lunedì 16 febbraio 2015

Bonvecchio, Claudio (a cura di), Il mito dell'Università

Milano-Udine, Mimesis, pp. 186, euro 16, 978-88-5751-031-6.

Recensione di Michele Savino - 10/10/2012

Il mito dell'Università è definitivamente tramontato: l'idea ottocentesca di un tempo laico del sapere che presieda a riproduzione e controllo sociale è stata travolta dalla società di massa.
Il volume curato da Claudio Bonvecchio costituisce uno sforzo di comprendere le cause di questa débâcle attraverso un'analisi a più voci del mito.
Per comodità espositiva ho ritenuto utile raggruppare i contributi presenti nel volume attorno a due poli:


da un lato gli “utopisti”, i pensatori che sono stati promotori, ideologi o comunque assertori di una concezione positiva dell'università e dall'altro i “critici”.
Il mito dell'Università nasce nel 1810, quando M.me de Staël pubblica La Germania. Il testo presenta una Germania idealizzata, dotata di cultura unitaria, in cui le Università sono luoghi lontani dalla società. Ciò che si studia non è piegato alle esigenze della produzione e per questo stimola lo spirito. M.me de Staël non delinea solo un luogo di apprendimento, ma una società perfetta.
Ciò che la De Staël ritrae da una prospettiva letteraria viene attuato da Wilhelm Von Humboldt sul piano amministrativo e da G.W. Hegel su quello dottrinale.
Von Humboldt tratta il ruolo dell'Università sia dal punto di vista dell'organizzazione interna, sia dei rapporti con altre istituzioni. Per l'autore, il sapere universitario coincide con la ricerca che deve produrre un sapere prettamente teorico. Egli divide le istituzioni superiori in università e accademie, pronunciandosi a favore delle prime, per motivi pratici ed economici. Von Humboldt sostiene che ricerca ed insegnamento possano essere svolte da una stessa istituzione.
Importante è il ruolo dell'Università nella società ed in particolare il suo rapporto con lo Stato, che dovrà coordinare le attività delle diverse istituzioni universitarie presenti sul territorio e fornire i mezzi materiali per poter svolgere la ricerca. In realtà, chiosa Bonvecchio nell'introduzione, interessi universitari e statali coincidono.
Hegel porta alle estreme conseguenze l'impostazione humboldtiana ponendo università, Stato e filosofia come componenti di uno stesso progetto organico e depositario di una missione storica: l'università tedesca ha il compito di diffondere un nuovo tipo di sapere che rifugga dai particolarismi e che abbia, come disciplina principe, la filosofia. Il quadro teorico proposto è quello dell'Enciclopedia delle scienze filosofiche: “Nella visione panfilosofica di Hegel la filosofia è l'Università stessa, dove, tramite il filosofo, lo spirito assoluto esprime direttamente la sua voce” (p.29).
La filosofia idealista diventa la religione borghese per eccellenza.
Per Wilamowitz-Moellendorff la disciplina della scienza tedesca è l'altra faccia del militarismo prussiano. Professori e soldati sembrano tradire la missione originaria di progresso, libertà ed emancipazione a cui l'Università doveva tendere.
Il legame tra università e Stato ricorre anche nella Francia di Victor Cousin. Questa istituzione ha il compito di promuovere i valori sui quali deve fondarsi lo Stato francese. E poi, Cousin introduce uno dei valori chiave dell'ethos borghese, la laboriosità: “Lavorare, lavorare sempre è il solo modo di ottenere la stima e una condizione sociale mobile alla quale non è connesso alcun privilegio” (p. 93).
All'élite aristocratica si sostituisce un'élite burocratizzata che ha conseguito uno status privilegiato grazie al proprio impegno. Lavoro, ma non solo: l'università deve educare l'individuo a valori utili per lo Stato: ”laicità, professionalità, solidarietà di classe e fedeltà alle istituzioni” (p. 32).
Interessante il contribuito dei tre pensatori italiani qui presenti: Carlo Cantoni, Saverio De Dominicis e Antonio Labriola.
Carlo Cantoni si sofferma sulla necessità di una riforma universitaria che premi il merito dei docenti e incoraggi l'apprendimento attivo degli studenti mentre De Dominicis propone una visione positivista dell'Università come sovraordinata rispetto allo Stato: ciò che conta è la comunità internazionale degli studiosi e una scienza che sia reale motore di progresso per l'umanità.
Per Antonio Labriola l'università rappresenta una dura scuola di vita, in cui gli studenti debbono apprendere i valori della tolleranza, della spinta alla ricerca, dell'eguaglianza e della precisione. Solo attraverso l'istruzione si potrà creare una coscienza di classe capace di promuovere valori diversi da quelli borghesi. Ma sarà possibile?
I contributi di Ortega y Gasset e Max Weber si muovono tra la critica e la proposta.
Ortega si distingue per l'anti-intellettualismo che caratterizza i suoi rilievi: l'Università non deve occuparsi solo di ricerca astratta, ma deve mantenere il legame con il mondo della vita formando le classi dirigenti, fornendo la cultura generale necessaria per non fossilizzarsi nello specialismo delle professioni. L'università ha per Ortega anche una missione civile: contrastare l'influenza della stampa nella formazione dell'opinione pubblica.
Max Weber nota l'irreversibile trasformazione dell'Università in azienda del sapere. Le procedure altamente burocratizzate e tecnicizzate hanno però tutti gli effetti perversi della razionalizzazione: la carriera universitaria non è frutto del merito, ma del caso.  Per contrastare questa deriva, Weber si richiama al supremo ideale della chiarezza: l'università non deve essere il luogo dei comizi e della propaganda, ma di una missione in cui studenti e docenti sono uniti da una spinta comune verso il sapere, evitando di utilizzare la posizione privilegiata della cattedra come pulpito da cui propagandare i propri convincimenti politici.
Accanto al filone di promotori dell'Università si contrappone un gruppo di agguerriti critici come Heine, Nietzsche, Schopenhauer e Adler e Thomas Mann.
Heine punta a smascherare la retorica romantica dell'università: in questi luoghi, docenti gretti e inamovibili propongono un sapere reazionario a giovani interessati solamente alla vita sociale. Per essi l'università è il luogo dove sfogare il proprio desiderio di libertà prima di tornare alla grettezza del mondo delle professioni.
Adler critica l'università da sinistra: gli intellettuali hanno origini borghesi ma non hanno gli stessi interessi politici ed economici: un mondo migliore è possibile e va ottenuto attraverso l'alleanza con gli operai. Il lavoro intellettuale è stato sottoposto ai principi dell'organizzazione industriale e quindi ogni individuo deve poter essere sostituibile. Adler contesta la retorica meritocratica di Cousin: la scalata alle posizioni direttive non avviene per merito ma per il grado di lealtà verso un determinato gruppo di potere. Inoltre Adler è critico verso il modo in cui le imprese capitalistiche potrebbero condizionare e dirigere l'operato della scienza.
Schopenhauer rivolge una critica circostanziata all'insegnamento della filosofia, in cui dà  sfogo a tutta la sua vis polemica. Egli accusa l'accademia di aver snaturato il significato della ricerca e del sapere avendo creato una filosofia funzionale agli interessi dello stato. Questa filosofia serve alla creazione di una classe di intellettuali-burocrati e non di liberi cercatori della verità. Schopenhauer accusa inoltre la filosofia accademica, nella fattispecie quella hegeliana, di aver creato un sistema di potere, con propaggini nell'editoria, che abusa della credulità degli studenti e che marginalizza chi rifiuta la sua egemonia.
Nietzsche critica la sostanziale incomunicabilità tra docenti e discenti: dietro le decantate libertà accademiche si cela il mutuo disinteresse delle due parti: “Come il professore può dire ciò che crede così gli studenti possono non sentire e non scrivere o sentire e scrivere ciò che desiderano” (p.33). Inoltre Nietzsche accusa l'università di aver burocratizzato la conoscenza, badando prevalentemente al suo accumulo e allontanandola dal mondo concreto della vita. Ciò che manca, a suo avviso, è la capacità di far percepire “la coincidenza tra problemi personali e quotidiani e problemi eterni e ricorrenti” (p.34). La soluzione proposta si muove ancora nell'ambito universitario. Nietzsche individua nelle corporazioni studentesche il luogo dove i giovani potranno restituire alla cultura quella forza vitale che le è connaturata.
Il volume si chiude significativamente con la lettera di Thomas Mann inviata al rettore dell'Università di Bonn. La stessa Germania idealizzata più di un secolo prima da M.me de Staël revoca, sotto la dittatura nazista, il dottorato ad uno dei suo massimi intellettuali. L'istituzione che doveva promuovere la ricerca disinteressata e costruire una comunità ideale è un apparato suddito di una classe egemone che controlla e reprime la libertà di pensiero ed espelle chiunque rifiuti i suoi diktat.
Il cerchio si chiude. Il mito dell'università va consegnato alla memoria.

Indice

Premessa          p. 9
Introduzione          19
M.me De Staël         45 
Il sorgere del mito        46
Wilhelm K. Von Humboldt        53
Lo stato dell'Università       54
Georg Wilhelm Friedrich Hegel       65
Filosofia e Università di Stato      66
Il professore-burocrate       72
I custodi del fuoco sacro       74
Heinrich Heine          77
L'allegra Università tedesca       78
Victor Cousin          87
La riproduzione sociale dei professori      88
Università e società        89
Università e nazione        94
Arthur Schopenhauer         97
Il filisteismo universitario       98
Lo scandalo della filosofia accademica     101
Friedrich Nietzsche         105
La romantica ribellione delle corporazioni studentesche   110
Carlo Cantoni          115
I difetti degli studenti e dei docenti      116
I requisiti del professore universitario     117
Saverio Fausto De Dominicis        123
L'Università positivista       124
La perfetta comunità scientifica      127
Antonio Labriola         129
Società, Università e libertà della scienza     130
Lavoro universitario e progresso sociale     132
Max Adler          137
Intellettuali, Università, capitalismo      138
Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff      145
Militarismo e Università       146
Max Weber          155
L'eticità della cattedra        158
José Ortega y Gasset         167
Il significato dell'Università       168
L'Università e la trasmissione della cultura     171
La realtà storica e l'utopia universitaria     173
Thomas Mann          177
La degradazione del mito       178
Bibliografia          185

2 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Descrivere la istituzione universitaria quale ideale ambìto e irrealizzato significa interpretarla quale assolutezza e contribuire al cosiddetto "mito delle università" che non essendo riferibile a realtà davvero mitica dunque vive brevemente ed inautenticamente fino ad autocelebrazione di stessa sua morte (dopo esser stato appunto inventato quale falso mito)... E con questa mitizzazione fallimentare non si intende vera idealità universitaria poiché la si interpreta per obiettivo non per guida e se ne fraintende organizzazione e scopi, a causa del rifiuto della prassi tipica della ricerca, negata assieme a rifiuto di utilizzo non solo uso della speculazione filosofica. Senza intendere provvisorietà universitarie l'ignaro non bada ai valori universitari, che non sono certezze particolari ma riferimenti generali; ed allora pretende specificazioni e facilità impossibili e i programmi gli paiono parziali e la etica universitaria la considera parte dei programmi e dunque non ne riconosce trasgressioni e criticando si rende inaccettabile e non sa comprender cronache universitarie e gliene sfugge la storia perché non ne accetta il lato difficile che gli pare dimostrazione di inettitudine.

La storia delle università europee, anche tedesche, non ha mai avuto per riferimento il mito, costruito dagli ignoranti, peraltro ignoranti anche di mitologia! Quindi non ha senso dar conto di una elucubrazione per rapportarla a vicende reali. Purtroppo gli elucubranti sopperiscono al nonsenso sfruttando giudizi, alcuni dei quali di indubitabile onestà e necessità, e poi manifestando il desiderio di altra cultura... Ma Europa ed Occidente sono culturalmente consistenti e desiderare altro pretendendone sostituzione in tal caso è per avversione, contro la cultura occidentale ed europea e con conseguenze inaccettabili.

Per questo non si può neanche accettare la recensione di Michele Savino dello scritto di Claudio Bonvecchio "Il mito dell'università".

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Risulta che M.me De Staël redagesse un progetto universitario per Istituzione Accademica futura per futura condizione unitaria tedesca e che dunque non avesse fatto mitologia ma politica culturale peraltro riuscitale (ne diede conto A. Schopenhauer quanto la Germania stava ottenendo unità politica statale burocratica, cui solo dopo era ottenuta unità anche istituzionale).

MAURO PASTORE