mercoledì 21 maggio 2014

Bagnoli, Carla (a cura di), Che fare? Nuove prospettive filosofiche sull’azione

Roma, Carocci, 2013, pp. 207, euro 17, ISBN 9788843070145.

Recensione di Gianluca Verrucci - 15/04/2014

A dispetto del titolo, che sembra presagire lo svolgimento di un tema più ampio di quello trattato, il volume è dedicato per intero al costruttivismo etico contemporaneo, e si distingue per essere la prima raccolta di contributi degli specialisti italiani più autorevoli. Fa eccezione il fondamentale e controverso saggio di Christine Korsgaard sulla diatriba tra realismo e costruttivismo presentato per la prima volta in italiano nella traduzione di Carla Bagnoli e Luca Zanetti.

L’introduzione di Carla Bagnoli che apre il volume è un vero e proprio saggio analitico che ripercorre gli sviluppi del costruttivismo, da quelli meno recenti fino ad oggi, insistendo in particolare sulle potenzialità, i nodi da sciogliere e le declinazioni del costruttivismo kantiano. I punti critici individuati si trovano alle intersezioni tra giustificazione realista della normatività, ruolo della psicologia morale e appetibilità metaetica del costruttivismo. Per farsi valere come teoria distinta dal realismo, per esempio, il costruttivismo kantiano non deve soltanto sviluppare una giustificazione davvero alternativa, che non poggi cioè su requisiti nascostamente realisti, ma deve anche disporre di una psicologia morale credibile. I dubbi sulla collocazione metaetica della proposta derivano almeno in parte proprio dal rifiuto di concepire l’etica filosofica soltanto nei termini dell’analisi semantico-concettuale.
A questo proposito, i rilievi di Christine Korsgaard sono assai significativi. Confrontandosi con il pensiero di Kant, Rawls e Williams, Korsgaard giunge a elaborare una teoria dei concetti morali che sottende una visione radicale della giustificazione etica. I concetti sarebbero non già descrizioni del mondo quanto soluzioni a problemi pratici. L’orizzonte del pratico, dell’agire e del deliberare, si sostituisce pertanto a quello epistemologico prediletto dai realisti di ogni epoca. In sede di disamina storica Korsgaard fa notare che il carattere soltanto polemico e conservatore del realismo, esibito tuttora nei confronti delle posizioni non-cognitiviste, ha avuto la sua origine nel tentativo di opporsi a scetticismo e relativismo pur mancando di una spiegazione davvero soddisfacente del perché i concetti morali sono veri. Alla spiegazione realista, che sostanzialmente si riduce a un atto di fede nel darsi epistemico delle verità morali, sfugge il ruolo svolto dall’agente, che è soggetto pratico che delibera e sceglie. Il mancato apprezzamento della dimensione pratica della ragione e dell’agire costringe pertanto il realismo nei confini angusti del dogmatismo. Il costruttivismo offrirebbe invece una via d’uscita nella misura in cui è capace di rappresentare meglio il fenomeno normativo collegandolo alla partecipazione attiva dell’agente e alle strutture oggettive della ragione pratica. Pensato in questi termini, il costruttivismo kantiano sarebbe in grado di rappresentare l’oggettività delle prescrizioni morali senza rinunciare al naturalismo e senza doversi appellare a misteriose vie d’accesso epistemiche a sedicenti fatti morali indipendenti. 
Di particolare interesse è il saggio di Stefano Bacin dedicato interamente a Kant e alla legittimità di una lettura costruttivista del suo pensiero morale. Il tema è cruciale perché è evidente che gran parte delle incomprensioni che si accalcano attorno alla diatriba realismo-costruttivismo dipendono in larga misura dal fatto che la posizione di Kant “eccede i limiti di qualsiasi opzione teorica rappresentata nel dibattito attuale” (p. 103). Per un verso Kant può certo dirsi costruttivista. Egli afferma, infatti, che la volontà è autrice dell’obbligatorietà della legge morale, per cui si potrebbe parlare di costruzione dell’obbligatorietà delle prescrizioni: il soggetto razionale partecipa attivamente alla legislazione e ne accetta nello stesso tempo l’autorità. Tuttavia, per altro verso, l’operatività pratica della ragione legislatrice non costruisce la legge morale che è invece principio costitutivo della volontà. In conclusione, “Nel caso di Kant, perciò, ‘costruttivismo’ non può significare una tesi secondo cui i criteri morali vengono posti ex-nihilo; non si tratta di un costruttivismo integrale o all the way down” (p. 114).
Nel terzo saggio della raccolta, Carla Bagnoli ritorna sul costruttivismo kantiano ma enfatizzando questa volta la prospettiva dell’agente e il tema dell’auto-rappresentazione. Nel giudizio sul costruttivismo è stato spesso sottovalutato il profilo psicologico dell’agente che ha, invece, “un ruolo centrale nella costruzione perché è il criterio con cui si sceglie il modo della costruzione. Come si costruisce? Secondo quella modalità che esprime e promuove l’identità razionale (rational agency) dell’agente” (p. 138). Tale identità, espressa da Rawls nella formula della persona morale libera ed eguale dotata dei due poteri del ragionevole e del razionale, non è una base assoluta che presuppone una giustificazione realista, ma quella che esprime meglio la concezione condivisa dell’identità razionale. L’auto-rappresentazione dell’agente diviene pertanto un requisito centrale nella definizione della procedura di universalizzazione poiché ne rappresenta la struttura costitutiva originaria. “L’ipotesi è che per intraprendere qualsiasi decisione e, prima ancora, per impegnarsi nel ragionamento pratico, dobbiamo rappresentarci come liberi da impedimenti e coercizione, capaci di agire secondo ragioni.” (p. 138). L’auto-rappresentazione, secondo Bagnoli, ha dunque un valore sia pratico, perché implica l’adozione di un punto di vista aperto al rispetto di sé e degli altri, quanto epistemico, in quanto è vincolo costitutivo del processo di formulazione e scambio di ragioni. In tal modo, il costruttivismo kantiano, pur proponendosi come alternativa allo scetticismo non intende eliminare il disaccordo quanto dimostrarne la necessità qualora sia fondato su ragioni in principio condivisibili da tutti.
Michele Bocchiola propone una riflessione sul significato dell’oggettività nel costruttivismo domandandosi se vi siano risorse per evitare di pensare la procedura di costruzione nei termini di una mera idealizzazione di atteggiamenti soggettivi. I costruttivisti, da Rawls in poi, hanno insistito sul fatto che sia la procedura di costruzione a decidere cosa conta come ragione, e dunque come fatto morale, a fronte di un mondo privo di una propria autonoma consistenza assiologica. L’obiezione più corrosiva sollevata dai realisti è ripresa dal famoso locus socratico di Eutifrone: o le considerazioni sulla base delle quali si definisce la procedura sono morali, oppure sono non morali. Nel primo caso, la moralità è semplicemente presupposta, nel secondo non può essere in alcun modo recuperata a partire da meri elementi fattuali. Bocchiola fa notare che l’oggettività è un requisito centrale della fenomenologia morale ordinaria che i costruttivisti non intendono affatto disconoscere. La procedura produrrebbe fatti morali oggettivi non perché già gravata da presupposti di tipo sostantivo, ma perché rappresenterebbe il punto di vista pratico di agenti impegnati a giudicare sulla base di criteri la cui accettabilità è condivisa, almeno in linea di principio da tutti, e prescinde da elementi meramente idiosincratici quali sono credenze, desideri o preferenze personali. Avvalendosi di una nozione di giustificazione come invarianza rispetto agli atteggiamenti soggettivi, il costruttivismo potrebbe sfuggire alle secche del soggettivismo e riconciliare naturalismo e oggettivismo del valore.
L’ultimo saggio di Lara Valentini e Miriam Ronzoni sviluppa un’interessante riflessione sul rapporto tra giustificazione costruttivista e funzione delle intuizioni (il saggio appare nella traduzione di Enrico Zoffoli). La tesi proposta è che il costruttivismo non può fare a meno dell’intuizionismo. La battaglia contro l’intuizionismo, intrapresa per la prima volta da Rawls nel famoso saggio del 1980 sul costruttivismo kantiano, è destinata, infatti, all’insuccesso. Se è vero che le intuizioni non possono provvedere alcuna giustificazione ultimativa della moralità, è però altrettanto vero che i criteri di giustificabilità intersoggettiva incorporati nella procedura rimangono, senza intuizioni, irrimediabilmente troppo astratti e formali; nella migliore delle ipotesi è giocoforza per i costruttivisti ricorrere surrettiziamente alle intuizioni una volta che si tratti di decidere come guidare effettivamente il comportamento. La soluzione avanzata dalle autrici è di conciliare costruttivismo e intuizionismo mediante equilibrio riflessivo. Soltanto un approccio integrato potrebbe da un lato evitare l’astrattezza della procedura e, dall’altro, il condizionamento di pregiudizi sociali radicati. È infatti nel giusto bilanciamento tra requisiti ipotetici, per lo più formali e astratti, e giudizi provenienti dalle reali e concrete circostanze della vita reale che si può intravvedere una soluzione al problema della giustificazione.
In conclusione, il volume è altamente consigliato sia agli esperti dell’argomento che a chi voglia farsi un’idea generale del costruttivismo e delle problematiche che l’attraversano.  


Indice

Introduzione (Carla Bagnoli)

I. Realismo e costruttivismo nella filosofia morale del XX secolo (Christine Korsgaard)

II. Kant: ragioni e limiti del costruttivismo morale (Stefano Bacin)

III. Il ruolo epistemico delle norme costitutive (Carla Bagnoli)

IV. Il costruttivismo morale e il problema dell’oggettività (Michele Bocchiola)

V. Costruttivismo e intuizioni morali: un approccio integrato (Miriam Ronzoni e Laura Valentini)

Conclusione

Bibliografia

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