lunedì 17 dicembre 2012

Geuna, Marco e Gori, Giambattista (a cura di), I filosofi e la società senza religione

Bologna, il Mulino, 2011, pp. 586, euro 41, ISBN 978-88-15-13172-0

Recensione di Silvia Baglini - 25/04/2012

Marco Geuna e Giambattista Gori presentano in questo volume gli atti del convegno svoltosi a Milano dal 3 al 5 ottobre 2007 dal titolo "I filosofi e la società senza religione. Il dibattito su società e ateismo nel pensiero filosofico tra XVII e XVIII secolo", momento conclusivo dei lavori del Gruppo di ricerca nazionale sul Settecento britannico coordinato da Luigi Turco. Risultato della pubblicazione è la ricostruzione di uno dei più vivaci dibattiti che hanno attraversato la cultura europea in età moderna: la discussione, da parte delle menti più brillanti del Settecento,

dei topoi dell’ateo virtuoso e della società degli atei a partire dai celebri 'paradossi' di Pierre Bayle. Vi è però un intento ulteriore, che i curatori dichiaratamente perseguono: quello di ricercare, all’interno di quel dibattito odierno sul «ritorno delle religioni nella vita pubblica» (p. 8) di cui danno brevemente conto nell’Introduzione, una voce specifica, non programmatica, ma capace di assumere consapevolmente una tradizione di pensiero sviluppatasi anche all’insegna della critica alla religione (p. 12). Si può leggere allora in questa raccolta di scritti una sorta di “genealogia” della nostra attualità: quei concetti di secolarizzazione, illuminismo, laicità e autonomia della coscienza che costituiscono pietre miliari nella produzione dell’auto-narrazione sulla "modernità" occidentale, attraverso l’analisi del loro sorgere e affermarsi e la critica della mitologia che ha finito per accompagnarli, furono, e possono rivelarsi ancora strumenti di emancipazione? 
Il volume si apre con due interventi che tracciano prospettive divergenti sull’opera di Pierre Bayle. Se Gianluc
a Mori sottolinea infatti come per Bayle centrale sia un’analisi del valore civile della religione, piuttosto che una vera e propria battaglia «illuminista» (p. 59) per il superamento di essa, Lorenzo Bianchi al contrario mette in luce la «progressiva irradiazione del tema dell’ateismo» (p. 66) nel cuore di un’antropologia delle passioni che erode l’idea della religione quale fondamento delle azioni e delle virtù civili. Le due analisi, più che contraddirsi, portano in luce due aspetti diversi dell’opera di Bayle: da una parte questione centrale è lo studio delle condizioni della socialità umana e della convivenza civile, cui è connessa la riflessione sull’utilità, o piuttosto il danno, che le religioni storiche vi hanno apportato; qui si inserisce – nel contesto del secolo di Luigi XIV e della revoca dell’editto di Nantes – la riflessione "umanista" sulla tolleranza condotta da Bayle. Dall’altra parte, invece, l’analisi erudita dell’autore porta a una posizione sostanzialmente scettica circa il contenuto di verità delle dottrine religiose: Bayle si inserisce così nella tradizione già antica che indaga le origini della religione attraverso lo studio delle passioni umane. L’intervento di Agostino Lupoli mette in luce il primo aspetto del pensiero di Bayle ponendolo a confronto con quello di Hobbes: una riflessione improntata alla laicità quale garanzia di tolleranza si differenzia apertamente da un’impostazione di stampo deterministico-normativa che, assimilando la "ragione" alla "ragion di Stato", arriva ad asserire la punibilità dell’ateo pur affermando in linea di principio l’irriducibile libertà della sua coscienza (p. 116). Luc Foisneau mette invece in luce come a partire da una medesima "antropologia della mediocrità" i due autori giungano a una diversa (finanche opposta) modulazione del tema dei rapporti tra assolutismo e uniformità religiosa. Infine, nel suo saggio Patricia Springborg sostiene la tesi di un fondamentale deismo hobbesiano, analizzando attraverso il pensiero dell’autore del Leviatano i caratteri di quel superamento della teologia a opera della filosofia da cui la modernità sarebbe caratterizzata (p. 163).
La seconda parte del volume è dedicata alla ricezione di Bayle da parte dei philosophes. L’eredità dell’autore dei Pensieri diversi si propaga lungo linee differenti: all’argomento della "società degli atei" si affiancano i risultati dell’etnologia, la quale rivela la generalità del fenomeno religioso e il ruolo delle forme di culto nelle più diverse società, al contempo dissolvendo la pretesa alla verità universale del cristianesimo e indicando un’inestinguibilità della religione nella vita sociale. La dissoluzione delle pretese della Rivelazione si accompagna altresì all’affermarsi di un’idea di Ragione, al tempo stesso metro di misura e fondamento della virtù, su cui si costruisce la rivendicazione di posizioni politiche e pedagogiche progressive ed elitarie distanti ormai dall’argomentare retorico di Bayle. I saggi qui raccolti delineano la complessità delle posizioni dei philosophes. Marco Platania illustra l’idea di distinzione e collaborazione tra Stato e Chiesa di Montesquieu, fondamento di una proposta di tolleranza che riconosce il valore della religione, svincolando però la partecipazione alla vita civile dall’esclusività confessionale. Mariafranca Spallanzani mostra il formarsi della «ragione illuminista» proprio anche attraverso la "enciclopedizzazione" delle forme, dei culti e dei concetti della religione. Mentre Maria Laura Lanzillo, a partire dalla voce Tolleranza dell’Encyclopédie, illumina le derive del principio di "laicità" in senso apertamente anti-cattolico e deista, mettendo in guardia dal pericolo che la tolleranza di Voltaire riproponga «il meccanismo di esclusione all’origine della costituzione dello stato moderno, che non “tollera” chi contro l’uguaglianza artificiale ed esteriore, sancita dalla legge sovrana, di tutti i cittadini continua ad affermare pubblicamente la propria differenza» (p. 256). E se Luisa Simonutti illustra l’ampiezza di diffusione dei risultati dell’etnologia comparativa attraverso lo studio dell’iconografia di Bernard Picart, Guido Canziani analizza la ricezione del dibattito su ragione, superstizione e intolleranza nella letteratura filosofica clandestina tra Sei e Settecento, mostrando l’affermarsi del principio dell’esistenza di diritto di uno spazio privato della "coscienza" che deve esser tutelato dalle ingerenze del potere politico. Il saggio di Giovanni Cristani affronta, nella figura di d’Holbach, quella che fu all’interno del gruppo dei philosophes l’affermazione di ateismo tanto teoreticamente quanto politicamente più radicale; e perciò anche quella in cui la frizione tra volontà pedagogica e accettazione del discrimine politico-sociale costituito dalla religione (caratteristica in fondo dell’illuminismo) emerge forse con la maggior nettezza. Chiude la sezione l’intervento di Miryam Giargia che indaga nella "risposta" di Rousseau a Bayle la minaccia per la stessa “duplicità” del soggetto moderno – individuo privato e cittadino – insita nell’idea di una religione non storica, ma "civile". 
 La terza parte del volume discute l’eredità di Bayle nel pensiero inglese: dalla questione degli effetti della religione sulla vita sociale, alla riflessione sulle origini delle credenze religiose, analizzate quali conseguenze di una disposizione psicologica e antropologica anziché fondamento di condotta e socialità. Mauro Simonazzi affronta il problema del presunto ateismo di Mandeville, mostrando l’attitudine pragmatica, estranea a riflessioni di stampo dottrinale, del pensiero di questo autore. Marialuisa Baldi discute la duplice influenza di Fénelon e Saint-Hyacinthe su Ramsay: il tentativo, che ne è frutto, di conciliare la difesa della nozione di tolleranza con l’esortazione a un "amore universale" degli "esseri ragionevoli" non esclude però, come l’autrice nota, una forte critica “progressista” del pregiudizio e dell’errore (p. 448) ormai distante da quel "diritto all’errore" che Bayle aveva sostenuto e che pare, lungo la storia qui ricostruita, il grande “smarrito”. Il terzo e il quarto saggio della sezione sono dedicati a Hume: Luigi Turco dimostra la presenza di Hutcheson nella discussione del design argument nei Dialoghi sulla religione naturale, smentendo l’idea di un "precorrimento" dell’evoluzionismo darwiniano a opera del filosofo scozzese; mentre Alfonso Maurizio Iacono analizza il sorgere di una idea unilineare di "progresso" nel momento stesso in cui, con lo studio sulle origini delle "credenze", viene meno il significato della Rivelazione e dunque del paradigma teologico nella comprensione della storia (p. 501). Cristina Paoletti infine, illustrando la figura di Thomas Chalmers, mostra il riaffermarsi di una coscienza dell’utilità delle religioni nella vita politica e civile: utilità che è divenuta ormai, nell’Ottocento, pedagogica e sociale piuttosto che spirituale in senso stretto, e che si realizza nella “razionalizzazione” in corso negli istituti religiosi stessi che concorrono (di concerto con l’economia politica!) all’affermarsi della pratica contemporanea di governo degli individui.
La quarta e ultima sezione del volume propone interventi rivolti a pensare il senso che l’idea di laicità figlia dell’Illuminismo può assumere in seguito alle grandi catastrofi del Novecento e a fronte delle sfide poste da un’epoca che si vuole post-imperialista. Piero Giordanetti discute la lettura kantiana del topos dell’ateo virtuoso, attraverso i testi delle tre Critiche: facendo emergere come per Kant l’idea di "Dio", purché depurata dagli aspetti feticistici che il culto ancora le attribuisce – e qui interessante sarebbe stata un’analisi che coinvolgesse lo scritto sulla Religione entro i limiti della sola ragione –, risulti fondamentale per la costruzione di quel concetto di «autonomia morale» che renda pensabile la conciliazione della virtù e della felicità. Eugenio Lecaldano analizza due modelli di "società atea", rappresentati rispettivamente dalle filosofie di Hobbes e Hume, ipotizzando una loro possibile attualità nella definizione dei rapporti tra religione e potere politico e nella riflessione sui vincoli fondanti le comunità: due prospettive contemporanee, una che propugna una gestione statale delle questioni religiose e una invece che insiste sulla responsabilità personale, l’educazione e la cultura dei "sentimenti morali" (pp. 557- 558) vengono qui discusse in riferimento ai paradigmi elaborati nel Sei-Settecento. Maria Cristina Bartolomei offre un quadro della riflessione teologica cristiana recente che, consapevole tanto del processo di secolarizzazione avvenuto quanto del disorientamento morale e politico-sociale prodotto dalle grandi tragedie del secolo passato, riconosce come una ridefinizione del ruolo della religione nella vita civile non possa prescindere dalla considerazione di ciò che il pensiero laico ha affermato – se non al prezzo di tradire la stessa originaria vocazione escatologica dell’originario messaggio cristiano (p. 576). La chiusura del volume è affidata al breve testo di Carlo Augusto Viano, che descrive la storia della "secolarizzazione" europea nei termini dell’imposizione di un modello teorico di etica atea che riafferma, nell’immagine della Ragione unica e universale, la propria altera «nostalgia di un re divino» (p. 586). A questo, Viano contrappone «un’indulgente moralità delle differenze, che non abbia bisogno dell’inverosimile amore universale per realizzarsi e cui basti la reciproca sopportazione» (ibidem). Un’ immagine che sembra riallacciarsi a quella che fu forse la proposta più forte e originale di Pierre Bayle: l’idea di una tolleranza positiva che, tenendo separato il godimento dei diritti individuali e politici dal piano confessionale, garantisca al tempo stesso l’espressione e il confronto delle "diversità". È sul concetto occidentale moderno di "universale" – già criticato con ironica incisività da Marx – che sembra allora doversi svolgersi un dibattito finalmente laico: cioè consapevole delle tentazioni “teocratiche” del pensiero che quel concetto ha prodotto, ma altrettanto forte dei propri strumenti sì da non scadere nella facile tentazione del relativismo.


Indice 

Introduzione. I paradossi di Pierre Bayle sulla religione, trecento anni dopo, M. Geuna e G. Gori 

PARTE PRIMA: Società e ateismo da Hobbes a Bayle 
Religione e politica in Pierre Bayle: la «società di atei» tra mito e realtà, G. Mori 
Bayle e l’ateo virtuoso. Origine e sviluppo di un dibattito, L. Bianchi 
Teoria scettica della politica e statuto civile dell’ateo: Hobbes e Bayle, A. Lupoli 
Hobbes, Bayle et la médiocrité du mal, L. Foisneau 
Hobbes the Atheist and His Deist Reception, P. Springborg 

PARTE SECONDA: I philosophes e la società di atei 
Montesquieu e la «necessità» della religione. Un approccio laico e comparativo al problema 
religioso nelle società politiche, M. Platania 
«Siamo uomini prima di essere cristiani». Religione ed Encyclopédie, M. Spallanzani 
«Compelle intrare». Bayle e Voltaire tra religione e politica, M.L. Lanzillo 
Inquietudine religiosa e relativismo critico: l’iconografia di Bernard Picart, L. Simonutti 
Morale, politica e religione in alcuni testi della letteratura filosofica clandestina, G. Canziani 
D’Holbach e la società atea, G. Cristani 
Religione del cuore e religione della città. Rousseau, Bayle e i repubblicani inglesi, M. Giargia 

PARTE TERZA: Morale e religione da Mandeville a Hume 
La società senza morale. Ateismo e religione nel pensiero di Mandeville, M. Simonazzi 
Critica del fanatismo e tolleranza civile. Ramsay tra Fénelon e Saint-Hyacinthe, M. Baldi 
Hutcheson nei Dialoghi sulla religione naturale di Hume, L. Turco
I fenomeni irregolari della natura e l’origine della religione: Hume, Smith, De Brosses, A.M. 
Iacono 
Società e religione in Thomas Chalmers, C. Paoletti 

PARTE QUARTA: Una società senza religione? 
Kant, Bayle e l’idea di autonomia morale, P. Giordanetti 
Hobbes, Hume e la morale senza religione come cemento della società politica, E. Lecaldano 
Cristianesimo, ateismo e ruolo sociale della religione, M.C. Bartolomei 
Un possibile indulgente ateismo, C.A. Viano

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