lunedì 11 febbraio 2013

Cimino, Antonio, Costa, Vincenzo (a cura di), Storia della fenomenologia

Roma, Carocci, 2012, pp. 453, euro 29, ISBN 978-88-430-6257-7. 

Recensione di Pietro Camarda - 01/08/2012

Il testo percorre, descrive e problematizza gli sviluppi (della storia) della fenomenologia, mettendone in risalto i nodi teorici (e non solo) che hanno costituito i momenti più importanti della riflessione di una delle principali correnti della filosofia del secolo XX. Il lavoro del testo è teso a raccogliere gli interventi di molteplici voci riferite alla fenomenologia in prima battuta ma anche ai rapporti di quest’ultima con altre scienze e discipline, mettendo in questione più temi chiave dell’interpretazione 

del pensiero fenomenologico che si offre così al lettore come una corrente di pensiero diversificata e plurale, mostrando così una vitalità di temi e problemi.
Partendo dalla necessità, appartenente tutta al secolo XX, da parte sia dei saperi filosofici sia di quelli scientifici, di ripensare i fondamenti e le proprie basi, i curatori del testo, Cimino e Costa, intendono riprodurre un modo di intendere e praticare la filosofia che è la Fenomenologia ovvero “un radicalismo della chiarezza concettuale e dell’analisi, che rigetta tanto l’ingenuo positivismo del tardo Ottocento quanto l’atteggiamento remissivo delle molteplici filosofie appesantite da forme più o meno larvate di relativismo” (p. 18). Il testo articola un percorso storico-teorico che tiene conto delle origini, degli sviluppi successivi, fino alle più differenti ramificazioni dello stesso fenomeno: la fenomenologia.   
Il presente lavoro è diviso in quattro parti che, non essendo complessive ma, volutamente, selettive,  si occupano dei momenti salienti che hanno segnato la nascita e lo sviluppo della fenomenologia da Husserl ai nostri giorni. La prima parte introduce alle origini del movimento fenomenologico e prende in considerazione il concetto di fenomenologia, i precursori dello stesso movimento, fino ad arrivare alle teorie di Husserl. La fenomenologia (discorso intorno al fenomeno) infatti nasce come coincidenza tra “analisi dell’esperienza della coscienza e analisi della rappresentazione della parvenza” (p. 28), almeno nelle formulazioni prima di Ötinger (1732), poi di Lambert (1764). Alla vera svolta moderna del pensiero si assiste con Kant, per il quale il fenomeno è momento ed elemento dell’inizio del costituirsi dell’esperienza, del quale non si preoccupa un’analisi psicologica ma viene preso in considerazione secondo i possibili usi dell’intelletto. Dopo Kant, Fichte propone ed approda ad una fenomenologia propedeutica, applicativa e speculativa in relazione al suo sistema filosofico, fino ad arrivare a Hegel che, con la Fenomenologia dello spirito, intende descrivere l’itinerario della coscienza verso il sapere assoluto. A questo punto, visto l’interesse della fenomenologia per la coscienza (dei fenomeni), qualsiasi essa sia e qualsiasi esposizione essa abbia, la domanda da porsi diventa: cosa è oggetto della coscienza? Dopo le conquiste scientifiche della psicologia empirica di Brentano, le sensazioni, in relazione alla loro percezione, s’impongono al soggetto (Stumpf), per poi produrre (quindi non vengono solo patite) delle sorte di “oggetti ideali” (Lipps), le rappresentazioni, che vanno considerate come un processo attraverso il quale conosciamo e interpretiamo il mondo, non quindi come “duplicazioni d’essere” (James), ma come ciò che mostra e a tutti gli effetti produce oggetti (Marty). La relazione quindi tra soggetto che sente e oggetto percepito è un “fatto” (Ward) che permette di definire, ogni volta, l’Io-soggetto distintamente dall’oggetto. Nel passaggio dall’atteggiamento naturale a quello fenomenologico, mediante l’idea fondamentale dell’intenzionalità, principio cardine della metodologia fenomenologica, intesa come atto “donatore” di senso (oggettuale), si rivela la vera essenza e teoria conoscitiva della fenomenologia e cioè che “l’analisi di come attraverso il vissuto immanente possa giungere a manifestarsi un oggetto trascendente è ciò che Husserl chiama costituzione fenomenologica” (p. 62), ovvero il come un “dato” possa essere detto tale, sottratto alle o antecedente le condizioni del conoscere, dell’esperire. È evidente come la preistoria della fenomenologia radicata nella filosofia classica tedesca mostra i motivi che poi saranno propri della più sviluppata teoria husserliana: critica della ragione, teoria della oggettualità e della conoscenza, la scienza come attività conoscente del soggetto.  
Nella seconda parte si presta attenzione ai primi sviluppi della fenomenologia a partire dalla costituzione dei centri d’interesse fenomenologico e dei pensatori di riferimento. “Il movimento della fenomenologia”, a partire dalla pubblicazione delle Ricerche logiche (1900-1901), è stato “un movimento culturale dinamico, capace di ramificarsi in correnti parallele che procedono a differenti velocità, irradiandosi da un’origine comune ma andando in direzioni anche assai eterogenee” (pp. 115-116). A partire dai centri nevralgici di Monaco, Gottinga e Friburgo si espanse tale movimento accomunato, al di là dei differenti versanti operativi, dalla consapevolezza di aver partecipato ad un momento cruciale della storia della filosofia contemporanea. Tra i pensatori del dopo Husserl, si proposero numerose teorie satellitari alla fenomenologia: si assiste ad una torsione intellettuale tale per cui si tenta di rendere sempre più materiale l’a priori (Reinach), la fenomenologia diventa una vera e propria scienza della soggettività considerata nelle sue relazioni costitutive (Stein), si definisce un versante “realista” della fenomenologia retta da fattori storici e individuali (Ingarden), si passò poi all’esplorazione e all’analisi di determinati ambiti dell’esperienza come la vita emotiva e l’etica materiale (Scheler), si giunse alla radicalizzazione ermeneutica della fenomenologia attraverso la metodologia della “distruzione fenomenologica” (Heidegger). Più avanti, si sposta l’attenzione verso l’agire dei soggetti umani e quindi la coscienza diventa ed è vista sempre più come la porta d’accesso per le scienze sociali (Schütz), fino ad arrivare ad una società che si concepisce come aperta per approdare alla definizione di una prospettiva della fenomenologia in senso sociale (Fink), si denuncia così la crisi dell’umano sentire e della soggettività, per una fenomenologia “asoggettiva” (Patočka).    
La terza parte offre un’analisi di come, quanto e in che modo si è diffusa la fenomenologia soprattutto in Francia, Stati Uniti e Giappone. In Francia, dai primi del 1900, sono numerosi e floridi gli studi proprio à l’école de la phénoménologie a partire dalle analisi su “Un’idea fondamentale della fenomenologia: l’intenzionalità” (1933-1934) di Sartre, cioè a partire da uno degli elementi cardine dell’intera impostazione fenomenologica, che prenderà poi le sembianze di una immanenza della coscienza, dando più valore al versante empirico della conoscenza e dell’etica. Si delinea così a partire dal concetto di “corpo” una variante della fenomenologia che mette in conto nelle analisi dell’esperienza le ambiguità “feconde” (Merleau-Ponty) provocate dai riferimenti alla sfera empirica, viene proposta un’etica fenomenologica che si fonda sul volto dell’altro, anteriore all’ontologia (Levinas), si apre un filone di pensiero connotato come riflessivo, fenomenologico ed ermeneutico allo stesso tempo (Ricoeur), per arrivare agli effetti di una stravolgente strategia di “decostruzione della fenomenologia” (Derrida). Mentre in Francia si assiste ad una vera e propria scuola fenomenologica, negli Stati Uniti, la ricezione della fenomenologia non fu uniforme e si mescola con altre discipline, soprattutto il pragmatismo, fino a diventare “fenomenologia analitica”. In Giappone, invece, si assiste tutt’oggi ad un vero proliferare delle idee fenomenologiche. Molti sono stati e sono “gli allievi” delle teorie husserliane che legano il pensiero dell’estremo oriente con la fenomenologia: contingenza, corporeità, inquietudine dell’essere storico, l’uomo come elemento intermedio, “fra” dinamico, fino alla definizione della “fenomenologia della medialità” di Nitta Yoshihiro. Sono questi i caratteri comuni che hanno fatto la fortuna dell’impostazione fenomenologica in Giappone e si presentano come le linee guida della fenomenologia in questo paese.   
Nella quarta parte si affronta la pluralità di temi e problemi che hanno contribuito ad espandere gli studi fenomenologici. I rapporti della fenomenologia con altre discipline come la filosofia della mente in un ottica che predilige l’affinità di teorie e tesi che si riferisce per di più all’utilizzo della metodologia, per l’accesso alla sfera mentale, basato sulla “prospettiva della prima persona”, così come lo praticava Husserl, invece che quello “della terza persona” così come invece viene per lo più praticato dai pensatori analitici. Un esempio al riguardo è David Chalmers che si allinea sulla scia dei lavori husserliani introducendo una novità metodologica all’interno del bacino analitico. Si trovano elementi anche per delineare una certa estetica fenomenologica che tenta di fondarsi, basandosi sulla ricerca della comprensione e del ruolo della soggettività, su principi “scientifici”. Anche sul versante della psicologia e psichiatria ci sono dei richiami fenomenologici che, nelle figure di Jaspers e Binswanger, danno vita ad una psicopatologia a indirizzo fenomenologico. In un certo senso si tratta di mediare tra gli elementi, apparentemente in completo disaccordo, di ragione e follia in un modo tale per cui, dal momento che ogni essere umano è unico e impenetrabile, la schizofrenia sembra essere quella terra di confine che aprirebbe ad un itinerario di comprensione dell’umano totalmente differente dalla classica impostazione fenomenologica. Anche nei rapporti con l’epistemologia troviamo echi fenomenologici rispetto al problema del “mito del dato”, secondo il quale “non esiste occhio innocente nel percepire un’esperienza”. Se quindi non c’è un dato immodificabile, scientifico per così dire, allora l’intento non può essere più quello di mettere a fuoco dati prioritari, originari e neutrali, ma diventa quello di analizzare i dati per come essi si danno nel loro mostrarsi. Il problema a questo punto si sposterebbe sulla differenza-relazione che sussiste tra il fare esperienza e il pensare o giudicare su quell’esperienza, che in un’ottica fenomenologica viene definita come “un legame motivazionale che l’esperienza sensibile è in grado di esercitare sulla teorizzazione” (p. 411), si tratterebbe di un legame genetico-motivazionale in fin dei conti, che esclude la possibilità della cosa in sé, quindi del realismo metafisico. Infine, in questa ultima parte, si indaga il rapporto tra fenomenologia e teologia in una prospettiva che, alla ricerca delle strutture portanti della coscienza, giunge alla questione dell’assoluto, delineando un’ottica di “predatità universale”, dove il fondamento si presenta infondato, prima di ogni movimento coscienziale, lontano da ogni possibilità di parola (o nominazione).
Lo sforzo selettivo, storiografico e teorico che il testo rivela è supportato dalla mole complessa e variegata dei temi e dei problemi cui dà vita, in un’esposizione quanto mai chiara e distinta, anche se volutamente non esaustiva, del panorama filosofico nel quale si viene a presentare la fenomenologia. Questo testo offre una efficace e puntuale ricostruzione di un movimento filosofico ancora attivo nella storia della filosofia e che richiede ad alta voce un valore di attualità determinato dal costituirsi di un percorso storico-filosofico che attraversa, da protagonista, la scena filosofica del secolo scorso. Il testo si presenta come il resoconto denso e complessivo del riverbero che lo sviluppo della fenomenologia ha avuto, mostrandosi come una rilettura della storia dei diversi atteggiamenti della fenomenologia e delle sue interpretazioni che, prospettando un oltre, offrono la possibilità di una domanda sulla Storia della fenomenologia: che cosa resta?   


INDICE

Introduzione di Antonio Cimino e Vincenzo Costa

PARTE PRIMA – Alle origini della fenomenologia
Federico Ferraguto - Il concetto di fenomenologia dalla tradizione prekantiana all’idealismo tedesco 
Stefano Poggi – L’intenzionalità della coscienza dopo Brentano e prima di Husserl
Vincenzo Costa – Edmund Husserl
Gianna Gigliotti – Fenomenologia e neokantismo
Paolo Parrini – fenomenologia ed empirismo logico

PARTE SECONDA – I primi sviluppi della fenomenologia
Andrea Pinotti – I centri fenomenologici: Monaco, Gottinga e Friburgo in Brisgovia
Stefano Besoli – Adolf Reinach
Laura Boella – Edith Stein
Arkadiusz Chrudzimski – Roman Ingarden
Giuliana Mancuso – Max Scheler
Antonio Cimino – Martin Heidegger
Sonja Rinofner-Kreidl – Alfred Schütz
Annette Hilt – Eugen Fink
Filip Karfík – Jan Patočka

PARTE TERZA – La diffusion della fenomenologia
Florinda Cambria – Jean-Paul Sartre
Luca Vanzago – Maurice Merleau-Ponty
Cristian Ciocan – Emmanuel Levinas
Gabriella Baptist e Domenico Jervolino – Paul Ricoeur
Vincenzo Costa- Jacques Derrida
Steven G. Crowell – La fenomenologia negli Stati Uniti
Shigeru Taguchi – La fenomenologia in Giappone

PARTE QUARTA – Temi e problemi
Andrea Borsato e Eduard Marbach – Fenomenologia e filosofia della mente
Elio Franzini – Estetica fenomenologica
Alfredo Civita e Aurelio Molaro – Fenomenologia e psichiatria
Paolo Spinicci – Fenomenologia e filosofia della percezione
Roberta Lanfredini – Fenomenologia ed epistemologia
Virgilio Melchiorre – Fenomenologia e teologia

Riferimenti bibliografici

Gli autori

Indice dei nomi

Nessun commento: