giovedì 27 settembre 2012

Chiurazzi, Gaetano, L’esperienza della verità

Milano-Udine, Mimesis, 2011, pp. 125, euro 14, ISBN 978-88-5750-503-9

Recensione di Giacomo Borbone - 16/05/2012

La questione della verità è, fuor di dubbio, la questione fondamentale della riflessione filosofica, la quale si è imposta sulla base della seguente polarità antinomica: la verità come indipendente dall’esperienza e la verità come un modo dell’esperienza.
In questa sua ultima fatica, Gaetano Chiurazzi, docente di Ermeneutica filosofica all’Università di Torino, cerca di valorizzare il rapporto tra verità ed esperienza, sganciando le sue riflessioni dal relativismo grazie anche ad un’impostazione, diciamo così, di ispirazione kantiana.

Difatti, così come Kant aveva cercato di sganciare le sue analisi tanto dal razionalismo dogmatico quanto dall’empirismo scettico tramite il richiamo all’esperienza, anche Chiurazzi attua un’operazione simile: “L’intento di questo libro è di adottare una strategia analoga a quella che Kant adotta nei confronti della metafisica, riportando il problema della verità all’esperienza, intesa non in termini restrittivamente epistemologici, ma facendone lo sfondo su cui si costruisce – e che risulta da – ogni nostra relazione con il mondo, nel senso che, dopo Kant, Hegel ha dato a tale termine: l’“esperienza” è per Hegel un percorso formativo, in cui è coinvolta non solo la nostra relazione al mondo naturale, agli oggetti, ma anche la nostra relazione al mondo umano, agli altri e a quegli “oggetti spirituali” che sono le formazioni culturali” (p. 8). 
In questo particolare sfondo, Chiurazzi cerca di privilegiare la trattazione ermeneutica della verità, la quale imposta il problema della verità a stretto contatto con la dimensione esperienziale. Ciò implica, ovviamente, il netto rifiuto della metafisica delle essenze eterne, la quale considerava l’indipendenza della verità dalla dimensione esperienziale come segno di correttezza e fondatezza.
Figura centrale di tale impostazione è Martin Heidegger, la cui analisi del concetto di verità come alétheia (non-nascondimento) viene da Chiurazzi trattata nel capitolo I. A detta di Heidegger, la verità, nella sua formulazione tradizionale, veniva concepita come adaequatio rei et intellectus, tanto per usare una famosa formula di Tommaso d’Aquino. Tuttavia, Heidegger ritiene la adaequatio rei et intellectus legittima ma non sufficiente, poiché essa non è in grado di cogliere l’essenza della verità in guisa originaria. E ciò perché la concezione della verità come adeguazione considera il giudizio come “il luogo originario della verità” (p. 15), mentre Heidegger sostiene invece che è la verità “la condizione ontologica del giudizio” (p. 16). Pertanto la verità “esprime così una condizione di antecedenza assoluta rispetto al discorso: la sua “interiorità” al discorso non è altro che la sua anteriorità rispetto al discorso” (p. 28). 
Nel capitolo II, l’Autore analizza il rapporto tra verità e tempo prendendo spunto dalle riflessioni di Emile Benveniste, il quale, in un suo saggio del 1950, mise a confronto la frase nominale (senza copula) e quella con copula. L’assenza della copula sarebbe “indice di una verità senza tempo che nel suo contenuto si riduce a una affermazione di identità assoluta: la presenza della copula contestualizza invece temporalmente la verità. Al semplice contenuto nominale, costituito dalla mera giustapposizione priva di connessione copulativa, la frase con copula aggiunge qualcosa, che non è propriamente nominato, sebbene sia compreso, anzi, concompreso insieme a quello stesso contenuto: il tempo” (p. 30). Ovviamente, precisa l’autore, “la temporalità significata dalla copula consiste (…) nel situare l’enunciato in rapporto al parlante, alla cui situazione fa riferimento. La copula esprime il tempo legando l’enunciato al parlante” (p. 31).
Nel capitolo III della sua opera (L’esperienza della verità come esperienza del tempo), Chiurazzi affronta nuovamente il problema dell’alétheia e della temporalità. L’ alétheia, com’è noto, implica il non-nascondimento dell’ente e quindi il suo essere-aperto, ma secondo Heidegger il non-nascondimento o svelamento (come anche il suo opposto, cioè l’oblio), non sono categorie psicologiche, bensì “modalità ontologiche dell’ente” (p. 63). In questo senso, l’alétheia non è qualcosa di soggettivo bensì di oggettivo, laddove il termine “oggettivo” indica “l’accadere nel quale siamo sempre coinvolti” (p. 63); ciò significa, precisa Chiurazzi, che della verità “non si può parlare se non in termini di storia” (p. 63). In questo modo Chiurazzi giunge al cuore della concezione ermeneutica della verità, le cui basi sono rinvenibili nella riflessione di Gadamer e nella sua rivalutazione del contenuto di verità delle scienze umane. Il punto essenziale della concezione ermeneutica della verità è dato dal fatto che essa non è affatto una teoria della verità, bensì dell’esperienza della verità (cfr. capp. IV, V e VI). Difatti, le verità delle scienze umane, nell’ottica gadameriana, sono tali proprio per via degli effetti che esse producono, cioè si ha vera esperienza quando questa, per dirla con Gadamer, modifica effettivamente chi la fa. Ciò, secondo Chiurazzi, non si verifica all’interno della concezione della verità come adeguazione, poiché essa piuttosto sfocia nel dogmatismo, mentre invece la concezione ermeneutica della verità afferma che la vera esperienza “non è quella che conferma l’esperienza vera, ma anzi quella che la falsifica: quella che, negando la sua definitività, si apre verso nuove possibilità. È l’esperienza libera per ulteriori esperienze e ulteriori trasformazioni” (p. 71). 
Questa concezione della verità mostra molti punti di contatto col concetto heideggeriano di apertura, il quale rimanda all’essere aperto dell’esperienza; in questo senso l’apertura non indica un orizzonte che fissa i limiti della nostra esperienza, quanto invece il rifiuto di ridurre la verità alla sola certezza del metodo e, sulla scia del socratico “sapere di non sapere”, “la disponibilità per nuove esperienze e nuove verità” (p. 95).


Indice


Introduzione

1. Prima del giudizio

1.1 Giudizio e verità
1.2 Hypárchein en tiní: l’antecedenza ontologica
1.3 Hypárchein tiní: l’antecedenza essenziale
1.4 L.’inesse: da Boezio a Leibniz

2. Verbum 

2.1. La frase nominale: presenza e assenza della copula
2.2. L’eliminazione della copula: la verità senza tempo
2.3. Significare l’inoggettuale: sintesi e tempo
2.4. La proposizione speculativa: il tempo del sapere
2.5. Dal tempo alla consignification existentiae

3. L’esperienza della verità come esperienza del tempo

3.1. La forma della verità: deissi ed ellitticità del giudizio
3.2. Corrispondenza e metafisica
3.3. Oltre Parmenide: l’eccedenza come futuro e anticipazione
3.4. Lo sfondo ontologico dell’alétheia: l’ontologia del possibile

4. Verità e trasformazione

4.1. La verità cambia
4.2. La pragmatizzazione dell’ermeneutica
4.3. L’ermeneutizzazione del pragmatismo
4.4. La verità dell’esperienza: il mito della caverna
4.5. Il carattere “anticonformista” della verità

5. Più del reale

5.1. L’extrametodicità della verità come oggettività dell’accadere
5.2. L’astrazione della coscienza sperimentale e la temporalità della rappresentazione
5.3. La verità come trasmutazione in forma 
5.4. La formazione come elevazione a una universalità intensionale

6. Il senso della verità

6.1. Forza e interpretazione
6.2. Un’ontologia sperimentale
6.3. Per chi è la verità?

7. Per chi è la verità?

7.1. Verità e realismo esperienziale
7.2. Contro la tesi di equivalenza
7.3. Oltre il dominio: la verità come contropotere

Indice dei nomi

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