venerdì 21 marzo 2014

De Simone, Antonio, Alchimia del segno. Rousseau e le metamorfosi del soggetto moderno

Milano-Udine, Mimesis, 2013, pp. 202, euro 18, ISBN 9788857518404.

 Recensione di Marco Menin - 09/01/2014

Ripubblicare, a distanza di quasi trent’anni, un saggio su un pensatore della grandezza di Rousseau è di per sé una scommessa intellettuale. Farlo a ridosso del tricentenario della nascita del Ginevrino – anno segnato da una vertiginosa accelerazione dello slancio della ricerca accademica in tutto il mondo – rende la sfida ancor più difficile e, di primo acchito, ardita.
La scommessa, occorre dirlo sin da subito, è vinta come meglio non si potrebbe. Il saggio di Antonio De Simone

 non si configura banalmente come una ristampa del testo pubblicato nel 1985 (Alchimia del segno. Rousseau dopo Rousseau: filosofia, linguaggio, scrittura, Urbino, Pubblicazioni dell’Università di Urbino), ma come una nuova edizione aggiornata e ampliata, che si sforza di dar conto – nel limite del possibile – degli sviluppi più significativi e recenti dell’immensa bibliografia rousseauiana, senza tradire al contempo lo spirito originario dell’opera.  
L’obiettivo della “prima” Alchimia del segno, come ricorda l’Autore nella «breve premessa quasi autobiografica» (p. 11) che apre il volume, era quello di esplicitare nell’atto della scrittura un’ipotesi di lettura dell’opera di Rousseau. Si trattava, per riprendere le parole di De Simone, di ripercorrere «il viaggio che, dopo Rousseau, è stato fatto compiere al suo pensiero attraverso una continua riappropriazione e ri-scrittura del senso e del significato della sua autobiografia e filosofia», al fine di poter comprendere «l’incidenza di Rousseau nella coscienza della contemporaneità» (p. 12).
L’attualità del pensiero di Rousseau, oggetto di studio della prima parte dell’opera, intitolata Una storia filosofica della coscienza moderna, è messa in luce attraverso una duplice articolazione dell’interpretazione dei suoi scritti. Accanto a una dimensione storica, costituita dall’intrecciarsi delle vicende personali di Jean-Jacques con le tensioni e la cultura del Settecento, esiste una dimensione transtorica, che mette in evidenza come Rousseau abbia saputo cogliere una serie di questioni universali (prima tra tutte l’idea che l’identità è una fonte di normatività) che vanno oltre la sua specifica epoca e che ha consentito a ogni generazione di lettori d’individuare tra le sue pagine nuovi spunti di riflessione, ogni volta avvertiti come attuali. 
La “contemporaneità” di Rousseau può pertanto essere ricostruita, per riprendere una distinzione cara all’Autore, attraverso la sinergia dello studio dell’“uomo-Rousseau” con quello dell’“uomo-di-Rousseau”: «L’uomo-Rousseau (Jean-Jacques) e l’uomo-di-Rousseau, si rapportano, così, con inaudita forza ai problemi della contemporaneità che, dopo Rousseau, è ancora impegnata a risolvere non pochi di quei mali umani e sociali che tanto acutamente disvelò Rousseau, quanto drammaticamente pervasero Jean-Jacques» (pp. 55-56).
A questa duplice indagine corrispondono due tendenze metodologiche inter pretative: la prima considera l’intera opera rousseauiana come un sistema sincronico, la seconda – che indubbiamente è quella che sta maggiormente a cuore all’Autore – analizza invece, diacro nicamente, l’attualità o l’inattualità del suo pensiero. 
L’attenzione di De Simone si concentra così prevalentemente sul «cerchio ermeneutico» (p. 65) che viene a instaurarsi tra il testo e l’interprete, originando una serie di problemi di intertestualità. Il più delle volte, come conferma l’analisi di diversi modelli (“marxista”, “liberale”, “freu diano”, “strutturalista”, ecc.) che si sono susseguiti nell’esegesi dell’opera del Ginevrino, il tempo e la formazione culturale dell’interprete si sono rivelate variabili decisive nel fornire un taglio specifico allo scritto in esame: «Nel rapporto Rousseau-storiografia critica si è più volte privilegiato il tempo dell’interprete, la sua epoca culturale, politica e ideologica, piuttosto che l’equilibrio – anche se precario – tra la partecipazione attiva dell’interprete e la speculare proiezione dell’œuvre rousseauiana sui codici ermeneutici sottesi alla sua genesi e al suo sviluppo: il testo, l’interprete e il loro cerchio» (p. 68).
Un punto di cesura determinante nella storiografica filosofica novecentesca sarebbe stato segnato, in questa prospettiva, dalla lettura esistenzialistica di Pierre Burgelin prima (La philosophie de l'existence de J.-J. Rousseau, Paris, P.U.F., 1952) e, soprattutto, da quella «filologica ed ermeneutica» (p. 70) di Jean Starobinski poi. La transparence et l’obstacle (Paris, Plon, 1957) avrebbe rappresentato il primo tentativo compiuto di considerare il testo di Rousseau come “un’opera aperta” che richiede, ad un tempo, di essere letta tramite l’indagine filologica e la storiografia filosofica, ma anche secondo la pratica dell’intertestualità presupposta dal cerchio ermeneutico.  
Alla luce delle premesse metodologiche delineate nella prima parte dell’opera, la seconda parte del saggio – intitolata La plume di Rousseau. Le tracce dell’io – si propone d’indagare nello specifico la tematica della scrittura, intesa come teoria, critica e pratica. Sull’esplicita scia delle suggestioni fornite da Jacques Derrida nella sua De la grammatologie (Paris, Éditions de Minuit, 1967), l’Autore considera l’opera rousseauiana come una struttura complessa, formata da piani che s’intersecano tra di loro: «I problemi di lettura di Rousseau e la lettura dei problemi di Jean-Jacques costituiscono, nella loro reciproca circolarità, un nodo strategico su cui il lettore-interprete deve lavorare avendo davanti a sé, contemporaneamente, la pagina di Rousseau e il soggetto Jean-Jacques» (p. 92).
Il terreno privilegiato di una simile analisi è individuato nel problema della scrittura. La stessa esperienza filosofica e letteraria di Rousseau, come rende consapevoli la lettura di molte pagine autobiografiche, venne a configurarsi infatti come il risultato di un continuo interrogarsi sulla funzione della scrittura e in particolare sulla natura dei suoi confini e sull’estensione dei suoi poteri. Nell’ostinato tentativo di autogiustificarsi come écrivain, Rousseau rimane «drammaticamente consapevole che la scrittura, benché contestata, trova una sua legittimazione e una sua strutturale e oggettiva ragion d’essere perché ormai la parola non è più in grado né è più sufficiente per difendere e garantire la causa della virtù e della verità trasparente di fronte alla progressiva degradazione dei costumi e agli “effetti perversi” della Kultur del suo tempo» (p. 94).
Da tale assunto discende la tesi (nella quale riecheggia nuovamente con forza la lezione di Derrida) secondo cui la scrittura di Rousseau sarebbe sostanzialmente un supplemento e un medium del linguaggio. Jean-Jacques anelerebbe incessantemente a «un mondo-di-parola, un mondo trasparente e orizzontale», scontrandosi tuttavia continuamente con un «mondo della scrittura, dove tutto è opaco e mediato» (p. 102). Da questa sorta di antinomia scaturisce la sua complessa scrittura, esito consapevole di un lungo periodo di apprendistato e di preparativi. In quanto nata da e per un atto di libertà, la scrittura subisce inevitabilmente le pressioni della società e della storia: «La scrittura come supplemento e come medium del linguaggio non si riproduce intemporalmente, senza residui: essa si crea come forma e come valore a contatto con la tradizione, la Kultur e la memoria storica delle altre scritture possibili» (pp. 103-104).
L’alchimia del segno che caratterizza la scrittura di Rousseau, e che conferisce il titolo al saggio di De Simone, trova la sua espressione più elevata nell’opera autobiografica, che segna una tappa determinante, all’interno del pensiero filosofico occidentale, nella «costituzione di una nuova soggettività post-cartesiana» (p. 132). L’ultima parte del lavoro, intitolata Filosofia, vita e autobiografia, si propone così «di portare in evidenza quei nodi e quei nuclei problematici di pensiero vissuto tipici della intenzionalità e autenticità come del senso e del significato dell’œuvre del Ginevrino» (p. 141).
Servendosi dell’idea di “patto autobiografico” resa celebre da Philippe Lejeune (Le pacte autobiographique, Paris, Éditions du Seuil, 1975) De Simone mostra, in un primo momento, il valore filosofico degli scritti autobiografici – i quali «nelle intenzioni metaetiche e metapolitiche di Rousseau, configurano, anche, la proposta di un’ermeneutica esistenziale» (p. 144) – per poi soffermarsi su un’analisi più dettagliata dei tre capolavori del genere: le Confessions, i Dialogues e le Rêveries. La disamina del récit autobiografico, che si articola attraverso la celebre dicotomia tra “Jean-Jacques” e “Rousseau”, e della scrittura dell’imaginaire (altra tematica cara ad interpreti come Starobinski e Marc Eigeldinger) confermano in via definitiva la conclusione che De Simone considera il nucleo essenziale del suo lavoro di ermeneutica filosofica, ossia la necessità «di coniugare con metodo intertestuale, strutturante e storicizzante, sincronico e diacronico, il plan politique con il drame du sentiment che pervasivamente connotano l’œuvre di Rousseau e l’écriture di Jean-Jacques» (p. 181).
In conclusione, l’opera di De Simone si rivela una lettura imprescindibile per tutti coloro che desiderino avvicinarsi alla questione della scrittura, e della scrittura autobiografica in particolare, nell’opera di Rousseau. Nonostante alcune delle tesi in essa contenute appaiano oggi certamente più scontate e meno originali rispetto a trent’anni fa (si pensi al valore filosofico attribuito agli scritti autobiografici o al legame inscindibile tra la riflessione politica e l’intimismo), l’Alchimia del segno resta ancora di estrema utilità sia per la lezione metodologica veicolata (che può essere condivisa o meno), sia per la capacità di mostrare, oggi con la stessa efficacia di ieri, come la scrittura del Ginevrino sia cifra e traccia della complessità reale della soggettività moderna – aiutandoci così a cogliere, ancora una volta, l’attualità, preziosa e sconcertante, del pensiero di Rousseau.


Indice

Parte prima: Una storia filosofica della coscienza moderna. Rousseau dopo Rousseau
1. Le passioni dell’Io: perché Rousseau

Parte seconda: Rousseau écrivain. Filosofia, linguaggio, scrittura
1. La plume di Rousseau. Le tracce dell’io

Parte terza: Rousseau secondo Jean-Jacques. L’autobiografia e la produzione simbolica dell’immaginario: i problemi di scrittura di Rousseau e la scrittura come problema di Jean-Jacques
1. Filosofia, vita e autobiografia. Rousseau “homme de plume” e il carattere tragico dell’identità moderna

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