapporto tra umano e postumano è assolutamente strutturale e decisivo. Farisco non approfondisce l’autore che più di ogni altro va analizzato alla luce del proprio rapporto con Nietzsche, ossia Sloterdijk, ma in generale individua nel pensatore dello Zarathustra il senso di una produttività che travalica le ipotesi umanistiche, affermando la volontà di potenza e la plasmabilità dell’umano.
In generale l’idea di plasmabilità appare allora come la costante del postumanesimo “darwiniano” come di quello “nietzscheano”. La stessa idea segna la letteratura sui cyborg, spesso di matrice femminista, che ne esalta, ancora una volta duplicemente, vuoi la capacità di ibridazione vuoi il potenziamento (enhancement) nei confronti dell’uomo. Il femminismo postumanista è rilevante anche in sé, costituendo una evidente affermazione delle istanze fondamentali del movimento. La soggettività nomade di autrici come Haraway o Braidotti esprime, più che il rigetto della metafisica tout court, una ripresa della prospettiva deleuziana sopra accennata, ove la corporeità viene lasciata libera di svilupparsi in forme assolutamente contingenti e provvisorie. Il primato del divenire, in effetti, rappresenta una scelta metafisica cospicua – accettabile o criticabile ad un livello appunto metafisico. L’errare dell’essere nella continua metamorfosi (curiosa metamorfosi, in cui lo spazio del riconoscibile è programmaticamente espunto in favore della pura variazione) fa le veci della tradizione centrata sulla normatività dell’uomo. L’aggregazione delle forze rifugge da qualsiasi prospettiva che postuli una forma propria di unità. Detto altrimenti, qualunque durata è per così dire solo un dato fattuale. Si potrà riconoscere una reale sostanzialità solo nei riguardi della zoé, che esprime sempre se stessa attraverso bioi assolutamente provvisori. Resta vero che qualsiasi prospettiva che postuli ancora delle soglie dell’identità (o “limiti di sopportabilità” della stessa, come detto sopra) esige qualcosa di più di tali mere aggregazioni, provvisorie di diritto. 
Il plesso unitario del postumano potrebbe dunque essere riconosciuto nell’enfasi sull’evoluzione e la plasmazione, sia pure intese secondo due coordinate non sovrapponibili: una centrata su una teleologia della disincarnazione, sull’immortalismo, sul cyborg come potenziamento e correzione dei limiti naturali, infine su un superomismo di ascendenza sostanzialmente nietzscheana; l’altra su un’estasi del divenire acefalo e indiscriminato, su un rigetto consapevole della morfologia, su una metamorfosi intesa quale pura trasformazione della vita. Se il primo percorso si lascia probabilmente ancora inquadrare all’interno della tradizione umanistica, resta vero che esso punta su una precisa volontà di separazione dai limiti dell’umano che mi sembra contenere valenze irriducibili a una valorizzazione della condizione umana sine glossa.
Per tornare alla questione dell’eventuale rapporto tra postumanesimo e umanesimo, direi pertanto che, sebbene a parlare sia certamente ancora l’uomo e il postumano ci dica più delle ossessioni contemporanee che delle reali novità future, le prospettive messe in gioco in questa linea di tendenza si caratterizzano anche per una forte discontinuità rispetto alla tradizione che vede nell’uomo una forza normativa immanente. Detto altrimenti esse vedono nell’uomo piuttosto un  mero aggregato solo composizionale delle forze presenti in una zoé ben più sostanziale; oppure un ente infinitamente plasmabile e destinato a tramontare superando la propria finitudine.
Il libro di Farisco costituisce una lettura piuttosto ricca del tema e mostra, come ho cercato di indicare, alcune direzioni del suo possibile spessore teorico. In questa luce è un contributo importante per uscire dalle analisi superficiali del postumano che sottovalutano quanto esso sia rilevante per un’antropologia filosofica all’altezza delle inquietudini contemporanee.


Indice

Prefazione, di Mario Signore
Introduzione
Parte Prima. Premesse e declinazioni della filosofia postumanistica
        •        Die Neue Anthropologie
        •        È morto l’Uomo! Vivano gli uomini!
        •        Declinazione del postumanesimo
        •        Quale rapporto uomo-tecnica per un futuro dell’umanità?
Parte Seconda. Analisi critica del postumano
        •        Ai limiti dell’umano
Parte Terza. La sfida del postumano all’antropologia e all’ontologia classiche
        •        Sempre uomo
Bibliografia specializzata sul postumano

4 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

In recensione sono in evidenza esigenze cui non pari evidenti le cause. Ciò perché parte delle tematiche in essa non sono estranee a logica recensiva, che è non genetica ed evoluzionaria-ambientale non viceversa. Tuttavia apertura di senso, filosofica, in recensione stessa, rende la stessa logica (recensiva) deprivante di significati ma che sono nonsensi, non solo del vivere, ma per morire anche. D'altronde ciò, per stesse peculiarità logiche di recensione stessa, costituisce mancanza di prospetti naturali che sono - eticamente - necessari compimenti a ragionamenti di recensione medesima, questi ultimi sprovvisti di esito anche solo recensivo.
Tali limiti del recensire in recensione ne fanno però occasione di rapportabilità in quasi omologia a realtà subculturale - non-culturale antilogica fino a non poter di proprio inventario irrazionale evitare che sia non ragione del torto non di sola non ragione, da parte di masse di individui che o diseredati culturalmente o diseredantisi culturalmente. Concretamente tal immane non ragione e torto è l'antiumanitarismo della esaltazione della sola artificialità, non per tecnocentrismo, ma per contrarietà a destino, per fondamentalista abuso del fondamentale essere artefici di proprio destino, assolutististicamente eleggendo masse di individui suddette ed arbitrariamente quanto vanamente non determinativo 'destino proprio' in determinativo "il destino di ciascuno", con illudersene di determinanza decisiva e obliando determinazione passiva di loro impresa iper-artificiale non tecnica fino ad antitecnologia. Esito massivo antitecnologico, ad evento postmoderno anche tecnico in ogni caso in tempo del mondo, risultando gravemente antiecologico, dunque masse in torto tentando assolutizzazione economica e di economia, ma essendo in controtendenza da matrici logiche cui nomiche tal reazione di massa dunque esautorativa di poteri economici autentici; allora doppia erranza assolutistica ed inerente eventi di natura ed eventualità naturali costituendo, in tali agire di massa, scontrarsi a necessità naturali e di natura, possibile a causa di condizioni iniziali di stesse masse di individui, dèditi a civilizzazione-disculturazione cui possibilità unica è precarietà civile impossibile in intero Occidente e stabilimente possibile solo in America Settentrionale, non Europa cui Ovest interessato episodicamente a provvisorità civili non in sé stesse precarietà. Non a caso gergo cui cosiddetto "cyborg" è svilito da interpretazioni di massa occidentali non americane solo americaniste o americanizzate incoscienti di valori occidentali americani.

...


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

A poter render esaustivo contenuto esplicativo di recensione sarebbe stata inclusione di Decostruzione in sua interezza di metodo di riferimento.
Difatti recensore definiva eticamente 'bio e biografie' quali necessari assunti ma mancanti - in movimento ideologico di postumanesimo e ideativo del postumano- ma tale mancanza essendo subculturalmente rovinosa, nondimeno è in assenze culturali salvifica. Esenzione da prospettive di tal salvezza è
—- per masse in tentativi di appropriazione ideologiche ideative non antropocentriche che stesse masse invertono in antropocentristiche ideazioni ideologiche,
parimenti non ugualmente per studiosi filosofi - alle prese con tal accadere di massa - non consapevoli di disastrosità estrema di esso —-
esito di contrarietà a tempi naturali fino a snaturatezza con naturalità dei luoghi, a causa di inautentico rapporto di masse stesse a verbalità in particolare scritta, cui necessità di tipo biografico esse si autoconferiscono ma dandone mandato a più o meno ignara intellettualità, affinché provveda a corrispondenze linguistiche meno che vernacolari molto meno che dialettali solo formalisticamente linguistiche.
Metodo decostruttivo invece — storicamente cui Derrida non solo Foucault e Deleuze — era non grafocentrico non antigrafocentrico ed era non fonocentrico ma non afonicamente.
Comunque ristrettezze ma assai 'di confine', di logica in recensione, estremizzano presupposti parziali zoo-bio=logici cui invertiti in pensieri di massa in 'biozoonomia' cui tecnocentrismo sociale contemporaneo occidentale non pertiene ma cui cotali masse tentano di appartenere in ulteriore illusione che mondialità ne possa assumere e globalità prescinderne. Da tal illusione
— dai tempi della Lega Anseatica alle rivolte contadine in Germania luterana ed alle proteste proletarie in Mitteleuropa fino al globalismo antiglobale ed a 'esito non globale' ricercato dagli scontenti degli attuali tempi politici sociali civili, scontenti cui cultura naturale aliena e restante sempre più estranea —
è la esiziale volontarietà di disattenzione a fisicità, che fisicalismo pseudotecnico tenta di occultare in stesse masse o nei gruppi dei complici di esse i quali ne preferiscono o preferirebbero la tragedia al dramma finale perché essa più coinvolgente contro Età della Tecnica...
Ma vicenda, non solo cioè epifenomenicamente in eventi storici diretti, è il fenomeno dello idoleggiamento esterno quindi della idolatria aliena dei latini, romani, germanici, ai teatrali 'deus ex machina", ciascuno - da separazioni a unioni a distinzioni etnicamente rilevanti tra Evo Antico, Medio, Moderno - sempre tipo estetico sempre più frainteso da stesse masse, fino ad erranze estreme degli ambienti di convivenza umana e vitale tra fine Età delle Grandi Navigazioni e inizio Era delle Comunicazioni, cui occasione di delitto la ostinazione di masse medesime suddette a non capire da quali accaduti e accadimenti la forza ed il potere politici umani e sino a non indipendenza sia in naturalità sia non naturale da fisicalità fattasi alfine non umanamente determinata, zoologicamente dominata da animalità di scimmie e biologicamente da animalità minima, con pressoché suicidio - di massa - in pratiche corporali svantaggiose o direttamente nocive e proprio mentre invece necessarie tecnologia e tecniche e derivate da scienze per vivere e sopravvivere di umanità intera.

...


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

(...)


Da anni 2011 e 2012 di pubblicazione-recensione, revanscismo comunista totalitario sempre più sottoposto a mondialismo meridionalismo antitecnologico, ha abbandonato dramma di massa a tragedia concomitante a decadimenti umani di altri drammi e tragedie anche, in parte di altre masse di individui, fino a ostinazione antipolitica e in stessi Stati intromessa... E ciò non senza concausare umana trasformazione; infatti tali errori anche con i torti ad essi relativi ed anche da Stati contro Cittadini, tanto che anche per questo motivo, umano genere si è mutato; ed in maggior identità etnica anche.

Per tali motivi, lavoro recensito, cui indice accluso in recensione offre argomentativa nozione di conservazione essenziale culturale, è passato a cronaca di fatti di essenzialità per sempre terminati, sia per antropocentrismo che per tecnocentrismo che per combinazioni di essi; e postumanesimo e postumano sono anche concretamente descrizioni di termini di impresa di massa, di innumerevoli non innumeri ferimenti stabili intrusioni morti, quantitativamente pure significanti, non anagraficamente rilevabili, causa biograficità di medesime masse —
le quali in idolatria di macchinalità ed in oblazione di meccanismicità vitale che non è meccanismo, invero masse di individui disparati spesso sorprendenti senza socialità veramente generica e senza più diritto e senza reale barbarie —
cui biograficità - appunto - analogicamente coerenti ad anagrafiche e purtroppo sempre stesse masse di individui in loro fine tentando omograficamente di confondere e ciò - ! - con porre se stesse in finanche effettivo sterminare innocenti collettività, sterminio che accade o rischia di accadere con abusare da parte di masse stesse di numerologia e cifrari che erano solo frequenti ma che in realtà "date" che se da vuote convenzioni degradate a convenzioni non vuote, diventano date anzitempo contro vera durata di vita.

Ad evidenziare realmente tale catastroficità, vale considerare, cui possibilità scientifiche anche, naturalità, di;

- realtà psichica transpersonale cioè di vitalità universale mentale, che non è anche realtà transumana;
- differenze non alterità antropiche cui alterità antropologiche ovviamente non estreme;
- alterità etniche estreme a cui relazionarsi etnici non identici limitati sempre;
- rapportabilità sociale sia massimamente eterogenea sia nullamente eterogenea, entrambe indipendenti socialmente.

Notato 'sfondo naturale', cui mutamenti transpersonali, umani, etnici, sociologici, si può inquadrare antropocentrismo e tecnocentrismo, globalmente in importanza non più primaria del primo, in primaria di tecnocentrismo; ma notando pure che storia odierna non è più susseguirsi di concezioni positive del mondo non solo culturali anche generali (!) ed allora anche in globalità di valori comuni essendo controvalore la assenza di riferimenti naturali per fisicità direttamente, cioè senza deleteria mediazione fisicalista.


Medesime masse tentano di opporre a schemi pertinenti scientifici falsa scienza che propinano per statistica e che invece è probabilità arbitrariamente e con intenti ostili desunta da individui di stesse masse, cui abitudini (di massa) non più utili a nessuno da nessuna parte del mondo.


MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

...

Dunque essendosi mutata una essenza, di umanità, senza mutarsi quadri etnografici di sorta, ovviamente altra essenza, ne è, a tuttoggi;

e quei 'presupposti parziali zoo-bio=logici'
—cui detto in mio messaggio di prima (senza confermare né ricercar espressione pure efficace non logica-matematica che sarebbe stata 'presupposti parziali zoo-bio-logici' ma meno pregnante), presupposti di massa di cui, in cui cioè individui 'massivi', non solo folle non disunite, uniscono - fino a coincidenza artificiosa - zooticità con bioticità, zoologia e biologie proprie passivizzando essi in erranza esistentiva loro non in contraddizioni esistenziali ìnsite di ogni esistere —
sempre essi serbano mascherandone anche, anche intromettendosi in settori cui Stati, in presunte o vere virtù farmacologiche antibiotiche e con reali o irreali vizi sociali di zotici, falsi o non falsi civili incapaci di propria civiltà... né potendone smettere senza smettere di far massa, cui effetti più violenti contro realtà civili non separate da natura, quali di cosmopolitia greca e grecità varie, cui italianità variamente interamente ormai e dunque essendosi rese vaste moltitudini ex cittadine e antiitaliane non soltanto contro differenze occidentali e identità europee...

E massiva ostilità suddetta tanto antiumanitaria essendo, che ha apparenza ingannatoria martirologica ed invece celando, in tal illudere, logica di massa nonostante tutto ancora violenta contro qualsiasi destino possibile a vita e morte comuni e violenta fino a tradimento estremo di coincidenze cui esser o voler esser popolo di restanti moltitudini capaci, se mai ove restate, di esser popolazioni, non massa di individui.


MAURO PASTORE