venerdì 18 ottobre 2013

Scolari, Paolo, Nietzsche fenomenologo del quotidiano

Milano-Udine, Mimesis , 2013, pp. 233, euro 20, ISBN 978-88-5751-472-7

Recensione di Massimiliano Chiari - 13/08/2013

Nietzsche è stato senza dubbio un filologo precoce e promettente: non ancora venticinquenne, e non ancora laureato, ottenne – per meriti scientifici – la cattedra di filologia classica all’Università di Basilea. È stato anche, e in misura incommensurabilmente maggiore, un filosofo di primissimo piano capace di condizionare il pensiero filosofico dell’intero Novecento, e oltre. Tutto ciò è assolutamente noto, direi a tutti.


Ciò che, invece, è senza dubbio meno universalmente noto del pensiero di Nietzsche, è la sua propensione fenomenologica verso la quotidianità, la sua capacità – cioè – di offrire una lettura tagliente, profonda, lucidissima e in molti casi profetica (nel senso di anticipatrice) della realtà quotidiana e delle sue strutture sociali ed economiche. Accanto a un Nietzsche “maggiore” (filologo e, soprattutto, filosofo) ci sarebbe dunque anche un Nietzsche “minore”, semplice (pour ainsi dire) osservatore della realtà che lo circonda, analista e descrittore (fenomenologo, appunto) del quotidiano: questa è la tesi sostenuta – e ampiamente dimostrata – dal giovane (classe 1983) Paolo Scolari nel libro in esame, pubblicato anche grazie ad un contributo finanziario dell’Università Cattolica, “sulla base di una valutazione dei risultati della ricerca in esso espressa”. È chiaramente un giovane molto promettente l’autore di questo bel libro che ci conduce, ci accompagna per mano, fra i luoghi meno noti – e pur tuttavia interessantissimi – del pensiero di Nietzsche.
“Il suo sguardo fenomenologico – ci ricorda Scolari – si posa su quei piccoli temi – «le cose prossime e più vicine di tutte», come le chiama Nietzsche – che vanno a comporre l’esistenza degli uomini della società moderna: «le ventiquattro ore del giorno, il mangiare, l’abitare, il vestirsi, l’aver rapporti sociali, la condotta di vita, la ripartizione della giornata, la professione ed il tempo libero, la festività e il riposo, il matrimonio e l’amicizia»” (p. 15-16); insomma, questo Nietzsche minore, o “terreno” come lo definisce anche Scolari, questo “osservatore dei «luoghi umani» della convivenza”, fa del filosofo tedesco un vero e proprio fenomenologo del quotidiano, testimone di «quella cronaca quotidiana che indagò come sfera dell’umano troppo umano»” (p. 16), per riproporre un’efficace espressione utilizzata da S. Moravia.
Scolari ha individuato un saldo filo conduttore che attraversa tutta la nietzscheana fenomenologia del quotidiano; si tratta della “frammentazione dell’umano” (p. 118): “Io mi aggiro in mezzo agli uomini, come in mezzo a frammenti (Bruchstücken) e membra (Gliedmaassen) di uomini! E questo è spaventoso ai miei occhi: trovare l’uomo in frantumi (zertrümmert) […]” (p. 119, cit. da Così parlò Zarathustra). L’uomo in frantumi è quello che si manifesta, al fenomenologo, nelle strutture sociali ed economiche della seconda metà dell’Ottocento: nella scuola, nella cultura, nel lavoro, nel tempo libero, nella città come luogo dell’abitare, e perfino nel giornalismo. L’uomo in frantumi è l’anticipazione nietzscheana dell’uomo a una dimensione, teorizzato da Herbert Marcuse nel suo famoso saggio Der eindimensionale Mensch del 1964.
Così ad esempio, la “cultura” prodotta dalle scuole tedesche “perde in profondità quanto pretende di guadagnare in estensione. Non una «vera cultura» (Wirkliche  Bildung), bensì solo una «specie di sapere intorno alla cultura», una «culturalità» (“Gebildetheit”) che «si ferma al pensiero e al sentimento della cultura»” (p. 44). La cultura non ha più come fine se stessa, “ma viene sfruttata per realizzare quelli che, un tempo semplici mezzi, sono ora diventati i fini più importanti dell’esistenza umana: l’utile economico e la potenza dello Stato” (ivi). Ciò che Nietzsche critica aspramente è il “democraticismo” della cultura (e della scuola) tedesca, e ciò in quanto “il valore della cultura è inversamente proporzionale alla sua diffusione: la «cultura quanto più possibile vasta e universale» e «comune a tutti» ha una sola via d’uscita, la «barbarie»” (p. 47). Per Nietzsche la cultura autentica “deve rifiutare ogni asservimento, non deve «servire» a niente, deve cioè essere “«fine a se stessa», gratuita, socialmente disinteressata, al di sopra della mischia sociale” (p. 57). Ma più propriamente, a cosa è asservita – secondo il filosofo tedesco - la cultura dei suoi tempi (e, potremmo aggiungere, dei nostri tempi)? Essa è innanzitutto e per lo più asservita al denaro: “In una modernità «travolta da un’economia del denaro gigantesca e spregevole», dove si rincorrono freneticamente «tutti i mezzi e le vie per guadagnare più facilmente possibile del denaro (Geld)», la cultura «si fa sempre più utile in senso economico»: nei tempi moderni «esiste una naturale e necessaria alleanza di “ricchezza e cultura”, e, ancor più, questa alleanza sarebbe una necessità morale»” (p. 62, cit. da Sull’utilità e il danno della storia per la vita). Un’anticipazione profetica: non grazie alla cultura, ma sotto la spinta del commercio mondiale – ha scritto Nietzsche – “sarà il «denaro a costringere l’Europa a stringersi insieme in un’unica potenza»” (p. 63).
In che senso, quindi, il decadimento della cultura e l’egemonia del denaro gettano l’uomo “in frantumi”? Nel senso che “la società sarà dominata da “uomini attuali” senza identità, facilmente spendibili, in grado di valutare ogni cosa soltanto in termini di utilità economica. Uomini coinvolti nel mercato del lavoro, scambiabili e ridotti a valore di scambio: uomini-merce che, «livellati dallo spirito del mercato», hanno perso la propria «qualità individuale» e ritengono superflua una consapevolezza di sé che vada al di là di una mera determinazione del prezzo” (p. 65).
Ma l’uomo moderno non è “frammentato” solo a livello culturale, lo è anche nell’ambito lavorativo e perfino nella fruizione del suo (presunto) tempo libero: “ovunque c’è frammentazione, lì ne va dell’umano” (p. 85). L’analisi nietzscheana del lavoro rimanda, forse inconsapevolmente, al concetto marxiano, ed hegeliano prima, di “alienazione”; “nell’era del dominio della fabbrica, continuando a specializzarsi, l’operaio non solo ripete meccanicamente e ininterrottamente la medesima azione, ma diventa l’oggetto di quell’azione: non solo produce la vite per la macchina, bensì si trasforma lui stesso in quella vite” (p. 95). In un aforisma di Umano, troppo umano, Nietzsche scriverà che “«La macchina umilia, è impersonale (unpersönlich), sottrae al pezzo di lavoro la sua fierezza, la sua individuale bontà e difettosità, ciò che rimane attaccato ad ogni lavoro non fatto a macchina, – quindi il suo pezzetto di umanità (sein Bisschen Humanität)»” (p. 96). Anche il tempo libero, che dell’antico otium non mantiene neppure lontanamente la parvenza, diventa funzionale a qualcosa di diverso da sé, serve ormai solamente “per riprendersi dalla stanchezza del negotium” (p. 103). Perfino “la religione moderna”, quella “che vive nell’epoca della morte di Dio” è “ridotta a un dovere della domenica, un ulteriore impegno fra le numerose occupazioni del cittadino moderno” (p. 108).
Di particolare pregio è il quarto capitolo (pp. 160-202) del saggio di Scolari, quello in cui viene riproposta la “fenomenologia della città” (luogo dell’abitare) che il giovane studioso fa sapientemente emergere, in particolare, dalle pagine del Prologo di Così parlò Zarathustra. “La città è quell’affascinante palcoscenico sul quale va in scena l’umanità dell’epoca moderna: un’umanità che Nietzsche, «seduto al caffè» della piazza, osserva con molta attenzione (p. 166). Zarathustra incomincia la predicazione del «superuomo» proprio nella piazza della città: “nonostante la dirompente portata del suo messaggio, la folla è indifferente nei confronti di Zarathustra”, non gli presta ascolto, “egli «passa in mezzo a questa gente e lascia cadere qualche parola, ma essi né sanno prendere né trattenere». Questi uomini non riescono a capire ciò di cui parla, continuando imperterriti ad aspettare lo show del saltimbanco” (p. 181). “In quella piazza, l’agire della «folla» si spinge ben oltre la semplice indifferenza. Essa non solo non ascolta Zarathustra, ma con grande fragore «ride di lui»” (p. 183). Ma da chi è composta la gente che affolla quella piazza? Dall’uomo moderno, frammentato, incapace di prestare attenzione a, di cogliere un messaggio nuovo e rivoluzionario che intende ricondurre l’umano alla sua interezza. La gente della piazza “è popolata da «buoni», «giusti» e «credenti»: «esperti di ‘bene’ e di ‘male’», uomini «prigionieri della loro buona coscienza»” (p. 184). La piccolezza di quegli uomini si riflette, perfino, nelle loro abitazioni: quel tipo d’uomo “abita in case ristrette e «saltella su una terra diventata piccola» […]: una piccola «felicità», una piccola «ragione», una piccola «virtù», una piccola «giustizia», una piccola «compassione». Piccolezza e moderazione che tuttavia sanno molto di «accontentabilità» e mediocrità” (p. 186).


Il saggio di Scolari offre altri numerosi esempi di fenomenologia del quotidiano, così come viene filtrata dalle lenti di Nietzsche, ma sempre medesimo appare il tratto distintivo di quell’umanità moderna così banale: ciò che ne emerge è l’uomo frammentato, l’uomo a una dimensione per dirla con Marcuse, l’uomo che ha perso il senso della sua originaria unità e potenza, l’uomo che sarà protagonista del ventesimo secolo e, anche, dei giorni nostri.


Indice

Premessa
Sguardo sul quotidiano: Nietzsche e le “cose prossime”

Capitolo I
Sull’avvenire delle nostre scuole: cultura, educazione, società

Capitolo II
Frammentazione dell’umano: cultura, lavoro e tempo libero

Capitolo III
Fenomenologia delle masse: Nietzsche e le logiche collettive

Capitolo IV
Fenomenologia della città: Nietzsche e i luoghi dell’abitare

Appendice
La preghiera del quotidiano: Nietzsche e i giornali

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