giovedì 29 gennaio 2015

Mazzeo, Marco, Le onde del linguaggio. Una guida alle Ricerche filosofiche di Wittgenstein

Roma, Carocci, 2013, pp. 135, euro 15, ISBN 978-88-430-7030-5

Recensione di Moira De Iaco – 14/01/2014

Il testo di Marco Mazzeo ha il pregio di riuscire nell’intento di offrire “un corpo a corpo diretto e nuovo” con le Ricerche filosofiche senza dare alcunché per scontato e senza lasciare spazio a cliché filosofici (p. 9). Lo scopo, enunciato come uno dei due obiettivi del libro, non era certo cosa facile da raggiungere, se si tiene conto delle sovrastrutture interpretative che ormai coprono la lettura, di per sé difficile, di quest’opera wittgensteiniana. Il dovere di prescindere e far prescindere da tale impianto sovrastrutturale, in modo da 

stringersi al testo e da coinvolgere il lettore in questo lavoro di avvicinamento, non può essere immaginato come un compito facile per un lettore esperto di Wittgenstein qual è di certo l’autore. Tuttavia, se non avesse navigato a lungo, sia in superficie che in profondità, Mazzeo probabilmente non sarebbe riuscito a indicare delle rotte in modo così chiaro e lucido. Tali rotte vengono tracciate all’inizio dei paragrafi attraverso la segnalazione di quelli che l’autore individua nelle Ricerche filosofiche come “paragrafi trappola”, passi particolarmente difficili da comprendere o insidiosi giacché caratterizzati da “trabocchetti o pieghe nascoste” (p. 9); o “paragrafi salvagente”, sezioni alle quali è possibile aggrapparsi per non perdersi nelle «spire argomentative di un testo che spesso a un primo sguardo (e non solo al primo) risulta labirintico, a volte indomabile» (p. 10).
Anche il secondo obiettivo, enucleato dall’autore nell’introduzione, risulta centrato: fornire una piccola cassetta degli attrezzi costituita da itinerari di lettura, segnalazioni di punti critici dell’opera wittgensteiniana, suggerimenti circa percorsi interpretativi, il tutto attraverso «esempi tratti dalla vita e dal linguaggio quotidiani» (p. 10). Il metodo scelto, quello di procedere per esempi tratti dalla quotidianità – valore aggiunto del testo –, mette pienamente in scena la lezione della filosofia di Wittgenstein. Il libro si presta, dunque, tanto al lettore principiante che voglia avvicinarsi alle Ricerche filosofiche con calma proprio come l’opera richiede, senza avere la fretta e la presunzione di voler risolvere il testo, quanto al lettore esperto al quale sarebbe sempre raccomandabile, dato il carattere costitutivamente interrogativo, aperto, indefinito, senza tesi e teorie, della prospettiva filosofica wittgensteiniana, mantenere o recuperare il “corpo a corpo” con i pensieri di Wittgenstein.
La scelta di Mazzeo di concentrarsi solo su alcuni aspetti della trattazione delle Ricerche escludendone altri, discutibile per l’accusa di parzialità a cui espone il libro, emerge come una cauta scelta funzionale al conseguimento degli obiettivi che l’autore si è preposto: essere chiaro, didattico, avvicinare il lettore al testo non interponendo sovrastrutture interpretative, mirare a fini chiarificatori senza avere la pretesa di avanzare spiegazioni esaustive, che poi è esattamente seguire e proporre l’insegnamento di Wittgenstein, il quale da tal sorta di pretesa si è sempre voluto esplicitamente tenere lontano.
Il libro si articola in tre capitoli ai quali segue, fuori numerazione, una breve ed essenziale appendice di ricognizione per argomenti (biografia e contesto, influenze/confronti, testi introduttivi, Wittgenstein politico, regole e linguaggio privato) della letteratura secondaria disponibile in italiano, riguardante Wittgenstein e alcuni sviluppi della sua filosofia.
Nel primo capitolo, intitolato Filosofia e logica (prefazione, §§ 88-133), viene detto chiaramente quel che le Ricerche, rifiutando l’idea di progresso per la filosofia, «non sono: un manuale che propone in fila una serie di risultati acquisiti che possono essere concatenati l’uno all’altro» (p. 14) e quel che esse invece sono: con le parole di Wittgenstein, “una raccolta di schizzi paesaggistici”. Quest’immagine viene descritta da Mazzeo ricorrendo a uno stringente paragone con l’uso dello schizzo nel campo artistico. Se per l’artista gli schizzi preparano l’opera (riferimento a Picasso), per Wittgenstein gli schizzi sono già l’opera che non ambisce ad assumere carattere definitivo, senza che questo implichi tuttavia assimilarli ai lavori degli impressionisti (altro termine di paragone proposto); gli schizzi non sono dunque per Wittgenstein strumento, bensì fine ( cfr. p. 17).
La prefazione delle Ricerche filosofiche condensa la vocazione al quotidiano di un’opera che non è né metafisica – non mira all’eternità – né economica – piegata a un fine particolare (cfr. p. 22). L’autore si sofferma ad analizzare lo stile fatto di sottrazioni, ripulito di volta in volta dal superfluo (cfr. p. 24), nel quale è scritta l’opera wittgensteiniana, che si presenta articolata in sezioni che non devono essere intese come aforismi (cfr. p. 23) e devono essere lette lentamente, a salti, seguendo i collegamenti, accettando di muoversi in una ragnatela (cfr. p. 24).
Si considera poi il metodo della filosofia (descrizione vs spiegazione) e il suo rapporto con il linguaggio in quanto tale, nella sua totalità (cfr. p. 29), verso il quale e attraverso il quale la filosofia opera in senso liberatorio (cfr. p. 30). Riportare le parole dall’impiego metafisico a quello quotidiano (§ 116 della Ricerche) vuol dire decostruire l’immagine semplificata del mondo velata dall’ovvio, dall’abitudine, dall’irriflesso, e farsi carico della ricchezza della nostra esperienza che il linguaggio costituisce e che proprio attraverso di esso dobbiamo imparare a gestire (cfr. p. 32). L’autore procede per esempi che nella loro efficacia argomentativa mostrano tutto il carattere prassiologico della filosofia wittgensteiniana (“Siamo una grande famiglia”; “Ho qualcosa dentro che non so”; “Ma quanto mi ami?”). Il linguaggio verbale per Wittgenstein lavora quando funziona (cfr. p. 44), «lavora proprio perché è impreciso e approssimativo» (p. 45) e, per chiarire la differenza tra un quesito filosofico e uno logico, Mazzeo introduce degli esempi partendo dalla sezione 89 delle Ricerche filosofiche nella quale Wittgenstein si confronta con il quesito “Che cos’è il tempo?” tratto dalle Confessioni di Sant’Agostino. Tali esempi (Il domani in un lager nazista; Il viaggio nel tempo; Il tempo è denaro) mostrano cosa intenda Wittgenstein per grammatica di un’espressione linguistica: non le norme che fanno di essa un’espressione corretta, bensì la struttura linguistica che una certa area di significato assume in una lingua (cfr. p. 46). Il linguaggio, infatti, scrive Wittgenstein nel paragrafo 108 citato da Mazzeo alla fine del primo capitolo, non è «quell’unità formale che immaginavo» nel Tractatus, bensì «una famiglia di costrutti più o meno imparentati l’uno con l’altro» (p. 53). 
Il secondo capitolo, intitolato Le parole non sono etichette (§§ 1-79), si apre con l’analisi dell’obiettivo polemico di Wittgenstein nel primo paragrafo delle Ricerche: la citazione del passo delle Confessioni che «contiene un ricordo. Agostino di Ippona riporta alla mente come da bambino vedeva il linguaggio degli adulti e come, a suo giudizio, egli cominciò a parlare» (p. 55). Mazzeo schematizza e argomenta in modo chiaro e scorrevole i problemi individuati da Wittgenstein rispetto all’immagine fuorviante della parola-etichetta che emerge dalla concezione agostiniana dell’apprendimento linguistico, il cui limite è quello di «dare un’immagine unilaterale del linguaggio» (p. 61).
Apprendiamo e usiamo anche il linguaggio secondo l’insegnamento ostensivo, per la cui riuscita «non sono determinanti immagini mentali o rappresentazioni soggettive», bensì le istruzioni «che ci vengono impartite» (p. 60), ma non apprendiamo e usiamo il linguaggio unicamente in questo modo. Viene quindi considerata la varietà delle forme linguistiche su cui insiste Wittgenstein (cfr. p. 61), per giungere alle nozioni di gioco linguistico e forme di vita (cfr. pp. 61-67).
Seguono due paragrafi che si concentrano sull’argomentazione critica wittgensteiniana del mito della definizione ostensiva (cfr. pp. 77-80) e di quello della semplicità (cfr. pp. 80-87). Il secondo capitolo si chiude con l’analisi di quel “blocco di paragrafi” che, scrive Mazzeo, “consente di tirare un po’ il fiato” giacché «per una volta, Wittgenstein concede una lettura del testo più tradizionale» permettendo «di leggere uno dopo l’altro i paragrafi senza dover compiere particolari salti o faticose peripezie» (pp. 87-88), seppur con le dovute eccezioni. Attraverso un percorso fatto di esempi ed immagini, l’autore descrive quel che Wittgenstein intende con l’espressione “somiglianze di famiglia” e mostra come, alla luce di questa nozione, all’idea della forma generale della proposizione ricercata da Wittgenstein nel Tractatus si possa contrapporre la rete di differenti giochi linguistici che presentano tra loro di volta in volta dei tratti comuni (cfr. p. 88).
Nel terzo capitolo, dal titolo «Non puoi capire quanto soffro!»: critica al linguaggio privato (§§ 80-87; 198-279), si esamina il tema del seguire una regola che «è uno dei cardini sui quali ruota l’intero impianto delle Ricerche filosofiche» (p. 95). L’argomento si snoda nel testo esattamente come lo presenta il nostro autore, nell’alternanza continua, “quasi forsennata”, «tra false piste e pezzi di quel che per Wittgenstein costituisce lo scioglimento del problema»; «la soluzione appare a lampi: come spunta fuori così si dilegua, riportandoci nel buio di una questione intricata e labirintica» (p. 95).
Le precisazioni e le istruzioni della guida di Mazzeo si rivelano decisamente adeguate alla problematicità delle sezioni dell’opera wittgensteiniana. Tra  queste incontriamo prima di tutto la distinzione tra l’uso che facciamo della parola “regola”, che in italiano coincide spesso con “norma”, parola «dal campo semantico più ristretto e specializzato» (p. 96) e quel che Wittgenstein chiama “regole”, di cui le norme sono solo un tipo. Mentre la norma può essere trasgredita, ha infatti «a che fare con la stipulazione di codici», «la regola non la si può trasgredire: se non si segue una regola vuol dire che se ne segue un’altra oppure che si procede a caso» (p. 96); «la regola ha a che fare con un “come”, con un’abilità» (p. 97). Usare una parola è come andare in bicicletta: «si tratta di una capacità sulla quale spesso non riflettiamo e che nonostante ciò abbiamo» (p. 98). Secondo Wittgenstein, «seguire una regola significa invischiarsi in un’azione irriflessa, in una forma di conoscenza non esplicita, né di solito consapevole. Anzi spesso concentrarsi sulla consapevolezza di una regola non solo non favorisce ma ostacola la sua applicazione» (p. 99). Proprio come il saltatore in alto, dice l’autore, la pratica riesce se non ci si perde a pensare a quel che si sta facendo. Solo quando «la pratica si inceppa o dopo la constatazione di un errore» (p. 99), ci si ferma a pensare e interpretare la regola.
Passando sempre attraverso esempi quotidiani e leggendo la sequenza di paragrafi delle Ricerche dedicati a questo tema, Mazzeo arriva a dire che l’antidoto all’interpretazione è l’addestramento: «addestrare significa prima di tutto fornire la direzione da prendere. Scegliere la giusta direzione non dipende dunque da un processo mentale, interiore e isolato, quanto da una pratica condivisa e pubblica» (p. 103). Seguire una regola, dunque, «significa impegnarsi in un agire pubblico, potenzialmente sotto gli occhi di chiunque» (p. 107). Una volta che abbiamo imparato ad andare in bicicletta non ce ne dimentichiamo più e, quando andiamo in bicicletta, non pensiamo alle regole seguite per la riuscita di questa attività; si seguono le regole ciecamente: la prassi pubblica di apprendimento e di applicazione delle regole costituisce la certezza del nostro agire.
All’analisi del tema del seguire una regola segue quella della critica wittgensteiniana del linguaggio privato. Si pongono prima in evidenza le due avvertenze di Wittgenstein circa cosa non sia il linguaggio privato (“non corrisponde al monologo”, “non corrisponde alla possibilità di avere un segreto, di simulare o mentire”), per poi mettere a disposizione del lettore una mappa con la quale orientarsi nelle pagine delle Ricerche filosofiche (cfr. p. 116) che affrontano questo tema tanto noto quanto ancora ostico. Poste le due strade per comprendere le nostre sensazioni, quella che vede le parole descrivere le sensazioni naturali e quella che le vede sostituirsi a esse (grido, gemito), si evidenzia come su uno scarto simile, «descrivere contro sostituire», si giochi «tutta la partita del linguaggio privato» (p. 117). La seconda strada è quella da seguire: «il linguaggio non descrive l’esperienza stessa del dolore ma la organizza» (p. 117). Le istruzioni proposte da Mazzeo gettano luce sul percorso: «è come se il linguaggio fosse una lente di ingrandimento che permette di mettere a fuoco l’esperienza del dolore; di vederne il dettaglio, di strutturarne i contorni» (p. 117). I tre esempi della gastroscopia di Mario, del sogno che svanisce e del maratoneta, descritti nell’ultimo paragrafo, chiariscono il rapporto che intercorre tra la nostra esperienza e il linguaggio (cfr. p. 126). 
Si chiude con i “consigli di lettura” una guida essenziale, agevole, sempre chiara, che illumina con precisazioni, indicazioni ed esempi, percorsi di lettura importanti per comprendere la filosofia wittgensteiniana.

Indice

Introduzione: una guida per principianti 

I. Filosofia e logica (prefazione, §§ 88-133)

I.I. La prefazione delle Ricerche filosofiche: lo stile fa l’uomo
I.2. Come leggere le Ricerche? Tre tecniche di sopravvivenza
I.3. “Ma quanto mi ami?”: filosofia come terapia (§§ 109-133)
I.4. La logica e il tempo: sentieri nel ghiaccio (§§ 88-108)

2. Le parole non sono etichette (§§ I-79)

2.1. Agostino sbaglia: giochi linguistici e forme di vita (§§ I-26)
2.2. Il dito e la luna: il mito della definizione ostensiva (§§ 27-38)
2.3. Un altro mito: la semplicità (§§ 39-64)
2.4. Una via d’uscita: le somiglianze di famiglia (§§ 65-79)

3. “Non puoi capire quanto soffro!”: critica al linguaggio privato (§§ 80-87; 198-279)

3.1. Andare in bicicletta: seguire una regola è un’attività atletica (§§ 80-87)
3.2. Seguire una regola è un «condizionamento logico» (§§ 198-242)
3.3. Il linguaggio privato: una tesi filosofica e un luogo comune (§§ 243-257)
3.4. Il maratoneta e il diario: il corpo del linguaggio (§§ 258-279)

Da dove comincio? Consigli di lettura

Biografia e contesto
Influenze/confronti
Testi introduttivi
Wittgenstein politico
Regole e linguaggio privato

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