venerdì 24 maggio 2013

Paradosso, Rivista di filosofia, L’affettività del pensiero

a cura di Umberto Curi e Bruna Giacomini, Il Poligrafo, Padova, 2012/1, euro 25, ISBN 9788871157429

Recensione di Carla Maria Fabiani - 25/09/2012

Chiare e precise sono le parole affidate all’Editoriale: «La nostra ambizione dichiarata è quella di attribuire a “Paradosso” il compito precipuo di concorrere a riabilitare il pensiero, contro ogni liquidazione sommaria, e in controtendenza rispetto alle stucchevoli diagnosi sulla già avvenuta (o in corso) morte della filosofia» (p. 7)[a].
L’intento dichiarato in termini assai espliciti e combattivi dai direttori di “Paradosso”, è quello di porre unargine[b], di resistere con tutte le forze ma anche di contrattaccare quella deriva culturale a cui sta andando incontro, 

con ogni evidenza, non solo il sapere filosofico, ma, ancora di più, il sistema formativo (scolastico e universitario) del nostro Paese.
Non si tratta, banalmente, di una presa di posizione antitetica e arroccata su posizioni alternative rispetto a quelle che vanno oggi imponendosi, tutte imperniate sul concetto di competenza, produttività, certificazione oggettiva. Questo linguaggio invade la valutazione della ricerca e della formazione e considera sostanzialmente i soggetti di sapere [c]– ricercatori, docenti, discenti, ecc. –  come agenti economici, utenti, contraddistinti da comportamenti misurabili in termini di perfetta razionalità. D’altra parte, a sostegno di questa visione astoricistica [d]e antiumanistica, che ripropone sotto mentite spoglie il vecchio positivismo, impera la cosiddetta pedagogia delle competenze, che rimanda a una concezione tutta spendibile e competitiva del sapere. Il sapere dunque deve servire; l’amore [e]per il sapere, non sempre serve.
Qui, al contrario, accettando a testa alta la sfida proveniente da questa visione oggettivistica e quantitativa del sapere, si intende rifondare il desiderio, l’amore, la voglia, l’affettività che concernono strutturalmente il sapere filosofico e più in generale il pensiero. Rilanciare il pensiero dunque, con la convinzione che esso non possa prescindere dal suo carattere essenzialmente interrogante e laboratoriale. Volutamente lontano, per così dire, sia da un’impostazione rigidamente analitica di stampo anglosassone sia da una strettamente storiografica.
Qual è allora il punto su cui si concentra il fascicolo qui presentato e dedicato proprio all’affettività del pensiero?
È lo statuto del filosofare che va rivisto e ripensato, facendo innanzitutto perno sull’ambivalenza che da sempre concerne il logos in quanto tale. La sua origine, storico-concettuale, non può e non deve fossilizzarsi sulla presunta opposizione irriducibile al mito. Filosofare, pensare in termini filosofici, vuol dire forse raziocinare? Sembra al contrario, leggendo i diversi contributi qui proposti, che piuttosto voglia dire argomentare, raccontare, domandare, sulla base di un coinvolgimento emotivo che va non solo conservato in quanto tale, ma addirittura messo con forza in evidenza. Una sorta di rovesciamento gestaltico figura/sfondo si profila all’orizzonte del rapporto mito/logos, e ancora di più del rapporto pathos/logos[f].
È il mito che prende inaspettatamente il sopravvento; il mito che ci eravamo lasciati alle spalle, allorché nacque il logos.
Autore di riferimento, è Martin Heidegger, con la sua nozione intraducibile di Befindlichkeit (situazione/tonalità emotiva/umore/esser situato). È ben indagata da L. Sanò nel suo bel [g]saggio Il canto e le grida. Sul rapporto intelligenza-sensibilità in Essere e Tempo (pp. 115-126). Essa non può essere confusa con un mero stato psicologico; innanzitutto [h]perché, unitamente al Verstehen e alla Rede determina essenzialmente l’Esserci, rendendolo, appunto, coincidente col suo Ci. Si potrebbe parlare a questo proposito, insieme a Rachel Bespaloff – filosofa di origine ucraina – di nuovo inizio del filosofare, pensiero concreto, in grado di superare i limiti della metafisica tradizionale. Ma c’è di più. Alla luce di una lettura musicale dell’opera di Heidegger, che lo connette a quella di Bach, si potrebbe mostrare il carattere essenzialmente musicale della filosofia stessa, un convergere in essa di spirito e di affetto, così come avviene nella musica. Il pensiero dell’Essere viene allora concepito come arte della fuga, dell’incompiutezza, di contro a un pensiero strutturato e sistematico, metafisico in senso stretto. La verità è ulteriorità. Così come l’intelligenza è anche sensibilità e la sensibilità intelligente. Il coimplicarsi di spirito e affettività, comprensione e tonalità emotiva, caratterizza in modo essenziale innanzitutto la musica, prima ancora della filosofia, laddove l’affettività converge nel pensiero, e il pensiero diverge in affettività. D’altra parte, è nella stessa Befindlichkeit che coesistono quell’inquietudine e quello stupore che assieme testimoniano della irriducibile connivenza fra essere e nulla, angoscia ed estasi. È la meraviglia/timore, l’ambivalenza di thauma, che emerge con ogni evidenza nell’espressione musicale, prima ma anche all’interno del pensiero filosofico più autentico.
Ci chiediamo allora, provocatoriamente, come riuscire oggi a invertire la rotta di un sapere che, almeno così come viene riprodotto all’interno delle istituzioni scolastiche e universitarie, esclude per lo più da sé spazi, momenti, occasioni dedicate alla dimensione essenzialmente divergente dell’affettività, della corporeità, delle emozioni in genere. Si pensi, banalmente, a come viene condotto solitamente un convegno accademico oppure a come e dove viene quotidianamente organizzata la didattica nella scuola, avvertita dagli studenti come costrizione dell’espressione corporea. Turbamento, angoscia, estasi, emotività, affettività, sensibilità, qui non albergano di certo.
Nell’Introduzione a cura di U. Curi (pp. 13-28) viene approfondito con dovizia di particolari il rapporto fra mithos e logos, a partire dalle pagine platoniche del Teeteto, illuminanti al proposito. Viene altresì rivista l’interpretazione aristotelica del mito, inaugurando un tentativo, a nostro avviso riuscito, di rilettura della Poetica alla luce della Metafisica. «Non si tratta dunque di correlare ab estrinseco ambiti – quali le emozioni e la ragione – che si suppone pregiudizialmente essere distinti e eterogenei, ma al contrario, di ritrovare nella loro intrinseca connessione l’espressione più compiuta di quell’altra forma della dimostrazione in cui si è concettualmente e storicamente articolata la filosofia» (p. 27).
È assai coinvolgente il saggio di B. Giacomini, Pathos e filosofia in Hannah Arendt (pp. 31-58). Il tema al centro della rivisitazione arendtiana della filosofia è il rapporto che intercorre fra filosofia e politica, tra pensare e apparire, tra thauma-pathos e logos. Una accurata rilettura del percorso intellettuale della Arendt ci illumina non solo sulla struttura essenzialmente dinamica e plurale del pensare (e nella fattispecie, del pensare filosofico), ma soprattutto sulla deriva autodistruttiva, totalitaria e ideologica a cui siamo sempre esposti laddove decidessimo (e ne abbiamo facoltà) di smettere di pensare. «Per chi non accetta la fatica del pensare e il disorientamento che esso produce, non ha importanza quali siano le regole e i valori, ma che vi siano regole e valori.[…]Le molteplici insidie cui è costantemente sottoposto il movimento del pensiero mostrano con chiarezza come ciò che rende così problematico e arduo tale esercizio non stia nell’essere colti dal thauma […]. Ciò che è invece davvero ‘straordinario’ […] è prendervi “dimora” e restarvi a “soggiornare”» (p.58).
In sintonia con la visione arendtiana del pensare, ma cronologicamente ad essa precedente, è la scelta nietzscheana di pensare per aforismi[i], presentata da A. Giacomelli «Lo stile dello Zarathustra si configura così come scrittura mimica che si richiama all’esperienza vitale, in cui erleben ed erkennen, vivere e conoscere si coinplicano in un’Opera che “vale come forma di un Erlebnis, la cui decifrabilità non è data in termini di un’astratta comprensione logico-discorsiva, bensì di appropriazione quasi carnale del vivente”» (Zarathustra e il pathos del linguaggio, p.143-).
Il problema posto in chiusura dall’agile saggio di C. Sini (In vino veritas, pp. 231-238) è quello di trovare un “luogo pubblico” per la filosofia e per i saperi in genere, nel quale emanciparsi da una verità schematica, astratta, specialistica, unilaterale e mortificante, per chi ritiene, al contrario, che i saperi facciano tutti capo a un “contesto antropologico” planetario e complesso, plurale e multiforme.
Sebbene, forse, non sia così scontato, tuttavia in questa carrellata di spiriti ricchi di pathos, a nostro avviso manca un protagonista di prim’ordine. Pensiamo a Marx, al suo linguaggio nient’affatto sistematico e definitorio, proprio al Marx del Capitale, che arricchisce l’esercizio critico del pensiero - critica dell’economia politica recita il sottotitolo – di esempi vivi concreti, tratti dalla storia, dall’interazione di figure sociali diversificate e multifunzionali. La logica del capitale (rapporto-modo-sistema di produzione moderno-borghese) è raffigurata a tratti di sangue e di fuoco. Si pensi solo al 24° capitolo del primo libro del Capitale, alla storia della cosiddetta accumulazione originaria che, inesorabilmente, secondo Marx, dovrà ogni volta ripetersi, ciclicamente, lasciando dietro di sé violenza e distruzione.
La ferrea e oggettiva logica della valorizzazione – il capitale produce essenzialmente capitale e fa ciò nella misura in cui produce plusvalore – è descritta e argomentata secondo un genere letterario assai originale, stratificato, multiprospettico e soprattutto non-sistematico. Un laboratorio a cielo aperto.
La rivista risulta riuscita negli intenti, lo stile appare omogeneo, fortemente teoretico, coinvolgente. A fine volume si segnala una rassegna bibliografica assai corposa in merito al tema delle emozioni/passioni/affettività trattato in ambito filosofico, antropologico e scientifico.
Per questioni di spazio non ci dilunghiamo oltre, citando gli altri saggi e i relativi autori qui di seguito.


Indice

Editoriale

Introduzione, U. Curi

Saggi

Che cosa ci fa pensare? Pathos e filosofia in Hannah Arendt, di B. Giacomini
All’origine del concetto di situazione emotiva: la lettura heideggeriana della Retorica di Aristotele nel semestre estivo del 1924, C. Pasqualin
Risplendere dell’immagine. Ueber die Sixtina di Martin Heidegger, A. Cariolato
Il canto e le grida. Sul rapporto intelligenza-sensibilità in Essere e tempo, L. Sanò
Sul coraggio della ragione pura, M. Failla
Spirito è la vita che taglia nella propria carne. Zarathustra e il pathos del linguaggio, A. Giacomelli
Psychopatologica del pensiero astratto, A. Capodivacca
Sentire il reale. L’affettività del gesto ne Les 400 coups di Truffaut, A. Vigolo

TESTI INEDITI
Piacere e dolore: le situazioni emotive fondamentali dell’essere-nel-mondo. Un testo di Martin Heidegger, C. Pasqualin
Dal corso del 1924 sui Concetti fondamentali della filosofia aristotelica, M. Heidegger (tra. di C. Pasqualin)

IN DISCUSSIONE
In vino veritas, C. Sini

A Piè DI PAGINA
Percorsi bibliografici sull’affettività del pensiero, a cura di B. Scapolo

Gli Autori

Nessun commento: