lunedì 8 ottobre 2012

Char, René, Ricerca della base e della vetta

Gremizzi, Ilaria, Palazzo, Sandro (a cura di), Milano-Udine, Mimesis, 2011, pp. 148, Euro 16, ISBN 978-88-5750-737-8.

Recensione di Tiziana Gabrielli - 30/04/2012

«Amo l’uomo incerto dei suoi fini, / come l’albero da frutto in aprile» (René Char). Così recita l’esergo alla prefazione, curata da Ilaria Gremizzi, del volume Ricerca della base e della vetta, tradotto per prima volta in lingua italiana dalla stessa Gremizzi e Sandro Palazzo per le edizioni Mimesis. La traduzione italiana presentata è una “versione ancora interrotta”, come tiene a sottolineare Palazzo, in quanto segnata dalla prematura scomparsa di Haydée Charbagi, a cui erano state sottoposte in lettura e revisione le bozze della traduzione, e alla cui memoria è dedicato il testo (Nota sulla presente traduzione, p. 18).

Nella prefazione all’opera, dal titolo “La vita e le opere di un gigante solitario”, la Gremizzi ripercorre la biografia intellettuale di Char, nato nel 1907 a l’Isle-sur-la-Sorgue, nella regione Vaucluse (Francia del sud), dove ha trascorso l’infanzia. «Il substrato bucolico  - osserva Gremizzi - viene dal viscerale legame con la terra natale ed è, come per molti intellettuali della sua generazione, di carattere spiccatamente etico. Il poeta si chiede come l’uomo dovrebbe “abitare” la terra, riflette sulla sostanza dell’essere umano, nella sua molteplicità intrinseca e inconoscibile» (Prefazione, p. 9). Diplomato all’École de Commerce di Marsiglia, legge avidamente Plutarco, François Villon, Racine, i romantici tedeschi, Alfred de Vigny, Gérard de Nerval e Charles Baudelaire. Nel 1928, dopo una breve parentesi lavorativa come commesso spedizioniere a Cavaillon (vicino Marsiglia) e il servizio militare nell’artiglieria a Nîmes, pubblica la sua prima raccolta poetica Cloches sur le cœur, che comprende le liriche composte fra i 15 e i 20 anni, di cui poi distruggerà tutte le copie in circolazione. Alla fine del 1929 Char si reca a Parigi e incontra Louis Aragon e André Breton. Aderisce così con entusiasmo al movimento surrealista pubblicando Profession de foi du sujet sulla rivista “La Révolution surréaliste”. La lettura di Rimbaud, Lautréamont e dei grandi alchimisti ispira la raccolta Tombeau des secrets (1930), corredata dai collages di Eluard e Breton, che collaborano alla stesura di Ralentir travaux. Insieme a quest’ultimi Char fonda la rivista “Le Surréalisme au service de la révolution”. Nel 1931 partecipa alla creazione del film L’Âge d’or, diretto da Salvador Dalí e Luis Buñuel. Contemporaneamente si lega a Francis Curel e alla coppia Salvador-Gola. Dopo aver compiuto un viaggio in Spagna, sposa Georgette Goldstein. Il periodo surrealista termina nel 1934, con la pubblicazione di Le marteau sans maître, diario degli anni ’30 a Parigi, nel quale Char rivendica la propria autonomia estetica e letteraria. Durante l’Occupazione milita nel maquis, con lo pseudonimo di Capitain Alexandre e, nel dopoguerra, si lega ad Albert Camus, che pubblica alcuni fra i suoi lavori, come Seuls demeurent, Feuillets d’Hypnos e Billets à Francis Curel, «centrati sull’esperienza della lotta armata e sulla forza della poesia, come unico mezzo per mettere in causa lo status quo della realtà. Questi scritti sono tra i più importanti documenti poetici sulla resistenza europea al nazismo. Char fa un ampio uso del verso libero e del frammento; crea un particolare tipo di discorso, ossia una prosa poetica che chiama “parola d’arcipelago”; tratta temi metafisici in uno stile originalissimo e franto; mescola il diario intimo alla riflessione filosofica» (ivi, p. 11). 
Il sentimento di pessimismo sulla situazione politica francese ed internazionale dopo la Liberazione, che accompagnerà Char fino alla fine, traspare in alcuni testi come À une sérénité crispée e L’Âge cassant, ripresi in Recherche de la base e du sommet, e soprattutto nella sua opera più apprezzata, Fureur et mystère, del 1948. Nel 1947, grazie all’incontro di Char con il regista Jean Vilar e il critico d’arte Christian Zervos, nel Palais des Papes di Avignone, nasce un progetto che inaugura il Festival di Avignone, tra le più prestigiose manifestazioni teatrali d’avanguardia nell’Europa mediterranea. Fra gli anni ’50 e ’60 Char raggiunge la piena maturità artistica con Les Matinaux, La Bibliothèque est en Feu, Lettera amorosa, Retour Amont ed è annoverato nel pantheon dei poeti di Francia. Negli ultimi vent’anni, particolarmente prolifici, Char pubblica le raccolte La Nuit talismanique qui brillait dans son cercle, Aromates Chasseurs e Chants de la Ballandrane. Char muore nel 1988 per una crisi cardiaca, un anno dopo l’unione (in seconde nozze) con Marie Claude de Saint-Seine. «Oggi René Char - rileva Gremizzi - è considerato uno dei poeti più ermetici e densi della letteratura europea del secondo dopoguerra. È suo il primato della parola poetica come parola di resistenza. L’opera di Char, feroce e apparentemente “difficile”, ha suscitato molti studi critici. Char affascina, si dimostra attuale e necessario: canta la fiducia nell’uomo e nella fratellanza, l’indipendenza delle forze telluriche e, con essa, la forza dirompente del pensiero vergine» (ivi, p. 12). 
Stampato e modificato a più riprese fra il 1955 e il 1983, Ricerca della base e della vetta raccoglie i testi di Char scritti fra il 1933 e il 1981. Il carattere volutamente aperto, fluttuante, perfettibile ed imperfetto dell’opera è testimoniato dal racconto di José Corti - amico editore negli anni parigini - , il quale ricorda che in tipografia Char «era in preda a continui ripensamenti, perché i suoi libri non gli sembravano mai compiuti: ogni poesia, anche la più breve, esisteva in diversi stati “passeggeri”, che duravano qualche ora o qualche giorno, prima di acquisire una forma relativamente fissa» (ivi, p. 13). «In Ricerca della base e della vetta - scrive Gremizzi - le atmosfere di Provenza, l’indipendenza del pensiero – fino alla lacerazione, alla solitudine – e la fiducia nella poesia come uno strumento per interrogare il mondo sono costantemente evocate, in una raccolta di testi che coprono quasi quarant’anni di lavoro letterario. Formalmente, la raccolta è scritta come parole en archipel, ossia come prosa poetica, se si escludono alcuni frammenti isolati, puramente lirici. Due temi fanno da spina dorsale all’opera: da un lato, il maquis e la parentesi partigiana; dall’altro, la pittura: il poeta rievoca gli artisti che ha conosciuto, frequentato e amato, da Mirò a Balthus, da Pierre Charbonnier a Francis Picabia, da Paul Klee ad Alberto Giacometti, a Paul Gaugin e altri. Fanno da contrappunto alcuni frammenti consacrati alla filosofia – Heidegger è un punto di riferimento fondamentale per Char - , altri alla letteratura - Hugo, Rimbaud, - altri ancora, più intimistici, dedicati ad amici scomparsi, ricordi, squarci di vita vissuta» (ivi, pp. 13-14). Una particolarità dell’opera è che i testi dedicati ai pittori non sono corredati da immagini, in quanto la poesia di Char evoca senza illustrare, canta il segreto del mondo con l’“esattezza della poesia” (ivi, p. 14). Alcune immagini, parole ed espressioni ricorrono di frammento in frammento, tracciando un solco, un varco da seguire per orientarsi nella lettura. La critica che spesso è stata rivolta a Char è quella della frammentarietà, ma si tratta di un “malinteso” da sciogliere e superare. «L’interesse del verbo frammentario è “nei suoi spigoli affilati, come un blocco a cui nulla sembra possa aggregarsi”. Ogni frammento è un “pezzo di meteora staccato da un cielo sconosciuto”, come ha scritto Blanchot, il quale precisa che “simili caratteristiche non precludono, bensì esaltano la stabilità e l’autorevolezza della scrittura di Char, i cui versi si tengono in piedi senza apparente legame tra loro, come le grandi pietre dei templi egiziani”» (ivi, p. 15). 
Ricerca della base e della vetta è quindi un’opera strutturalmente ed intenzionalmente enigmatica: «narra la sfida universale e mai conclusa fra l’uomo e le cose, fra l’uomo e i propri simili e, in ultima analisi, fra il poeta e se stesso. Ci ricorda che siamo tutti esseri alla “deriva infinita”» (ibidem). Il volume è suddiviso in cinque sezioni: Povertà e privilegio; Sostanziali alleati; Gran costrittivi o la conversazione sovrana; A una serenità contratta (1952) e L’età fragile. Nella Dedica del 1954 di Povertà e privilegio, Char scrive: «Povertà e privilegio è dedicato a tutti i disillusi silenziosi che, malgrado le sconfitte, non sono diventati inattivi. Loro sono il ponte. Saldi di fronte alla muta rabbiosa dei bari, sopra il vuoto e vicini alla terra che è di tutti, scorgono l’ultimo raggio e segnalano il primo. Qualcosa che regnò, si piegò, sparì, dovrebbe, riapparendo, servire la vita: la nostra vita di mietiture e deserti, e quel che meglio l’illustra nel suo avere illimitato. Non si può impazzire in un’epoca forsennata, ma si può esser bruciati vivi da un fuoco di cui si è l’eguale» (ivi, p. 23). Il senso abissale, ellittico e militante della “base e della vetta” viene dischiuso dallo stesso Char in queste righe: «Certi giorni non bisogna temere di nominare le cose impossibili da descrivere. Base e vetta, appena gli uomini si scuotono e si separano, rapidamente si sgretolano. Ma vi sono la tensione della ricerca, il disgusto della clessidra, l’itinerario impareggiabile, sino al folle favore, un’esigenza, cioè, della coscienza, cui non possiamo sottrarci prima di cadere nell’abisso. Perché mi preoccuperei della storia, vecchia signora un tempo bianca, ora fiammeggiante, enorme sotto la lente del nostro secolo ugnato? Ci rovina l’esistenza con i suoi preziosi, luttuosi veli, i suoi gesti da affabulatrice, il suo dilatarsi, i suoi risvolti mendaci, i suoi folleggiamenti. Sono preoccupato per quel che si compie su questa terra, nel torpore delle sue notti, sotto il suo sole da noi abbandonato. Con la tregua delle decisioni, si rinvia qualche agonia» (ivi, p. 25).
Nella ricerca estetica della base e della vetta, Char mostra, come emerge dalla seconda sezione del volume, di credere nel linguaggio come armonia di immaginazione e natura. In dialogo con i migliori artisti del suo tempo, i suoi “sostanziali alleati” (da Braque a Mirò; da Balthus a Gaugin; da Rodin a Picasso; da Nicolas De Staël a Vieira da Silva; da Jean Villeri a Max Ernst e Arpad Szenes), Char rivela infatti la portata etica della bellezza (cfr. ivi, pp. 63-92).
La terza sezione Gran costrittivi o la conversazione sovrana si apre con una “Pagina di ascendenti per l’anno 1964”, in cui Char identifica e commenta con rapidi tratti i suoi riferimenti letterari e filosofici privilegiati: da Villon a Dante e d’Aubigné; da Petrarca a Giotto e Shakespeare; da Louise Labé a Scève; da Teresa d’Avila a Sade; da Racine a Chénier; da Pǔskin a Blake; da Keats a Leopardi; da Hugo a Chateaubriand; da Vigny a Nerval; da Baudelaire a Hölderlin; da Mallarmé a Nietzsche; da Melville a Poe e Brontë; da Rimbaud a Verlaine; da Lautréamont a Jarry e Apollinaire; da Claudel a Synge e a Kafka; da Rilke a Proust, Reverdy e Eluard. Ed infine Char scrive: «Felice colui che dimentico. Isaia, Salomone, Eraclito, Anassimandro, Anassagora, Lao-Tze, Aristotele, Eschilo, Sofocle, Paracelso, Lullo, Meister Eckhart, Saint-Just, Van Gogh non sentono le pene del freddo. Nell’attesa di Andrei Rüblev, salutiamo Monsieur Verdoux.» (ivi, p. 95).
Con Rimbaud «la poesia - rileva Char - ha smesso di essere un genere letterario, una competizione. Prima di lui, Eraclito e un pittore, Georges de La Tour, avevano costruito e mostrato quale Casa, fra tutte, dovesse abitare l’uomo: la dimora del respiro e della meditazione insieme. Baudelaire è il genio più umano di tutta la civiltà cristiana. Il suo canto incarna quest’ultima, in coscienza, in gloria, in rimorso, in maledizione nell’istante del decollo, del disgusto, della sua apocalisse: “I poeti, scrive Hölderlin, si rivelano, per lo più, all’inizio o alla fine di un’era. È attraverso i canti che i popoli lasciano il cielo della loro infanzia per entrare nella vita attiva, regno della civiltà. È attraverso i canti che tornano alla vita primitiva. L’arte è la transizione dalla natura alla civiltà e dalla civiltà alla natura”. Rimbaud è il primo poeta di una civiltà non ancora apparsa, una civiltà i cui orizzonti e i muri sono solo furiose sterpaglie. Per parafrasare Maurice Blanchot, ecco un’esperienza della totalità fondata nel futuro, espiata nel presente che non ha nessun’autorità all’infuori di sé. Ma se sapessi cos’è per me Rimbaud, saprei cos’è la mia poesia futura e non dovrei più scriverne...» (ivi, pp. 112-113).
Le “risposte interrogative” di Char ad una “domanda di Martin Heidegger” s’incentrano sull’idea che «la poesia trascinerà l’azione, ponendosi avanti ad essa» (ivi, p. 115). Poi Char giustifica questa tesi fondamentale declinandone la pregnanza estetica, etica e politica attraverso i seguenti lemmi: «L’azione è cieca, è la poesia a vedere» (ibidem). «La poesia è la legge, l’azione resta il fenomeno» (ivi, p. 116). «La poesia è l’io avanti all’in sé, “facendosi il poeta carico dell’Umanità” (Rimbaud)» (ibidem). «La poesia sarebbe qualcosa come “il pensiero cantato”. Sarebbe l’opera avanti all’azione, la sua conseguenza finale e spiccata» (ibidem). «Nell’ottica di Rimbaud e della Comune, la poesia non servirà più la borghesia, non le darà più il ritmo. Sarà avanti, supponendo qui la borghesia come azione di conquista. La poesia sarà allora maestra di se stessa, dal momento che è maestra della propria rivoluzione; dato il segnale di distacco, l’azione in-vista-di si trasformerà incessantemente in azione veggente» (ibidem). E poco più avanti Char, a proposito di Rimbaud, scrive: «La poesia non darà più il ritmo all’azione, ne sarà il frutto e il nunzio mai gustati, avanti al proprio paradiso» (ivi, p. 117).
L’esergo della quarta sezione dal titolo A una serenità contratta (1952) schiude la cifra elettiva di tutto il volume: «Oggi, siamo più vicini all’avversità di quanto non lo sia il martello stesso: ecco perché è ora di trarre santità dalla sciagura. Che abbia l’aspetto e l’arroganza del miracolo» (ivi, p. 129). «Sono nato come roccia, con le mie ferite. Senza guarire dalla mia gioventù superstiziosa, a corto di fermezza limpida, entrai nell’età fragile» (ivi, p. 145): così recita il primo frammento della quinta ed ultima sezione, intitolata L’età fragile. Fra gli ultimi frammenti di questa raccolta ve ne sono alcuni che possono certamente assurgere a testamento spirituale di Char: «Vestitemi, vi prego, di tenera neve, oh cieli che mi obbligate a bere le vostre lacrime» (ivi, p. 148). E ancora: «Incamminarsi, a piedi e, fino a sera, spronare, riconoscere, trattare bene questo cammino che, nonostante le odiose locande, ci mostra il feto dei desideri esauditi e la terra a croci degli uccelli» (ibidem).
Gigante della poesia francese e protagonista della Resistenza armata al nazifascismo, Char ha inteso quindi risvegliare nell’uomo l’impegno ad una interrogazione incessante sull’inconoscibile attraverso il mistero della poesia: «...Creare: escludersi. Quale creatore non muore disperato? Ma siamo disperati, quando siamo lacerati? Forse no» (ivi, p. 123).  


INDICE

Prefazione
di Ilaria Gremizzi

Nota sulla presente traduzione
di Sandro Palazzo

RICERCA DELLA BASE E DELLA VETTA

I     POVERTÀ E PRIVILEGIO

Dedica
Certi giorni non bisognava temere di...
Base e vetta...
Biglietti a Francis Curel
       Primo biglietto
       Secondo biglietto
       Terzo biglietto
       Quarto biglietto
Preghiera rossa
Uscio della morte salvifica
La Luna d’Hypnos
Note sul maquis
Roger Bernard
Lucienne Bernard è morta a Pertuis
Dominique Corti
La libertà passa come un ciclone
Oltraggi
Beata la magia...
Tre respiri
Cornici

Cornice di “Furore e mistero”
Cornici di “Clara”
     I
     II
Cornice dei “Matinaux”
Cornice di “Lettera amorosa”
Cornice di “Ritorno a monte”
Cornice di “Finestre addormentate e porta sul tetto”
Alla domanda: “Perché non crede in Dio?”
Ci sono incompatibilità?
La Lettera fuori commercio
Il Matrimonio di uno spirito ventenne
Paese velato

Una comunicazione?

Maddalena penitente
Giovanna che acerba fu bruciata
Resteremo legati...
Parigi senza scampo
Senza molta fatica
Dopo
Spalancato come un vulcano...

II    SOSTANZIALI ALLEATI

In vista di Georges Braque
Lasciamogli la tranquillità
1. Georges Braque
2. Sotto la vetrata
3. Labbra incorreggibili
    Le spighe
    Bassorilievo
    Il Nilo
    Guéridon e sedie
    Natura morta con piccione
    La Notte
    La Donna distesa
    La Terrazza
    Soggetti mitologici
4. Braque, quando dipingeva
    Georges Braque intra muros
5. Ottantina di Braque
6. Pensare ai propri debiti
7. Con Braque, ci eravamo detti, forse...
Il Dardo nel fiore
Volto di semenza
Victor Brauner
Pierre Charbonnier I
Pierre Charbonnier II
Louis Fernandez
Alberto Giacometti
Ciska Grillet
N. Ghika
Jean Hugo I
Jean Hugo II
Segreti di rondini
Wilfredo Lam
Danzate, montagne
Bando
Elogio rupestre di Mirò
Flusso del magnete
     Avvento della linea
     Avvento del colore
     La Forma in vista
Francis Picabia
Il Colpo
Mille tavole della salvezza
Legno di Staël
Nicolas de Staël
Egli ci ha ricompensati
Vieira da Silva
Gli Equiseti fra le rotaie
Jean Villeri I
Jean Villeri II
Passaggio di Max Ernst
Szenes
Nuove Ebridi, Nuova Guinea

III. GRAN COSTRUTTIVI O LA CONVERSAZIONE SOVRANA

      Pagine di ascendenti per l’anno 1964
      Antonin Artaud
      Omaggio a Maurice Blanchard
      Voglio parlare di un amico
       René Crevel
       Paul Eluard
       Alla morte di Eluard
       La Barca della prua assetata
       Eraclito da Efeso
       Hugo
       La Conversazione sovrana
       Charlen Cros
       Facile da portare I
       Facile da portare II
       Nel 1871
       Arthur Rimbaud
       Risposte interrogative ad una domanda di Martin Heidegger
       Arrivederci Signorina
       Per Jean-Paul Samson
       A Guy Lévis Mano
       Inchiesta sui quaderni G.L.M.
       La Poesia indispensabile
       Impressioni vecchie
       Nota alla seconda lettura di “La Perversione essenziale” in “il 14 luglio” 1959
       Il Desiderio e la Constatazione

IV   A UNA SERENITÀ CONTRATTA (1952) 
       Preliminare
       Produrre (lavorare) secondo le leggi dell’utile...
       Battologia
       Post-grazie
       A***

V   L’ETÀ FRAGILE
      Sono nato come la roccia...

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