mercoledì 24 settembre 2014

Dardot, Pierre, Laval, Christian, La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista

Traduzione a cura di R. Antoniucci e M. Lapenna, Prefazione di P. Napoli, Roma, DeriveApprodi, 2013, pp. 497, euro 27, ISBN 978-88-6548-082-3.

Recensione di Gabriele Schimmenti - 28/07/2014

Obbiettivo critico del saggio dei due autori francesi è quello di ridiscutere la rappresentazione del neoliberismo in quanto ideologia e politica economica basate su una concezione del mercato come sistema naturale e auto-regolantesi. Se tale concezione ritiene che lo Stato risulti essere un blocco ostile alla normatività intrinseca del sistema neoliberale, Dardot e Laval mostrano ampiamente che esso si configura da sempre quale parte attiva della realizzazione delle norme che alimentano la vita stessa del neoliberismo. 

Già Polanyi aveva d'altronde mostrato che lo Stato è indispensabile nella creazione dei meccanismi del mercato auto-regolantesi e, quindi, dei meccanismi giuridici attraverso i quali vengono mantenute le relazioni sociali interne al sistema capitalistico (p. 158). E, nondimeno, Polanyi aveva annunciato la “morte del liberalismo economico” e della sua utopia a partire dall'analisi dei totalitarismi novecenteschi. Dardot e Laval, invece, cercano di mostrare come il liberalismo economico si sia riassestato (diventando neoliberismo) e abbia assunto, peraltro, una veste specifica e una razionalità del tutto peculiare: “Il grande errore che commettono coloro che annunciano la 'morte del liberalismo' è confondere la rappresentazione ideologica che accompagna l'istituzione di politiche neoliberiste con la normatività pratica che caratterizza specificamente il neoliberismo” (p. 7). In tal senso, il neoliberismo può continuare a prevalere come sistema delle relazioni sociali e individuali. Esso assurge, dunque, a ragione globale; ciò non significa semplicemente che esso si configuri come un tipo di razionalità condivisa dagli attori dello scenario politico, bensì - più radicalmente – che prenda le vesti di una razionalità che subordina a sé tutto ciò che concerne l'esistente. La tesi dell'opera è quindi dimostrare come il neoliberismo sia non tanto un'ideologia e una politica economica, quanto una “razionalità” che tende a coinvolgere nello stesso schema sistemico le credenze e le azioni dei governanti e dei governati. Le forme di soggettivazione che da questa ragione-mondo discendono sono lucidamente rinvenute nella “concorrenza come norma di comportamento” e “l'impresa come modello di soggettivazione”. Razionalità, nei termini dei nostri autori, non è dunque il capitalismo tout court (come insieme di leggi economiche determinate), bensì la ratio immanente al capitalismo contemporaneo; il neoliberismo è foucaltianamente “l'insieme dei discorsi, delle pratiche, dei dispositivi che determinano una nuova modalità di governo degli uomini secondo il principio universale della concorrenza” (p. 9). Sono espliciti i richiami all'opera di Foucault, soprattutto delle categorie della Nascita della biopolitica quale indagine dei meccanismi statuali (“ragione governamentale”) volti a plasmare le pratiche e i comportamenti umani. Per tal motivo, sostengono Dardot e Laval, non si può parlare propriamente né di una politica neoliberista, né di una economia neoliberista, bensì di una società neoliberista, in cui il plesso economico e quello giuridico sono in una connessione tale da creare un vero e proprio sistema. Infatti, la crisi che viviamo in questi anni non è una crisi che riguarda esclusivamente il lato economico o quello giuridico, bensì è la crisi di una “modalità di governo” (p. 19), ovvero di quella governamentalità basata sulla “mercatizzazione e sulla concorrenza generalizzata” (p. 19). Nel voler tracciare la specificità del sistema neoliberista rispetto al liberismo classico, Dardot e Laval si concentrano sull'analisi delle differenze specifiche tra le teorizzazioni in questione; se il liberalismo classico aveva come tema comune quello dei limiti del governo, attraverso la discussione della separazione delle sfere pubbliche e private, il neoliberismo contemporaneo è invece caratterizzato dallo slittamento della domanda sui limiti del governo a quella su come rendere il mercato il pricipio del governo (p. 26). Partendo dalle “due vie” (ossia le due genesi parallele) al liberalismo che Foucault rinveniva nella Nascita della biopolitica (una “giuridica-deduttiva” quale quella di Locke ed una “scientifico-utilitarista” quale invece quella di Bentham), Dardot e Laval mostrano sistematicamente come la legge statale venga declinata da una parte come manifestazione della volontà comune (ad es. Rousseau) e come teorizzazione dello stato di natura e dei diritti inalienabili che esso comporta – ed è il caso dell'“assiomatismo rivoluzionario” e quindi “giuridico-deduttivo” -, dall'altra, invece, come intervento secondo il “criterio di utilità” – ed è la via del “radicalismo utilitarista”. Questa è la strada imboccata da Bentham: “la modalità del governo utilitaristica intende limitare il potere sovrano […], fondandosi non più su diritti innati e sacri, ma su quei limiti che si impongono di fatto nel momento in cui si vogliono raggiungere determinati obiettivi. Tali limiti sono stabiliti sulla base degli effetti che si cerca di produrre, e vengono determinati dall'utilità calcolabile dei provvedimenti o delle leggi sul sistema degli interessi individuali” (p. 109). E, tuttavia, lungi dall'essere Bentham, come spesso è stato dipinto, un fautore di un lassez faire radicale, egli ammette l'intervento statale nel senso di massimizzazione, secondo il principio di utilità, del benessere sociale – attraverso apparati panoptici di sicurezza e controllo. Secondo Dardot e Laval non si può parlare in Bentham di una “legge naturale” in senso smithiano che auto-regoli la felicità sociale; lo Stato ha quindi un ruolo tutt'altro che secondario nella realizzazione di tale principio di utilità: esso “mira alla gestione della vita sociale e all'educazione dei singoli soggetti, entrambe tese a renderli tutti degli efficienti calcolatori” (p. 130). Bentham quindi è il “miglior teorico di una biopolitica” (p. 128), proprio perché teorizza un governo liberale che “invece che cercare di rafforzare il suo potere sulla condotta degli individui, cerca di rafforzare il potere che ognuno di loro è in grado di esercitare sulla propria condotta, affinché ciascuno possa raggiungere il massimo di felicità di cui è capace” (p. 126). È da Bentham e dal suo riformismo in poi, quindi, che il liberalismo mostra in maniera evidente la sua contraddizione interna tra individualismo e gestione politico-riformista delle individualità agenti. Il mutamento del capitalismo e della politica di fine XIX (e inizio XX) secolo fu preavvertito già alla metà dello stesso secolo da intellettuali quali Tocqueville e Mill. Ma propriamente una radicale trasformazione si ha con Spencer, con il quale si passa da un modello di divisione del lavoro ad uno di concorrenza. Il progresso, infatti, a parere di Spencer, si realizza proprio attraverso un “concorrenzialismo sociale” privo di briglie che riproduce, fraintendendolo, un modello “selettivo” proprio del darwinismo (p. 147). È proprio il principio di concorrenza ciò che caratterizza il neoliberismo e lungi dall'essere l'intervento dello Stato accessorio, esso si configura essenziale affinché sia possibile il funzionamento del mercato: “il liberalismo non coincide totalmente con il lassez-faire, e non è affatto avverso all'intervento statale come spesso si pensa ancora oggi” (p. 161). Infatti, la distinzione attiva nel neoliberismo non è tanto quella tra Stato e non-Stato nella regolamentazione del mercato, bensì va individuata nelle “diverse tipologie di intervento statale” (p. 162) tratteggiate dai teorici. Infatti, per utilizzare una formula ad effetto, se quello che Dardot e Laval definiscono “nuovo liberalismo” (Keynes) intende lo Stato come freno del lassez-faire, il “neoliberalismo” invece lo intende, in un certo senso, come propulsore. Detto altrimenti, i secondi non rifiutano lo Stato tout court, bensì “si oppongono a qualunque azione di intralcio al gioco economico della concorrenza tra interessi privati” (p. 164), cioè il mercato non deve essere limitato attraverso correttivi, bensì sviluppare le regole del gioco (il “codice della strada” di Hayek) del mercato. La “nuova ragione del mondo” subentra proprio in questo passaggio epocale che i due Autori rinvengono nella transizione da un liberismo in cui il mercato si basa sullo “scambio” ad uno basato sulla “concorrenza” (p. 147); infatti, “mentre lo scambio funziona secondo un principio di equivalenza, la concorrenza implica necessariamente la diseguaglianza” (p. 210), concependo spencerianamente il progresso storico come sviluppo ad ogni livello del principio di concorrenza. Ciò comporta l'ammissione di una diseguaglianza sociale immutabile secondo la quale si producono nella società contemporanea “necessariamente dei vincitori e dei vinti” (p. 149). I due Autori rinvengono l'accumulazione teorica originaria del “neoliberalismo” nel convegno Walter Lippmann del 1938, in cui scuole diverse dovettero fare i conti con quella crisi interna del pensiero liberale classico di cui si è detto in precedenza. Il conflitto tra scuole teoriche ortodosse ed eterodosse ha riproposto in maniera evidente la tensione già presente tra Spencer e Bentham. Interventismo statale o meno, la ridefinizione delle teorie in campo non solo riproponeva l'inserimento della macchina statale all'interno del plesso delle strutture economiche, ma ne mostrava la necessità. Attraverso la ridefinizione del liberalismo operato dagli ordoliberali e da von Mises ed Hayek, la nuova razionalità del mondo vede come caratteristiche precipue da una parte quel carattere concorrenziale e dall'altra quella dell'“uomo imprenditoriale”. 
Alla terza parte del saggio viene propriamente demandata la teorizzazione della nuova razionalità. La nuova razionalità, sostengono Dardot e Laval, può essere rinvenuta nella funzione disciplinare che le politiche europee di fine millenio hanno adottato. Tale processo – o “strategia”, come la chiamano gli Autori riecheggiando il senso datole da Foucault ne Il soggetto e il potere –, lungi dall'arrivare “come un colpo di pistola”, avviene attraverso una scansione delle pratiche che permettono la creazione di una vera e propria razionalità come di un sistema dell'evidenza al di fuori del quale è difficile pensare ed agire (in un senso peraltro non lontano dalla concezione althusseriana di ideologia). Il libero mercato demanda la gestione, la “governance” (cap. 12), sulle regole della concorrenza proprio allo Stato, che diviene un attore privato tra attori privati, smantellando peraltro sistematicamente la socialità insita nelle pratiche comuni (cap. 10). Nondimeno, la nuova ragione del mondo non potendo essere solo un regime esterno, deve irregimentare la soggettività attraverso se stessa. La soggettività diviene, quindi, “soggettività imprenditoriale”, o “neo-soggetto” (p. 453). Essa si adatta dall'interno al sistema sviluppato della concorrenza e tende all'investimento di se stessa come se si trattasse di un capitale; in altri termini, ciascuno diviene il suo proprio capitale. Ciò comporta che vengano rinvenuti nei meccanismi dell'impresa e della concorrenza, dei meccanismi naturali della soggettività: rischio, rendicontabilità, investimento, impresa di sé divengono le categorie con cui la nuova soggettività si esplica. Come resistere a questo tipo di soggettività normativa e normata, con questo tipo di condotta auto-evidente? A parere di Dardot e Laval, la possibilità di uscire da tale razionalità è di nuovo con Foucault. Attraverso pratiche di “contro-condotta” (p. 489) che non siano meramente “negative”, ma che riescano a porre una condotta del differente, di una nuova e “altra” ragione del mondo.
Oltre alla monumentale e ammirabile ricostruzione della “razionalità neoliberista” che Dardot e Laval ci propongono, non può essere sottaciuta l'importanza della pubblicazione in Italia di quest'opera. Oltre a coniugare competenza e approfondimento concettuale di spicco, La nuova ragione del mondo ci offre un quadro meticoloso e dinamico delle categorie del neoliberismo e propone finalmente delle categorie storiche e generali della “razionalità” e della “soggettività” in cui, volente o nolente, siamo immersi.  


Indice

Prefazione di Paolo Napoli

Introduzione all'edizione italiana

Prima parte. Dei limiti del governo

1. Meccanica sociale e razionalità degli interessi
2. Progresso della storia e uniformità della natura umana
3. I diritti dell'individuo come limite del governo
4. Il governo sotto l'egida dell'autorità
5. Crisi del liberalismo e nascita del neoliberalismo  

Seconda Parte. La rifondazione intellettuale  

6. Il convegno Walter Lippmann o la reinvenzione del liberalismo 
7. L'ordoliberalismo tra «politica economica» e «politica della società»
8. L'uomo imprenditoriale 
9. Lo Stato forte come guardiano del diritto privato 

Terza parte. La nuova razionalità  

10. La grande svolta
11. Le origini ordoliberali della costruzione europea 
12. Il governo imprenditoriale 
13. La fabbrica del soggetto neoliberista  

Conclusione. Fine della democrazia liberale  

Indice analitico dei nomi

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