venerdì 26 settembre 2014

Maffettone, Sebastiano, Un mondo migliore. Giustizia Globale tra Leviatano e Cosmopoli

Roma, Luiss University Press, 2013, pp. 213, euro 17, ISBN 978-88-6105-1843.

Recensione di Antonella Ferraris - 25/05/2014

Il nuovo lavoro di Sebastiano Maffettone, che raccoglie e amplia materiale in parte già pubblicato altrove, è un interessante sviluppo delle teorie della giustizia di cui il filosofo italiano è un importante  esponente. Le questioni di giustizia che normalmente si intendono in campo distributivo all’interno di uno stato nazionale, vengono applicate, come già fece Rawls in Liberalismo politico (1994), alle questioni inerenti alle relazioni internazionali.

Nell’ambito del diritto, la giustizia viene identificata solitamente con questioni inerenti allo stato nazionale, sia dal punto di vista distributivo, sia da quello dell’applicazione del diritto civile e penale: che esista qualcosa di simile al di fuori dei confini nazionali appare per lo meno problematico. Nell’ambito del liberalismo politico di matrice rawlsiana, che costituisce la matrice filosofica dell’esame di Maffettone, invece, la necessità di una giustizia globale, di cui anche intuitivamente si sente il bisogno, viene affrontata nell’alveo della questione dei diritti e dei principi.
Il libro inizia con un capitolo  introduttivo della teoria della giustizia di Rawls e alle principali visioni che si oppongono ad essa: il libertarismo di Nozick, la teoria del capability approach di Sen, il risorsismo di Dworkin, le questioni relative al riconoscimento e all’identità culturale, con le obiezioni  sostenute dai comunitaristi (Sandel) e anche dal femminismo radicale (Butler, ma anche Nussbaum, in modo però molto più sfumato, sostengono la sostanziale incompatibilità della filosofia di Rawls con le questioni di genere). Una delle obiezioni più note alla teoria della giustizia rawlsiana è sicuramente legata alla presunta astrattezza (eccessiva) dei due principi di giustizia. Derrida, quando decostruisce la nozione di giustizia, ammette che dietro ogni fondazione di legalità giuridica c’è un fatto, o un atto di forza, e in questo in realtà non c’è nulla di immorale. Va tenuto conto di ciò negli approcci “postcoloniali“ alla giustizia, in cui l’universalismo dei principi della tradizione occidentale si scontra con la specificità culturale delle singole culture: esso è più facilmente conciliabile con la tradizione indiana, molto meno con quella islamica  per il suo rapporto con il Corano, o con quella confuciana cinese.
Quando si affronta la questione della giustizia globale in modo teoretico, non si può non notare come questa, a torto o a ragione, sia considerata un’estensione dello stesso tema in ambito statale. Ogni filosofo della politica del passato, remoto o recente, ha trasferito nell’ambito delle relazioni internazionali il suo proprio approccio statale: sia Kant sia Hegel, ciascuno nell’ambito di una differente concezione dello stato, sono concordi nell’affermare che al di fuori di esso non ci può essere vera giustizia. Nel ventesimo secolo, invece, all’interno di varie e differenti prospettive politiche, resta fondamentale, secondo Maffettone, il contrasto tra approccio realista e approccio idealista alle Relazioni Internazionali (la somiglianza lessicale nasconde tuttavia una differenza teorica tra filosofia politica e studio delle relazioni internazionali) Maffettone specifica subito che è sua intenzione criticare entrambi gli approcci, cercando una “terza via” che possa mediare rispetto ad entrambi. Secondo l’autore, una teoria delle Relazioni internazionali deve soddisfare due criteri fondamentali: essere plausibile sul piano della descrizione, ossia assicurare una descrizione dei fatti che alla luce della teoria stessa li renda più comprensibili, ed essere adeguata sul piano normativo, ossia assicurare un sistema di valori di giustizia e stabilità capace di indicare una direzione di sviluppo. Nessuno dei due approcci fondamentali soddisfa entrambe le condizioni.
Il realismo politico nelle relazioni internazionali nasce come reazione al periodo di incertezza seguito alla fine della Prima Guerra Mondiale ad opera di Morghentau e Carr e si oppone all’ideale utopico del presidente degli Stati Uniti Wilson; diventa la visione predominante soprattutto a partire dal 1939. Si tratta di una visione neutralistica sul piano dei valori, che si basa sul rifiuto dell’idealismo dei valori e assume una evidente prospettiva statista: gli stati sono i soli attori nelle relazioni internazionali e le controversie che possono nascere sono in ultima analisi decise dalla capacità degli stati di usare la forza. Proprio questa pretesa neutralità normativa (molto più sfumata per la verità negli epigoni più recenti), unita alla odierna interdipendenza anche economica degli  stati nel mondo attuale, rendono la posizione del realismo politico piuttosto limitata. Specularmente la critica principale all’approccio realistico proviene dalla visione “idealistica”, termine generico che sovente nell’ultimo periodo è stato sostituito da liberalismo e da cosmopolitismo (né idealismo, né liberalismo sono qui da intendersi secondo il consueto significato filosofico). In sintesi l’approccio idealistico è un complesso di teorie che comprendono il moralismo, l’utopismo, la rivoluzione sociale, il liberalismo. Spesso gli oppositori più accaniti del realismo sono teologi come Murray. L’alternativa più consistente al realismo è l’approccio kantiano, che riguarda in particolare il rapporto tra cittadini e Stato e il cosmopolitismo. Per Kant non tutti gli stati sono uguali: le relazioni internazionali che devono condurre al regno dei fini sono possibili solo tra stati “giusti”, che per il filosofo di Königsberg significa repubblicano. Ciò restituisce agli individui all’interno degli stati il loro ruolo, cercando un equilibrio tra cittadini e stato. Una revisione  e al tempo stesso un approfondimento dell’approccio kantiano in funzione liberal-democratica è costituita dalla teoria di John Rawls. La filosofia di Rawls, ormai classica all’interno della filosofia politica del XX secolo si basa sull’assunzione di principi di giustizia all’interno dello stato, ma può essere applicata anche alle relazioni internazionali, seppur su scala per così dire ridotta. Una delle ultime opere del filosofo americano, The Laws of Peoples,  cerca di dimostrare come sia possibile una società mondiale di popoli liberi. La teoria di Rawls, sostanzialmente un’estensione del contrattualismo, si applica ai popoli liberali e a quelli “decenti”, strutturati gerarchicamente, ma provvisti di strutture di consultazione popolare con le quali i cittadini possono partecipare alle decisioni pubbliche; Rawls usa il concetto di popolo e non di stato come nella teoria realistica classica, perché popolo consente di considerare non solo gli aspetti giuridici, ma anche quelli morali e culturali. Per determinare il contenuto del diritto dei popoli, Rawls utilizza in modo esteso il concetto di posizione originaria e anziché due principi di giustizia all’interno di uno stato, introduce, quale base della deliberazione otto elementi di giustizia internazionale scelti dalle parti (ossia dai rappresentanti dei popoli): libertà e indipendenza dei popoli, rispetto dei trattati, eguaglianza tra i popoli, dovere di non intervento, diritto di autodifesa, rispetto dei diritti umani, restrizioni all’uso della guerra, aiuto a quei popoli in condizioni più sfortunate che non possono ancora far parte ella società dei popoli. La teoria di Rawls si colloca a metà strada tra realismo e idealismo e ha sollevato critiche e discussioni soprattutto per la questione dei diritti umani. una delle condizioni poste dalla situazione originaria, che, il rispetto dovuto alle differenze culturali, è costituito da un elenco molto corto, che lascia fuori alcuni aspetti, come il diritto all’espressione, e alla partecipazione, che avremmo pensato essere molto importanti. In realtà, anche qui si tratta di quel principio di “massimo del minimo” che rende possibile un criterio di inclusione. (Verificare l’intero periodo) Il problema sollevato dai critici di Rawls riguarda la prevalenza dello stato: se l’approccio di Rawls parte sempre da una concezione di base della giustizia, questa prevede comunque la presenza di una struttura istituzionale o stato. 
Allora quali soluzioni alla questione della giustizia globale vi possono essere? Il capitolo quarto segna la transizione verso questioni di giustizia globale, che in questo caso è concepita come giustizia distributiva. Maffettone discute cosmopolitismo e statismo in relazione alla giustizia globale, ossia i rapporti tra individui e stati. In una comunità politica, secondo diversi autori tra cui Thomas Nagel, i cittadini sono autori delle leggi, il che non avviene a livello globale. Anche molte istituzioni come le Nazioni unite si sforzano di generare forme di governance generale. Il tessuto connettivo di una politica cosmopolita consiste nel considerare il dovere di giustizia come un dovere necessario al “poter dirsi uomini”, un diritto naturale, quello di sussistenza, assolutamente irrinunciabile. La posizione di Maffettone, che si delinea in seguito, si colloca all’incirca in modo intermedio rispetto alle altre due, e viene denominata gradualista, e ruota intorno al concetto di sufficienza, che si raggiunge diminuendo la povertà estrema per garantire con il tempo la piena autosufficienza. Questo è un ideale debole di giustizia globale: né moralistico, né neutrale. La concezione di Maffettone risponde anche a questioni di carattere generale relative al dovere naturale di giustizia, pur senza aderire ad una soluzione monistica come quella di Nagel. Con dovere naturale di giustizia si intendono quei diritti fondamentali, inclusi i diritti socioeconomici fondamentali, senza i quali non è possibile esercitare le proprie funzioni di essere umano. 
La seconda parte, con uno scarto abbastanza significativo, affronta le questioni più  effettivamente culturali nella concezione rawlsiana da cui Maffettone parte e in particolare i rapporti tra politica e religione. Sintetizzando notevolmente la discussione, che il filosofo italiano espone in maniera ampia, Rawls in Liberalismo politico adotta una concezione democratica pluralista che supera la tradizionale concezione liberale che fa della religione un fatto esclusivamente privato. I due concetti di consenso per intersezione e ragione pubblica sono lo sfondo teoretico dell’idea di rispetto reciproco, secondo cui ogni cittadino, quando fa riferimento alle proprie ragioni comprensive, deve tenere conto di ciò che gli altri possono ragionevolmente comprendere. Ciò permette anche alle persone religiose di accettare un’etica pubblica condivisa: un’idea, quella di Rawls, che supera anche le obiezione mosse da parecchi filosofi (celebre è il dibattito con Habermas di cui il libro dà conto) e che costituisce un eccellente spunto di riflessione per i filosofi contemporanei, che si confrontano con l’evidente crisi del modello multiculturale, sia dal punto di vista teorico sia da quello politico come dimostrano le recenti prese di posizione di capi di governo europei in Gran Bretagna, Francia e Germania.  Maffettone nota  come dopo il 2001 sono mutati anche profondamente i rapporti con le minoranze arabe musulmane, rapporti mai veramente facili o pacificati; dopo gli attentati di Al Qaeda il livello di multiculturalismo in Europa ha iniziato a diminuire e con esso è iniziato il ripensamento teoretico. 
 La teoria multiculturalista più esaustiva è quella di Will Kymlicka, il multiculturalismo liberale. Basandosi su questa, Maffettone elabora tre livelli di liberal democrazia: 1) un livello minimale (che europei e musulmani possono in larga parte condividere) 2) una liberal democrazia di tipo occidentale, 3) il pluralismo. I conflitti emergono quando si passa dal livello 1) a quelli successivi, perché nella maggior parte dei paesi arabi esiste ancora un deficit democratico a volte anche grave. In altre parole, ciò che le società occidentali temono è che gli immigrati musulmani violino il loro sistema di diritti che è connesso con una ragione pubblica forte.  Una concezione liberale in cui lo stato negozia con le minoranze una inclusione basata sulla accettazione di certe regole del gioco è possibile, ma secondo molti non è esportabile al di fuori del contesto storico culturale che l’ha creata, ossia il mondo occidentale. Il multiculturalismo liberale è stato criticato in maniera approfondita e da diversi punti di vista, e Kymlicka, successivamente ne ha fornito una versione “corretta”, basata sulla non essenzialità dei riferimenti culturali, e sulla convinzione delle capacità di adattamento e trasformazione delle identità individuali; così considera importante, a differenza del liberalismo classico,la questione delle culture e agisce in uno sfondo che riconosce determinanti certi diritti democratici (come ad esempio il rifiuto dei matrimoni forzati). Il Multiculturalismo liberale fallisce, come riconosce lo stesso Kymlicka, di fronte a minoranze riluttanti ad integrarsi come talvolta accade con i gruppi islamici. La personale critica di Maffettone al multiculturalismo liberale prende le mosse da una critica che riguarda proprio un aspetto che Kymlicka rifiuta, ossia l’essenzialismo. L’argomento di Maffettone prende le mosse da due temi spesso non considerati ossia il perfezionismo liberale e il cosiddetto argomento del luck egalitarianism (egualitarismo della sorte). Nel primo caso, una visione forte dell’autonomia personale non si concilia con una concezione altrettanto forte della vita buona cercando di conciliare la politica con le etiche regionali. Per Maffettone è preferibile il Liberalismo multiculturale dove esiste una visione forte della ragione pubblica, corrispondente a quella della maggior parte delle democrazie occidentali, all’interno della quale si può negoziare per comprendere le varie culture. L’argomento della ”sorte” ha un’origine rawlsiana, quella della lotteria naturale che ci colloca in un contesto sociale particolare; allo stesso modo, appartenere ad una minoranza culturale non è frutto di una scelta (una decisione), ma di una circostanza; Rawls tuttavia può essere criticato dagli “egualitaristi della sorte” proprio per non aver adeguatamente compensato questo tipo di diseguaglianze (il caso dei disabili è il più rilevante, ma anche le differenze culturali lo sono). Anche qui il liberalismo multiculturale si rivela meglio attrezzato a favorire la comprensione e la compensazione, non solo nelle società occidentali, ma anche in quelle arabe, perché fornisce una piattaforma di diritti fondamentali da cui è possibile partire per riconoscere uno status alle minoranze all’interno di uno stato liberal democratico: ad esempio la libertà religiosa, la non discriminazione, la difesa del linguaggio e una parziale autonomia amministrativa; il tutto partendo da alcuni prerequisiti irrinunciabili della democrazia, come la garanzia della sicurezza sociale, la lealtà costituzionale e il rispetto dell’autonomia dell’individuo. 
Il capitolo conclusivo affronta il tema della cultura postcoloniale nell’ambito della prospettiva del liberalismo multiculturale. Il postcolonialismo nelle sue varie anime, facendo propria la critica all’egemonia culturale eurocentrica, si basa su una metateoria che manca per lo meno di obiettività. Secondo Maffettone, anche in questo caso una opzione rawlsiana potrebbe fornire una base per salvare il localismo, le religioni e le tradizioni e consente di ritenere ingiusta la subalternità culturale dei colonizzati. 
Al termine dell’esame di questo densissimo libro appaiono evidenti due cose: che, come afferma all’inizio il filosofo italiano, considerando le relazioni internazionali qui non ci si riferisce alla prassi politica, ma ai suoi fondamenti filosofici. Il tentativo di costruire una teoria politica della giustizia globale, come quella di Rawls lo è della giustizia sociale, andando oltre ed adattando ad un mutato contesto l’idea di consenso per intersezione di Liberalismo politico. Il volume costituisce un progetto ambizioso, non ancora del tutto perfezionato - la maggior parte del libro è dedicato all’analisi e alla confutazione delle teorie critiche - ma non per questo meno interessante.


Indice

Prefazione
Introduzione
Giustizia
Da Giustizia a giustizia globale
Dovere universale e giustizia globale
Ragione pubblica, sfera pubblica e pluralismo culturale
Liberalismo e multiculturalismo
Liberalismo multiculturale e postcolonialismo

3 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Da titolo ed indice di opera recensita si deduce pensiero e scopo del pensiero assai più ampi da parte di autore di stessa opera.
La riflessione di Hobbes contenuta nel "Leviatano" e le antiche meditazioni ad origine della idea di cosmopolitismo compongono scenario intellettuale immenso determinato da considerazioni di assoluta inoppugnabile necessità politica e spontanea insindacabile libertà di politica; ciò corrispondendo ai bisogni ecologici contemporanei, che non possono esser soddisfatti senza politica armonia di intenti che deve esser priva di eteronoma autorità e non priva di forte autorità.
Entro tal immensità però la necessità di una globale giustizia, quale dato di intuizione inevitabile ma pure quale intellettualizzazione che scaturiscono dal percepire direttamente od indirettamente penuria di vita ed eccessi di morte, compone possibili scenari particolari, deducibili da non generalità; da qui la pertinenza del riferimento ad essenzialità e non essenzialità, questa colta con efficacia dal recensore nonostante suo quadro non ampio e in stessa opera recensita considerata e valutata e riferita.
Centrale si mostra dunque concettualità: di intermediazione, quale tramite per raggiungimento; e di intersezione, quale sistema per la risoluzione; concettualità che verte intorno a distinzioni non esclusive od esclusive: Europa, Occidente, non Occidente; colonialismo, postcolonialismo, excolonialismo; colonie, non colonia. Entro questo schema unico realmente valido si trovano collocate schematizzazioni di distinzioni soltanto relativamente validabili: società occidentale, società araba; multiculturalismo, uniculturalismo; e tutto ciò è fatto inerire alla globalità, non solo secondo sentimento di comune destino umano da cui scaturisce bisogno immediato di giustizia ma pure secondo pensiero della situazione politica mondiale, di cui parte è operato di Organizzazione di Nazioni Unite; e da tal inerenza derivano e sono espresse identità, centralmente le identità nazionali, non centralmente le identità locali; e ciò sarebbe realtà insufficiente per una ragione filosofica globale se non vi fosse nelle premesse maggiori ai ragionamenti una combinazione del tutto rilevante, tra 'urgere' di politiche necessità e 'premere' di politica libertà (espressa in titolo di opera medesima).
Ma quali scenari particolari, di che tipo, entro quali accadimenti? ...

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

...Quali scenari particolari, di che tipo, entro quali accadimenti?

Il fenomeno delle migrazioni, di per sé ovvio e senza bisogno di filosofica globale ricerca, tale non è in riferimento alle circostanze: i mezzi di spostamento e le vie degli spostamenti — in America è nota la questione dei confini messicani settentrionali, in Europa la questione delle zone confinali continentali meridionali. Eppure questo fenomeno non accade sol esso, perché in contiguità con corrispondenti fenomeni locali, del viaggiare entro o tra propri luoghi, fenomeni non insignificanti perché le questioni migratorie vertono su mezzi e vie di spostamento o altrimenti ve ne sarebbe nient'altro che ordinaria gestione. Difatti si pongono interrogativi su modalità di arrivo dei migranti anche in relazione a modalità di viaggio dei non migranti, ovviamente ciò dipendendo dallo stare e dal non restare, dall'andare e tornare, dall'andare, sia di non migranti che di migranti; tantoché in Italia esiste il problema degli arrivi sconosciuti via mare anche in forza di natanti e rotte e relative possibilità; perché se gli arrivi accadessero omologamente anche se non conformemente a viaggi autoctoni allora non esisterebbe problema da risolvere ma solo difficoltà da superare, variamente o non variamente (ugualmente, non stessamente, accade in meridione di Stati Uniti, coi migranti da Sud, via terra). Codeste questioni, inerenti differenze di mezzi e di vie, son da risolvere in forza di modalità e casualità di stessi viaggi interni, le quali dipendono direttamente da necessità di ordine naturale, dei Paesi stessi oggetto di arrivi migratori umani. Ordunque non è allarme arbitrario ma istintivo quello che si percepisce in isole atlantiche europee o di Europa o a Gibilterra e nei suoi pressi spagnoli od in acque francesi o sulle coste sarde e siciliane od in altre isole italiane, maltesi, greche, turche europee oppure turche eurasiatiche (ugualmente nessun arbitrario allarme ai confini statunitensi col messico); codesto allarme in fattispecie non ponendo in questione modalità fondamentali interne di spostamento epperò queste costituendo dimostrazione evidente e non sempre facilmente evidente di alterità di condizioni ambientali con conseguenti esterne incompatibilità, che rendono necessari controlli ed eventuali difese, che perciò non sono opinabili: non si può infatti importare da Africa in Europa concezione di viaggi tecnologici, datoché la natura africana consente minor utilità tecnologica invece la natura europea non solo ne consente di maggiore ma ne motiva direttamente; perciò non si posson accettare arrivi tecnologicamente precari da Africa né sono accettabili né tollerabili modalità di viaggio tecnologicamente precarie in Europa importate da Sud del mondo o modellate in base ad esempi dal Sud del mondo.
Dunque la vastissima astrazione filosofica in tal caso è volta anche a particolarissime applicazioni politiche, aiutando anche nel riconoscimento dei non doveri della identità ed appartenenza e dei non diritti della non identità e non appartenenza, evitando che menzione del diritto possa esser solo teorica o praticamente insufficiente, di successo secondario non nullo ma primariamente nullo o persino nullificante stesso secondario. Nelle fattispecie da me menzionate non casualmente né pretestuosamente ciò cosa implica? ...

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Nelle fattispecie da me menzionate non casualmente né pretestuosamente ciò implica:

una filosofia del diritto che consenta discrezione legislativa e difesa delle giuste norme attraverso miglior rigoroso riconoscimento del limite di applicazione di stesse norme, anche di tecnologica navigazione via mare e di tecnologico spostamento via terra;
una filosofia politica che consenta miglior rigorosa individuazione di incompatibili estraneità, anche di tecnologica navigazione via mare e di tecnologico spostamento via terra.
In particolare, queste implicazioni sono atte a mostrare reali circostanze di invadenze, fossero pure secolari, di pratiche e consuetudini in realtà sconvenienti ad Europa, quali:
uso minatorio di eliche o convogliatori in mare;
abuso — contro altri oppure contro sé anche — inibitorio di ciclomotori e distruttivo di trasporti pesanti.
Parimenti le implicazioni mostrerebbero maggior validità di quanto già riconosciuto di:
navigazione a vela, anche mista vela/motore o vela-motore;
motociclismo.
Gli esempi addotti non sono ovviamente tutti, eppure senza esempi resta impossibile comprendere non essenzialità ed essenzialità di questioni e problemi da opportuna integrazione filosofica teoretica compiuta da autore S. Maffettone aperte a comprensioni ulteriori e non solo filosofiche; infatti per trovarne finalmente utilità (siamo adesso in anno 2019 (d. C.), recensione di A. Ferraris risale ad anno 2014 ed opera recensita ad anno 2013), non è possibile riferimento essenziale-post-esistenziale senza accludervi, tramite esempi riscontrabili non eccezionalmente ed eccezionalmente pure, riferimento ad àmbito di realtà esistentiva, cosa che io ho fatto adducendo esempi non soltanto sufficientemente inoltrativi (!) anche assai pregnanti.

(Il lettore mi consenta, tra le parentesi, nota di umorismo... :
Non si tratta di sapere se Pindaro avesse pensato particolari oggetti a due ruote moventi e semoventi, né se ne avesse pensato realtà necessariamente iniziatica, neppure se avesse capito che iniziandosi ai moventi non se ne inizia nemmeno un poco ai semoventi e che viceversa iniziandosi ai semoventi un poco se ne inizia ai moventi... Neppure si tratta, leggendo miei commenti qui già inviati, di pensare con necessità a Pindaro, il celebre poeta autore di grandi espansioni-mutazioni di pensieri, a volte filosofici —— il filosofo Eraclito nonché poeta invece era diversamente noto per le improvvise, laconiche, conchiuse affermazioni intellettuali... Entrambi i casi sono casi di ardua attività, da non disconoscere, ovviamente neppure per timori ingiustificati!)

MAURO PASTORE