lunedì 13 aprile 2015

Kelsen, Hans, Religione secolare. Una polemica contro l’errata interpretazione della filosofia sociale, della scienza e della politica moderne come “nuove religioni”

Traduzione di P. Di Lucia e L. Passerini Glazel, Milano, Raffaello Cortina, 2014, pp. 392, euro 36, ISBN 9788860306876 

Recensione di Antonino Scalone - 19/01/2015
  
La pubblicazione postuma di un’opera pone sempre dei problemi di tipo filologico, relativi alla sua redazione, al livello  di elaborazione in cui è stata lasciata dall’autore, all’importanza che può rivestire all’interno della produzione complessiva di questi. Tali problemi si acuiscono quando, come nel caso di Religione secolare, ci si trova di fronte a un testo compiuto e già consegnato all’editore e che all’ultimo momento, per motivi mai chiariti in modo esauriente, Kelsen ritirò, sottoponendosi per questo anche al


pagamento di una penale. Come può dunque essere valutato un testo del genere e quanto di nuovo e, soprattutto, di attendibile può fornirci rispetto ai testi editi? Crediamo che in generale tutte le carte di un pensatore – specialmente quando si tratti di una figura così rilevante come il giurista viennese – vadano messe a disposizione degli studiosi i quali sono nelle condizioni per fornirne la giusta valutazione. Nel caso specifico, poi, il volume non sembra costituire una radicale novità rispetto a posizioni kelseniane già note e dunque non sembra autorizzare rivoluzioni interpretative. Possiamo rintracciare l’Ur-Text di Religione secolare in una lunga recensione, anch’essa pubblicata postuma, al volume di Eric Voegelin Una nuova scienza politica. Parti di quella recensione corrispondono a un paragrafo, intitolato Una nuova dottrina sulla rappresentanza, del saggio I fondamenti della democrazia pubblicato da Kelsen a metà degli anni ’50. Siccome le critiche a Voegelin costituiscono l’asse portante di Religione secolare, possiamo ritenere che fra le ragioni che indussero Kelsen a ritirare il volume non vi fosse quella di un sostanziale mutamento di opinione, perlomeno relativamente al giudizio su Voegelin. Forse, come ipotizza Métall, vi può essere stato un ripensamento relativo ad un aspetto soltanto delle tesi contenute nel volume, vale a dire alla convinzione che non possano darsi “sentimenti religiosi intensi” in assenza di una “credenza metafisica nell’esistenza di un Dio (o di dei)” (R. A. Métall, Hans Kelsen. Leben und Werk, Deuticke, Wien 1969, p. 91).
Per comprendere l‘interesse di Kelsen nei confronti di Voegelin converrà ricordare come questi fosse stato prima suo  allievo e poi suo assistente a Vienna (cfr. F. Lijoi, Scienza, ideologia e democrazia. Hans Kelsen critico di Eric Voegelin, in H. Kelsen, Una nuova scienza politica [2004], trad. it. Torino, Giapppichelli 2010, p. 137) e come si fosse poi distanziato dalle posizioni del maestro sia sul piano teorico, criticando il monismo e il formalismo della Reine Rechtslehre (cfr. S. Chignola, Pratica del limite. Saggio sulla filosofia politica di Eric Voegelin, Padova, Unipress 1998, p. 30 sgg.), sia sul piano politico, approvando la svolta autoritaria della Repubblica austriaca, avversata invece da Kelsen. Trovatisi ambedue oltre Atlantico dopo l’avvento del nazionalsocialismo, Kelsen ritenne probabilmente suo dovere scientifico prendere posizione rispetto ai nuovi sviluppi del pensiero dell’antico allievo. Ciò gli avrebbe consentito di ribadire le sue posizioni relativamente al nesso fra scienza e democrazia.
In apertura del volume, Kelsen sottolinea come la scienza moderna si costituisca attraverso l’emancipazione dalla religione e dalla teologia. Si tratta – nota – di una circostanza particolarmente importante per le “scienze sociali”, giacché proprio in questo campo la teologia appare asservita a “interessi politici” (Kelsen, Religione secolare, cit., p. 4). Sicché l’emancipazione della scienza sul piano metodologico e contenutistico coincide con l’emancipazione politica dal principio di autorità e, quindi, con l’affermazione della democrazia. Viceversa, la pretesa di molti studiosi di riconoscere nella modernità la persistenza di elementi religiosi, tanto da farne una forma di religione secolarizzata, costituirebbe un inaccettabile “ritorno allo spirito del  Medioevo” (ibd.). 
Sotto il profilo metodologico, Kelsen segnala che troppo facili parallelismi fra campi diversi del sapere, come quelli che, appunto, sulla base di assonanze e somiglianze esteriori riducono la scienza e le ideologie moderne alla teologia o alla religione, diano spesso luogo a “vuoti verbalismi”, utilizzando in modo acritico le stesse parole per concetti fra loro incommensurabili (cfr. p. 21).   A partire da quest’assunto, Kelsen critica dunque l’espressione “religioni secolari” proposta da Raymond Aron che si basa sull’”inaccettabile identificazione di religione e morale” (p. 32).  Allo stesso modo, egli critica Crane Brinton per il fatto di chiamare indifferentemente “religioni” tanto la cosmologia religiosa o teologica della Bibbia, quanto quella non religiosa della scienza moderna. In questo modo, si smarrisce a suo avviso proprio la differenza essenziale che sussiste fra religione e teologia da un lato e scienza dall’altro, al fine (politicamente non neutrale) di ribadire la dipendenza di questa da quelle (cfr. p. 32).   
Per ciò che riguarda la nuova scienza politica proposta da Voegelin, Kelsen afferma che si tratta in realtà di una scienza “specificamente teologica”, in quanto orientata a cogliere l’ordine dell’essere, la cui fonte “è, evidentemente, Dio” (p. 66). Da qui l’accusa di essere in pari tempo “antidemocratica” (p. 67): il carattere gerarchicamente ordinato dell’ordine cui aspira contraddice infatti il principio di eguaglianza. 
La differenza di impostazione fra Voegelin e Kelsen appare in tutta evidenza con riferimento a Hobbes.  Voegelin, infatti, criticando il carattere gnostico del pensiero politico moderno, riconosce nello stesso Hobbes - la cui “teoria della rappresentanza” è comunque  caratterizzata da “una straordinaria coerenza” (E. Voegelin, La nuova scienza politica [1952], trad. it. Torino, Borla 1968, p. 229) - alcune “propensioni gnostiche” . Esse si rivelerebbero nel tentativo hobbesiano di “congelare la storia in un regno terminale eterno su questa terra” (ivi, p. 238). Kelsen, invece, coerentemente con la sua interpretazione  del pensiero moderno in termini rigorosamente immanentistici, considera Hobbes un pensatore sostanzialmente, anche se non dichiaratamente, ateo e gli attribuisce la fondazione di una concezione integralmente positivista del diritto e dello Stato (cfr. Kelsen, Religione secolare, cit.,  pp. 113-119).
Procedendo nella sua indagine, Kelsen prende posizione contro l’interpretazione dell’illuminismo avanzata da Cassirer, orientata all’affermazione di una certa contiguità fra illuminismo, religione e fede e contro quelle di Carl L. Becker e Charles Frankel, ambedue sostenitori del carattere non esclusivamente razionalista del secolo XVIII. Contro quest’ultimo, in particolare, Kelsen afferma che pur ammettendo che gli illuministi credessero nella verità assoluta dei loro principi e della scienza, tuttavia questa consapevolezza non è in nessun modo riconducibile all’ambito religioso della rivelazione (cfr. p. 137). La medesima linea interpretativa è sostenuta da Kelsen con riferimento a Hume,  Kant,  Comte, Saint-Simon, Proudhon, Marx e Nietzsche: delle teorie di tutti questi autori viene ribadito il carattere immanente e l’irriducibilità alla religione e alla  teologia. 
Significativo del modo di procedere di Kelsen è quanto detto riguardo a Comte: egli, per qualificare la propria filosofia, usò certo l’espressione “religione”. Occorre tuttavia intendersi, scrive Kelsen, sul significato che il termine assume nel ragionamento comtiano: a ben guardare, qui “per religione” si intende “un ordine sociale senza alcuna implicazione metafisico-teologica – un ordinamento morale secolare del quale [Comte] mette in evidenza il carattere anti-teologico” (p. 214). A sua volta, la morale secolare denominata religione positiva, si basa per Comte su una “fede positiva” che non è altro che “la scienza empirica” (p. 216). 
Di un certo interesse è anche il ragionamento svolto a proposito di Marx. Kelsen si oppone radicalmente ai tentativi, avanzati da Jakob Taubes e da Voegelin di “qualificare il marxismo come gnosticismo mistico” (p. 244) o comunque a quelli orientati a cogliere implicazioni teologico-religiose delle teorie marxiane (qui il riferimento è, fra gli altri, ad Aron, Löwith, Brinton, Weldon, Sertillanges, Monnerot, Tucker). “La dinamica della Gnosi”, scrive Kelsen, è “un movimento circolare” che ha inizio e fine nel “Dio buono”. La “dialettica marxista”, invece, è di tipo rettilineo: “La condizione futura del perfetto comunismo non è il ritorno a una condizione originaria del genere umano” (p. 245). Più in generale, dal fatto che alcuni seguaci possano intendere “una teoria scientifica” o che tale si presenta, come una sorta di religione, non deriva che lo sia effettivamente (p. 220).   
Si possono naturalmente avanzare varie obiezioni alle tesi kelseniane. Si può, ad esempio, attribuire loro una sostanziale incomprensione della radicalità del gesto filosofico di Voegelin e del suo essere caratterizzato dalla tensione verso una nozione di verità per sua  stessa natura trascendente e irriducibile ad una definizione esaustiva. Questo elemento emerge con  chiarezza, ad esempio, là dove, in  Una nuova scienza politica, Voegelin si rifà al luogo delle Supplici  in cui  il re Pelasgo, per assumere la sua decisione, rientra per così dire in se stesso e nella profondità della sua anima trova la soluzione giusta, diversa da quella suggerita dalla legge (“Ci vuole un pensiero profondo che ci salvi e che discenda nell’abisso con sguardo limpido e non alterato”, Supplici, vv. 407-408). Voegelin ritiene che tramite questo atto di pensiero  il re riesca ad attingere a una verità che non è solo soggettiva, tanto che potrà poi proporre con successo la sua deliberazione – accogliere le supplici – al popolo (cfr. Voegelin, Una nuova scienza politica, cit., pp. 133 sgg.). Qui – scrive Voegelin – “la psiche stessa è vista come un nuovo centro nell’uomo, grazie al quale egli esperimenta se stesso come aperto alla realtà trascendente” (p. 129), in conformità con la concezione eraclitea secondo la quale “non si può pervenire ai confini dell’anima, perché il suo Logos è troppo profondo” (p. 134).  
A Kelsen sembra sfuggire questo aspetto del pensiero di Voegelin e, con esso, l’elemento di “critica sociale” (p. 129) che il distanziamento rispetto alla realtà politica data e alla legge vigente, reso possibile dalla discesa nella propria anima, necessariamente reca con sé. Egli è piuttosto interessato ad enfatizzare la finalità più scopertamente e direttamente conservatrice, sotto il  profilo politico, di operazioni del genere: in questo modo pone efficacemente in luce un aspetto senz’altro presente nella riflessione di Voegelin e degli altri autori esaminati, ma probabilmente ne trascura quello più significativo sotto il profilo filosofico-politico. D’altronde lo scopo del suo libro, come è detto esplicitamente nelle pagine finali, è quello di fornire un sostegno alla “potente diga che è stata eretta per proteggere la scienza e la politica dalle inondazioni della speculazione teologico-metafisica” (Kelsen, Religione secolare, cit., p. 363). In questo senso, Religione secolare appare sostanzialmente coerente con il cammino intrapreso negli anni 10, caratterizzato dall’affermazione di una scienza pura del diritto e dalla correlativa critica di ogni teologia politica. Il risultato, allora in Europa come qualche decennio dopo negli Usa, è una visione radicalmente immanentistica degli ordinamenti umani, nei quali la necessità dei rapporti di sovra e sott’ordinazione è ricondotta a semplici ragioni funzionali e non sostanziali e il bene della comunità è ridimensionato al semplice compromesso temporaneo fra gli interessi dei gruppi organizzati.     
Indice
P. Di Lucia, L. Passerini Glazel, Prefazione all’edizione italiana. Religione senza Dio?
Nota introduttiva
Nota editoriale
Prefazione
Introduzione
1.La ricerca di parallelismi e i suoi pericoli
2. Dottrina del progresso ed escatologia
3. Le teologie della storia di Gioacchino da Fiore e di Sant’Agostino
4. Lo gnosticismo
5. Il Leviatano di Hobbes
6. La filosofia dell’Illuminismo
7. L’empirismo di Hume e la filosofia trascendentale di Kant
8. La “nuova religione” di Saint Simon e la teoria sociale di Proudhon
9. La filosofia positiva di Comte
10. L’interpretazione economica della storia di Marx
11. Nietzsche cristiano
12 Nietzsche metafisico
13. La scienza moderna
14. La politica moderna
Conclusioni
Bibliografia
Indice analitico
Indice dei nomi

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