mercoledì 8 aprile 2015

Laudisa, Federico, Naturalismo. Filosofia, scienza, mitologia

Roma-Bari, Laterza, 2014, pp. XII+140, euro 16, ISBN 9788858112441

Recensione di Michele Paolini Paoletti - 31/01/2015

Il libro di Federico Laudisa sul naturalismo contemporaneo costituisce un’aggiornata esposizione critica di questo multiforme movimento filosofico. I lettori potranno confrontarsi con numerose figure che hanno animato e continuano ad animare il dibattito sul naturalismo, sia che si tratti di nuovi classici della filosofia occidentale (ad esempio, Quine), sia che ci si rivolga ad autori più recenti e poco conosciuti in Italia. Il volume restituisce una visione del naturalismo chiara, piuttosto esaustiva (soprattutto sul 


versante epistemologico) e certamente non-dogmatica – come accade nella migliore tradizione analitica.
I cinque capitoli dell’opera sono preceduti da una breve introduzione – nella quale Laudisa delimita essenzialmente l’ambito di indagine – e da alcuni appunti conclusivi “per un bilancio”. Il primo capitolo (“Geografie del naturalismo”) è un’esplorazione preliminare del movimento naturalista. Secondo l’autore, il naturalismo è un “atteggiamento filosofico” che “accetta come possibili entità del mondo soltanto i tipi di cose che le teorie scientifiche pongono come oggetti effettivi della loro indagine; ritiene che i metodi delle teorie scientifiche siano gli unici che producono autentica conoscenza; nega all’analisi concettuale tipica della filosofia un ruolo privilegiato nella giustificazione della conoscenza stessa” (p. 4). Occorre soffermarsi, almeno a mio avviso, sull’idea che il naturalismo sia un “atteggiamento filosofico”, un’idea dalla quale sembra derivare l’effettiva sfuggevolezza di tale movimento. In quanto atteggiamento (di sostanziale deferenza nei confronti dell’indagine scientifica), il naturalismo non sembrerebbe connotarsi primariamente come una dottrina o un insieme di dottrine filosofiche. Piuttosto, una dottrina filosofica sarebbe legittimamente considerata “naturalista” in virtù della sua compatibilità con tale atteggiamento e in virtù del ruolo di tale atteggiamento nella sua costruzione. In quanto atteggiamento filosofico, il naturalismo non interesserebbe primariamente l’indagine scientifica in quanto tale, ma la riflessione filosofica. Così, per intendersi meglio, non vi sarebbero propriamente “scienziati naturalisti”, né il naturalismo sarebbe un atteggiamento più o meno consono all’indagine scientifica, ma vi sarebbero piuttosto “filosofi naturalisti” che, attribuendo alle scienze una certa funzione normativa, si affiderebbero ai loro risultati per stabilire ciò che esiste e/o ciò che possiamo conoscere e il modo in cui possiamo conoscere. Da qui sorgono i tre divieti del naturalismo citati da Laudisa: “abbasso le entità sovrannaturali; abbasso la filosofia ‘prima’ e il ruolo privilegiato del ragionamento a priori; non può esistere una teoria filosofica della conoscenza e della giustificazione, ma soltanto una teoria scientifica della cognizione” (p. 6). Da qui sorge anche la distinzione tra naturalismo ontologico e naturalismo epistemico, nonché l’ampia riflessione di Laudisa (che si dipana attraverso tutto il libro) sul ruolo della filosofia, sui rapporti tra filosofia e scienza e, più radicalmente, sulla sensatezza del filosofare. 
Ad ogni modo, Laudisa si interroga soprattutto sulle assunzioni del naturalismo: la definitezza dei concetti di natura, materia e spazio-tempo; la distinzione tra scienze e filosofia; l’identità di metodo delle scienze; la capacità, da parte di tale metodo, di fornire il grado di certezza necessario al naturalista per difendere le proprie tesi; la distinzione tra a priori e a posteriori; la legittimità di sospettare delle conoscenze a priori. Risulta piuttosto curioso, ad esempio, imbattersi nel rilievo critico di Hume (considerato uno dei padri del naturalismo) sull’uso filosofico della parola “natura”: “nessuna parola è più ambigua ed equivoca di questa” (ibidem). Dopo aver percorso velocemente un itinerario storico sulle origini del naturalismo a partire dalla rivoluzione scientifica moderna, Laudisa offre alcuni spunti interessanti sulla giustificatezza del naturalista ontologico e sul rapporto tra naturalismo e riduzionismo. Ad esempio, riguardo al primo tema, egli scrive che il naturalista ontologico, per circoscrivere e dotare di contenuto la propria posizione, o “si trova ad assumere ipotesi metafisiche del tutto indipendenti da un inquadramento scientifico (sull’idea di natura, sullo spazio-tempo e sulla causalità, n.d.r.), con la conseguenza di forzare i limiti del naturalismo, o accetta che le ipotesi metafisiche siano in realtà dettate da ciò che le teorie scientifiche dicono degli enti coinvolti in quelle ipotesi, e allora il naturalismo ‘ontologico’ si risolve ancora una volta in naturalismo epistemico” (p. 20). Il problema per il naturalista ontologico, tuttavia, almeno a mio parere e riguardo al secondo corno del dilemma, non consiste tanto nella risoluzione del naturalismo ontologico in naturalismo epistemico, quanto più: (i) nel fatto che egli dovrebbe continuamente rivedere la propria ontologia alla luce delle “migliori teorie scientifiche” – sì da non poter escludere in via definitiva, tra l’altro, che entità oggi rigettate debbano essere rigettate tout court ed entità oggi accettate debbano essere accettate tout court; (ii) nell’assenza di teorie scientifiche a proposito del valore di verità delle teorie naturaliste o della “bontà” dell’atteggiamento naturalista – sicché il naturalismo stesso risulterebbe naturalisticamente inaccettabile (come spiega Laudisa stesso nella conclusione).
Nel secondo capitolo (“Naturalismo e conoscenza”) l’autore esamina tre tipi diversi di naturalismo epistemico: il naturalismo sostitutivo; quello cooperativo; il naturalismo sostanzialista. In generale, se il compito dell’epistemologia consiste nell’individuare le “condizioni astratte sotto le quali determinati contenuti (…) possono essere considerati contenuti di effettiva conoscenza” (p. 31), il naturalismo epistemico dovrà prevalentemente concentrarsi su un interrogativo più preciso: “di quale natura sono i rapporti tra le leggi astratte dell’essere vero e i vincoli ‘naturali’ posti ai processi di pensiero dei soggetti che concretamente costruiscono la conoscenza?” (p. 29). O ancora: si può e si deve “naturalizzare” la conoscenza, cioè fornire un resoconto scientifico esauriente della conoscenza e di tutte le sue caratteristiche? Come? Il naturalismo sostitutivo (analizzato soprattutto nell’opera di Quine) “implica il rimpiazzamento di un’epistemologia fondata sull’analisi concettuale con un’indagine scientifica sui processi percettivi che producono quella che riteniamo conoscenza naturale, un’indagine concentrata sulle connessioni causali vere e proprie tra input sensoriale/osservativo da un lato e credenze sulla struttura del mondo naturale dall’altro” (p. 38). Il naturalismo cooperativo, invece, rifiuta “l’idea che l’analisi delle forme e delle condizioni della conoscenza si risolva in un compito esclusivamente scientifico, rifiutando però al contempo anche l’idea che una riflessione filosofica sulla conoscenza possa evitare – programmaticamente e di principio – il confronto con le implicazioni delle indagini scientifiche sui fenomeni cogniti e percettivi in senso lato” (pp. 45-46). In questo ambito, Laudisa esamina l’affidabilismo di Goldman e il naturalismo normativo di Laudan. Infine, il naturalismo sostanzialista afferma che “la conoscenza è un autentico fenomeno naturale e l’epistemologia è la disciplina che lo analizza in quanto naturale” (p. 54), stando a quanto scrive Kornblith, uno dei suoi difensori. Ogni forma di naturalismo è sottoposta a rilievi critici, sui quali non è possibile qui soffermarsi. 
Il terzo capitolo (“Naturalismo e apriori”) è appunto dedicato alla critica naturalista della nozione di a priori. Più precisamente, Laudisa non ritiene che possano esservi conoscenze a priori, quanto più modi di giustificare a priori le nostre conoscenze (cfr. p. 61). Dopo aver distinto tra una concezione negativa dell’a priori (giustificabilità indipendentemente dall’esperienza) e una positiva (giustificabilità mediante il ricorso alla sola ragione), l’autore si pone due domande: vi sono conoscenze a priori, cioè che si possono giustificare a priori? La distinzione tra a priori e a posteriori è utile? Rispetto alla prima domanda, Laudisa, dopo aver esaminato le tesi di Bealer, BonJour, Peacocke, Devitt, conclude che “l’idea di elementi apriori della conoscenza sia in qualche modo inevitabile: l’apriori non è ‘privilegiato’ rispetto all’aposteriori, è semplicemente una caratteristica strutturale di qualunque cosa aspiri a essere autenticamente considerato conoscenza” (p. 70). Riguardo alla seconda domanda, l’autore affronta soprattutto gli argomenti proposti da Williamson in favore di una risposta negativa, sviluppando alcuni rilievi critici.
Il quarto e il quinto capitolo (“Naturalismo e normatività” e “Il naturalismo e le scienze”) contengono rispettivamente una trattazione della normatività alla luce dell’atteggiamento naturalistico e una breve indagine del naturalismo in matematica, fisica e psicologia (o, più propriamente, del naturalismo rispetto alla riflessione filosofica su matematica, fisica e psicologia). La normatività costituisce un problema per il naturalismo nella misura in cui si attribuiscono ad essa caratteristiche inconciliabili con un’epistemologia e/o con un’ontologia naturalista. Il naturalista, dunque, nel fare i conti con la normatività, deve accettare l’esistenza di “fatti” normativi o “entità” normative nella natura e negare che essi abbiano quelle caratteristiche inconciliabili, oppure deve attribuire tali caratteristiche alla normatività e rigettare l’esistenza di quei “fatti” e di quelle “entità”. Un ulteriore problema è costituito, per le teorie epistemologiche naturaliste, dalla cosiddetta “normatività epistemica”, cioè dalle norme e dai valori intrinseci ai processi conoscitivi. Anche in questo caso, Laudisa propone una breve presentazione di alcune soluzioni: un realismo normativo naturalista (come quello di Boyd) e uno non-naturalista (come quello di Moore); l’espressivismo di Hume; il quasi-realismo di Blackburn; il costruttivismo. Un certo spazio è dedicato a Kuhn e alla sua teoria delle rivoluzioni scientifiche, a Putnam e a Giere, che si richiama a Kuhn proprio per affermare – contrariamente a Putnam – che non vi è tensione tra il naturalismo e la presenza di una dimensione normativa nella pratica scientifica. Nel quinto capitolo, infine, Laudisa esamina il naturalismo matematico – nell’ambito di una discussione critica sull’indispensabilità delle entità matematiche – e, più brevemente, il principio di chiusura causale del fisico (ogni effetto fisico ha cause fisiche sufficienti) e il cosiddetto “dilemma di Hempel” sulla natura del fisicalismo (cioè della teoria per cui tutto è fisico), il rapporto tra normatività ed epistemologia.
Gli appunti conclusivi “per un bilancio” riassumono le principali tesi sostenute nell’opera. L’autore, muovendo dall’assunzione che “la natura include anche il soggetto che costruisce teorie” (p. 115), sostiene, tra l’altro, le seguenti tesi: se la scienza, per il naturalista, deve assumere un ruolo di guida, allora essa possiede una “normatività esplicativa intrinseca, che rende fortemente discutibile l’idea naturalistica del carattere fondamentalmente non normativo delle spiegazioni scientifiche” (p. 118); l’immagine di teoria scientifica implicita nel naturalismo contemporaneo è piuttosto univoca (sì da contrastare con i risultati dell’epistemologia contemporanea) o non è sufficientemente chiara; il naturalismo si fonda anche sull’esistenza di alcune entità che potrebbero risultare naturalisticamente inaccettabili, come le credenze o, appunto, le norme (vi sono credenze naturalistiche e l’atteggiamento naturalista ha carattere normativo). Sicché, rileva Laudisa, “se la ‘criterialità’ di una concezione naturalistica di razionalità fa appello a norme di tipo genericamente naturalistico, allora non è possibile valutare l’accettabilità razionale di questa concezione stessa solo con quelle norme” (p. 122). Il naturalismo sarebbe allora self-refuting: per essere vero (o meglio: accettabile, in quanto atteggiamento), esso dovrebbe presupporre la propria falsità (o meglio: inaccettabilità). 
Da ultimo, l’autore propone un dilemma riguardante il rapporto tra scienza e filosofia nella prospettiva naturalista: o la filosofia si risolve nella scienza, oppure essa è destinata a convivere e a distinguersi in qualche misura dalla scienza. Nel primo caso, bisognerebbe operare riduzioni concettuali dal filosofico allo scientifico – un’impresa progressivamente rivelatasi troppo ardua e incapace di compimento. Nel secondo caso, il naturalista “tollerante” si avvicinerebbe pericolosamente alla negazione del naturalismo: la relazione tra naturalismo “tollerante” e non-naturalismo non sarebbe più una relazione di incompatibilità, bensì una differenza nel grado di naturalismo (o, se preferite, di non-naturalismo)

Indice

Introduzione
Cosa i lettori troveranno / Cosa i lettori non troveranno / Sul metodo di questo libro / Ringraziamenti

1. Geografie del naturalismo
1.1. Un termine, molti significati
1.2. La scienza moderna e le origini del naturalismo
1.3. Ontologia ed epistemologia
1.4. Naturalismo e riduzionismo

2. Naturalismo e conoscenza
2.1. Il problema della conoscenza e le radici della filosofia moderna
2.2. Naturalizzare la conoscenza?
2.3. Naturalismo sostitutivo
2.4. Naturalismo cooperativo
2.5. Naturalismo sostanzialista

3. Naturalismo e apriori
3.1. Conoscenza e giustificazione apriori: dov’è il problema?
3.2. Apriori: definizioni e distinzioni
3.3. Conoscenza apriori: esiste davvero?
3.4. La distinzione tra apriori e aposteriori è davvero utile?

4. Naturalismo e normatività
4.1. Normatività, naturalismo, immagini del mondo
4.2. Ontologia ed epistemologia della normatività
4.3. La dinamica delle teorie scientifiche tra normatività e naturalizzazione

5. Il naturalismo e le scienze
5.1. Il naturalismo matematico
5.2. Il caso della fisica: completezza e chiusura causale 
5.3. Psicologia della normatività

Epilogo. Appunti per un bilancio

Bibliografia

Indice analitico

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