lunedì 5 settembre 2016

Baccarin, Alessandro, Il sottile discrimine. I corpi tra dominio e tecnica del sé

Verona, Ombre Corte, 2014, pp. 130, euro 13, ISBN 978889752285.

Recensione di Gabriele Vissio - 25/11/2015

Il sottile discrimine di Alessandro Baccarin è tutto segnato da una serie di intersezioni ortogonali che, nel corso della ricerca si sovrappongono l’una sull’altra, suddividendo il materiale di lavoro secondo una ripartizione che procede per diverse dimensioni. Il materiale in questione è quello delle esperienze del corpo, esperienze limite che – almeno apparentemente – sembrano sottrarsi ai comandi del potere. Le regioni di esperienza corporea prese in considerazione, infatti,

emergono da una prima intersezione tra il segno corporeo come espressione del «dominio di spada» del potere repressivo che confina e segrega i soggetti devianti e criminali e la “liberazione” che, nell’età contemporanea, ha permesso agli individui di segnare, modificare e trasformare il proprio corpo secondo determinazioni apparentemente autonome. 
Queste prime linee di ripartizione dell’esperienza della segnatura corporea permette così il delinearsi dell’esperienza trangender e gay, quella del corpo tatuato e quella del porno. Non si tratta di esperienze corporee “pure” ma di «focolai di esperienza» – come li definisce Cristina Marras nella nota introduttiva al testo – già in qualche maniera iscritti all’interno di una positività del corpo su cui si esercita un reticolato di tecniche del sé (esercitate autonomamente dal soggetto) e di tecniche di dominio (subite eteronomamente dal soggetto) volte alla normalizzazione dell’esperienza corporea. All’interno di questa griglia le esperienze soprannominate sembrano in qualche maniera sfuggire al potere normalizzante, alla «trama di relazioni di potere che sul corpo le tecniche di governo hanno tessuto». Ma proprio questo apparente sottrarsi dell’individuo transgender, delle body modifications e del mondo pornografico ai recinti del potere suggerisce un interrogativo inquietante: queste pratiche somatopoietiche, sono davvero capaci di sottrarre il corpo alle tecniche di governo della vita o – al contrario – sono esse stesse frutto di un potere così sottile da penetrare sin in queste regioni di possibilità che, a un primo sguardo, sembrerebbero così lontane dalla sua azione? Se così fosse, se nemmeno le pratiche più “estreme” sfuggissero alle infiltrazioni di un potere sempre più permeante, saremmo costretti a concludere che ogni resistenza è velleità, che ogni rivoluzione è da sempre destinata a trasformarsi in una nuova forma costrittiva.
Il primo terreno di indagine di Baccarin è quello della verità gay («la libertà di amare le persone dello stesso sesso») e della verità transgender («la libertà di essere o di non esser o di come essere donna/uomo»). La storia dell’omosessualità viene ricostruita a partire, innanzitutto, dall’emergere della figura dell’omosessuale, secondo un’impostazione che riprende il progetto della Storia della sessualità  foucaultiana e, nello specifico, la Volontà di sapere. La creazione del soggetto omosessuale ha un’origine storica identificabile con la nascita del discorso della sessuologia con la Psychopatia sexualis di Heinrich Kann (p. 21), opera a partire dalla quale si rende possibile la catalogazione dell’omosessualità all’interno dell’universo psicopatologico. È a partire da qui che si generano tanto le strategie disciplinari quanto le specifiche tattiche di resistenza tipiche dei primi movimenti di autolegittimazione. Questo primo periodo di «guerriglia» viene bruscamente interrotto dall’introduzione, nel campo della battaglia, del discorso eugenetico novecentesco, massima espressione di quel tentativo di normalizzazione dell’omosessuale che i poteri disciplinari cominciano ad attuare – attraverso la psicoanalisi e la psichiatria – a cavallo tra il XIX e XX secolo. È allo stesso tempo qui che si trova il punto di avvio di un nuovo movimento, tipico della seconda metà del Novecento, che corrisponderà a un nuovo soggetto, un soggetto gay che si pone al centro di una nuova rivendicazione di libertà. Se l’omosessuale del periodo anteriore agli anni Sessanta del secolo XX  non aspirava a una parità con l’eterosessuale ma identificava il proprio modello relazionale in una relazione fatta di occasionalità e fluidità, a partire dal secondo dopoguerra emergono almeno due nuovi modelli: il primo, che ricostruisce l’immagine della relazione omosessuale sulla base dell’archetipica relazione monogamica eterosessuale e il secondo che vede l’omosessualità come occasione di liberazione tanto sessuale quanto politica. A determinare il prevalere della prima ipotesi – quella volta a ricondurre e, in un certo senso, a “castrare” le potenzialità eversive del soggetto gay – è l’evento tragico e imprevisto della comparsa dell’Hiv, che ha definitivamente orientato l’esperienza gay verso il modello eterosessuale e ha cementato  sull’alleanza tra medicina e omosessualità le fondamenta del processo di normalizzazione.
Analogo destino di normalizzazione è quello che contrassegna il caso transgender: se la veridizione – il “dir vero”, il confessare, a se stessi  prima ancora che ad altri, la propria identità – implica per l’omosessuale una tecnica del sé nel campo della preferenza relazionale, il focolaio di esperienza rappresentato dal transgenderismo supera invece questa soglia, collocandosi all’interno del terreno fondativo dell’identità. La verità transgender è una verità corporea, una verità che si pratica sul corpo, che trasforma il corpo attraverso tutta una serie di atti somatopoietici che rinviano, necessariamente, a un complicato intreccio di saperi e poteri diversi (medici, psichiatrici, giuridici, disciplinari). Ciò che è interessante cogliere, però, è l’esito normalizzatore cui il transgenderismo cade: ciò che vi è di profondamente eversivo e corrosivo all’interno dell’esperienza dell’individuo transgender è lo scollamento, lo scarto, tra l’identità di genere e il corpo sessuato. La ridefinizione del sesso (attraverso la chirurgia) e la riassegnazione del genere (attraverso la modifica anagrafica) si pongono – è vero – come gesto di liberazione della verità transgender ma al prezzo di subordinare questa verità al potere medico: il transgender, per poter procedere alla ridefinizione chirurgica e anagrafica della propria identità, infatti, deve perlomeno accettare che un medico certifichi la diagnosi di «disforia di genere» (disturbo dell’identità di genere), ammettendo implicitamente o esplicitamente di considerare come patologica la propria condizione.
Il secondo focolaio di esperienza su cui Baccarin esercita il suo apparato di strumenti analitici è il mondo del tattoo e delle body modifications. Il segno corporeo, sia esso tatuaggio o scarificazione, rappresentano nella tradizione europea e occidentale l’appartenenza dell’individuo che li porta al «grado zero della vita» e – nel contesto specifico della tradizione giudaico-cristiana – al mondo del peccato di cui i segni corporei sono la conseguente manifestazione. Solo l’eroe di guerra e il nobile cacciatore possono portare il proprio sfregio con onore ma per tutti gli altri, dalle piaghe del lebbroso dell’antichità al numero di serie azzurro del detenuto di Auschwitz, il segno iscritto sul corpo è sempre espressione organica di segregazione sociale. In parte diverse sono le cose per il tatuaggio contemporaneo: se è vero che questo mantiene ancora un significato simile a quello del passato all’interno di alcuni gruppi che si collocano in posizione marginale nei confronti della società, è pur vero che – nell’epoca contemporanea – il corpo si è aperto al segno. Questa trasformazione ha prodotto una nuova tecnica del sé, in cui l’iscrizione corporea diventa modo di costruire – sulla propria pelle – un vero progetto identitario. Quello che ne emerge è un’auto-narrazione del sé, la definizione di un racconto di sé che l’individuo ha autocostruito e di cui soltanto lui conosce il privatissimo alfabeto. Il significato di un tattoo – infatti – è del tutto sottratto all’intersoggettività; anche nel caso di segni il cui significato sia universale, una volta che questi si vengano a collocare sulla superficie epidermica del soggetto il significato che essi rivestono per quella pelle, per quel corpo, è del tutto sottratto alla comprensione esterna. Se il tatuaggio tradizionale di altre culture rappresenta una forma privilegiata di costruzione del legame sociale attraverso una serie di segni immediatamente riconoscibili, il moderno tatuaggio si inserisce all’interno di un gioco di verità in cui l’intimità si fa accogliente nei confronti della norma. È nell’intimità organica e fisica che le pratiche di scarificazione, le bodmod e i tattoo contribuiscono – insieme a tutta una serie di altre somatopoiesi – a normalizzare l’esperienza corporea, utilizzando il corpo stesso come piano di iscrizione della norma. Nuovo caso di libertà apparente le pratiche di modificazione corporea, quindi, si offrono ancora una volta come punto di applicazione di un potere che inquadra il corpo in un processo di autonormazione.
Non dissimile è l’esito del terzo e ultimo caso di studio analizzato da Baccarin, quello della pornografia contemporanea. Nel suo sollecitare, estrapolare, soggettivare e incorporare il desiderio, il «mondo porno»  si propone come fase ultima del dispositivo di sessualità individuato da Foucault: la pornografia è il prodotto che vede costituirsi, nell’atto della sua produzione, tanto il pornografico come oggetto del proprio sapere, tanto lo spettatore/osservatore come soggetto. Ciò che colpisce del mondo porno è il suo essere un pianeta virtualmente infinito, al cui interno lo spettatore può esercitare – almeno apparentemente – la possibilità di scegliere, la libertà di decidere della propria esperienza sessuale. Ma il potenziale della pornografia è anche un altro: come fa notare Baccarin «la sempre più parcellizzata e specializzata categorizzazione dei generi e dei sottogeneri nella realtà produttiva porno, predisposta per soddisfare ogni possibile gusto, intercetta la condotta di un soggetto desiderante che, soddisfacendo i requisiti della governamentalità liberale, si fa imprenditore del sé» (p. 109). La pornografia rappresenta allora il punto di massima realizzazione di quella trasformazione del potere che da produttivo-repressivo è divenuto produttivo-moltiplicativo. Massima realizzazione perché essa si colloca all’interno del piano prodotto da due  assi di normalizzazione: la normalizzazione del desiderio (che trova sempre precisa collocazione in un genere della tassonomia del desiderio) e la normalizzazione del corpo (corpo che suscita, individua e incorpora il desiderio). La pornografia compie così un doppio processo di normalizzazione che dal corpo muove verso il desiderio che definisce, fissa, normalizza l’individuo all’interno di un erotismo che, da liberatorio, si fa disciplinare. 
In definitiva, il libro di Alessandro Baccarin si inserisce in un panorama editoriale che, a livello nazionale e internazionale, non manca certamente di pubblicazioni d’ispirazione foucaultiana. Tale mercato editoriale, è noto, è ormai saturo e risulta talvolta difficile distinguere al suo interno tra i prodotti di una ricerca seria e rigorosa, capace di mettere in gioco i potenti strumenti concettuali della filosofia foucaultiana e quelli che sono invece dei “foucaultismi di maniera”, annacquati e privi di alcuna presa analitica sul reale. In questo panorama non sempre entusiasmante, Il sottile discrimine rappresenta una pubblicazione di sicuro valore per il fatto che non si configura né come un libro su Foucault o sulla filosofia foucaultiana, né come un lavoro che di quella filosofia operi una ripresa superficiale o  meramente lessicale. Baccarin condivide con Foucault lo spirito della ricerca filosofica come pratica discorsiva storica, l’idea che la filosofia sia un lavoro capace di porre le premesse per il proprio superamento e, come Foucault, lo accompagna l’idea che tematiche come quelle del corpo transgender, di quello tautato e dell’esperienza corporea nella pornografia siano interessanti non di per sé ma in quanto rappresentano oggi un terreno di confronto e di scontro tra le pratiche di sé attuate dai soggetti e le tecniche di normalizzazione che quegli stessi soggetti sono indotti ad attuare. Il lavoro di Baccarin rappresenta allora un punto di partenza per un’analitica dei corpi che, nel rivelare la sottile presa del potere su quelle identità che, più di altre, sembrano apparentemente sfuggire alla normalizzazione, si faccia fondamento per una pratica di resistenza più accorta, meno ingenua, più consapevolezza della posizione “diagonale” e non ortogonale del corpo, collocato in una continua area di confine tra la norma e la libertà. I corpi di Baccarin sono corpi-limite, che manifestano tutta la portata dei “giochi di verità e di potere” in cui i soggetti si trovano coinvolti. Ma come uscire da questi giochi di verità e di potere? Come mettere in atto una vera pratica di libertà? La risposta di Baccarin ha il sapore di una saggezza ellenistica: rinunciando alla libertà, almeno a quella intesa come essenza. E poi? Cos’altro? Smettere di giocare al gioco della verità, che istituisce quella griglia di riferimenti ortogonali – “normali”, nel senso geometrico del termine – che rendono i corpi disponibili al potere. Giocare un gioco nuovo, un gioco diagonale e creativo, in cui inventare nuove pratiche somatopoietiche in cui insediare nuove e inedite forme di resistenza e di eticità.


Indice

Nota
(di Cristina Marras)

Introduzione

Capitolo Primo
Come io mi voglio. Verità e resistenza del corpo transgender

Il riso e l’afasia; La verità gay; La verità transgender; L’omosessualità come occasione; L’Hiv; Le tecniche del sé nel gay e nel transgender

Capitolo Secondo
Il corpo tatuato

Dalla “Colonia penale” al tattoo studio; Body modifications e incorporazione della norma

Capitolo Terzo
Mondo porno: normatività dei corpi e dei desideri

Archeologia dello sguardo; Pornografia e dispositivo di sessualità; I porn studies e Foucault; Rappresentazione, normalizzazione e banalizzazione; Il “dressage” pornografico; Normalizzazione del corpo femminile; Nuovo uso dei piaceri

Capitolo Quarto
Conclusione

Corpi limite e diagonalità

10 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Nota introduttiva e trattazione compongono assieme una sensatezza assente nelle due singole parti, nondimeno queste restano due cose non una; d'altronde la conclusione dell'autore A. Baccarin non promette filosoficamente di più di quel che si offre e la informazione introduttiva su trattazione di fenomenicità complessa di non sola corporeità consente di evitare sopravvalutazioni dei messaggi...
Eppure, scaturendo e consistendo la filosofia in decisionalità e manifestandosi e compiendosi in razionalità e possedendo, attiva o non, stessa filosofia una propria saggezza intrinseca pur essendone sola saggezza distinta, allora emerge tutta la difficoltà, anche filosofica, di introduzione-trattazione a fenomenicità duplicemente sfuggente, pur notandosi alquanto rigore in individuazioni che sicuramente risulta prezioso se si volesse ridurne messaggio filosofico a non svilente rango e non tipologia di dizionario enciclopedico-filosofico.
In tal ultima restante ed unica prospettiva filosofica la strategia psicosociale, quella suggerita da autore secondo recensore, invece a diverso avviso (che appunto è anche il mio) diventerebbe tattica sociopsicologica di sostituzione di attenzioni per rivelazioni con attenzioni per disvelamenti, in codesti trasformandosi-riunendosi interezze dimidiate di sociologici dis-velamenti e psichiche ri-velazioni, dato che con approdo riduttivo non diminutivo a linguaggio e comunicazioni si recupererebbe essenzialità manifestante stessa naturale ovvietà di istintualità senza smarrire la forza dei riferimenti esistenziali ai casi determinati di eventi vitali anzi conferendovi diretta potenzialità in stessi riferimenti.
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MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE :...

Cosa fa restare pochezza di pubblicazione in àmbito di interesse filosofico? La emergenzialità di una vasta condizione-condizionalità di massa, ancora odiernamente tale; ed in tal risposta è significato pieno di una differenza di prospettiva etica a confronto con quella di autore e introduttrice C. Marras, questa offrendo parzialità co-stretta in usi indiretti cioè psichiatrici di psicologia, quella cioè dell'autore dando rapporto di parzialità omologata da controindicazioni antipsicologiche invero di abusi assistenziali-sociali; entrambe non assommandosi in sintesi dialettica di intellettuale chiarificante prevenzione di linguistica comunicabilità.
Cosa rende tale penuria anche suscettibile di menzione etica, pur senza contenerne? Proprio dall'intender detto pieno significato di emergenza, dalle analisi delle situazioni violente di dette condizioni, si deduce che la pubblicazione pur in tanta penuria è filosoficamente inquadrabile in utile non risolutiva prospettiva etica; e ciò lo si comprende considerando di detta violenza l'aspetto di intolleranza, prepotenza ed invadenze proprio verbali, di stessa terminologia adottata popolarmente purtroppo: "gay", "transgender", "tattoo", a seconda di appartenenze o non appartenenze linguistiche praticamente ed effettivamente termini abusati per scopi esterofili fino ad etnofobia od etnofobici fino ad esterofilia oppure che sarebbero per altri, autentici contesti e per veri sensi.
Si nota dunque che la positività della pubblicazione accade nonostante siano contenuti in essi elementi anti-etici di alienazione, questa pseudomedica, e di evitamento etnofobico di concettualità, freudomarxista. Questa ultima è segnata da intromissioni professionali-antiprofessionali di tipo neurologico ancora più inaccettabili perché finita la Guerra Fredda mentre la alienazione, che è quella dei cosiddetti alienisti, è una pratica antiprofessionale e antisanitaria diffusa per mimetica frequenza di varie combinazioni di omicidi e suicidi non per vera né possibile utilità.
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MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

M. Focault introduceva a Volontà di Sapere in duplice significato e con sensi distinti di àmbito naturale e soprannaturale, questo ultimo non il sovrannaturale del mistero ma neppure tutt'altro. Riferiva quindi naturalità di volontà di sapere anche a sessuologia della omosessualità, compresa dunque quale azione singolare/plurale naturale nella sua funzione naturale pro-eterosessuale oppure eterosessuale. Tale riferimento epistemologico a volontarismo è affiancabile a quelli della Volontà di Potenza (introdotto da M. Stirner, nome e cognome pseudonimi), della Volontà di Vita (introdotto da A. Schopenauer), della Volontà di Credere (introdotto dal Pragmatismo americano), nei rispettivi sensi non nonsensi di: naturali desiderio di fare, brama di ottenere, ricerca di altro. La Volontà di Sapere analogalmente ha senso non nonsenso di: tensione di unione.
È assai meno nota la meditazione sul transumanesimo che sul superomismo ed in tal caso è la prima a doversi chiamare in diretta causa ma secondo naturalità esplicitante limiti di umanità anche in stesso non naturalisticamente raziocinare, mentre la seconda va chiamata in causa per definire la informale vita universale di ciascun vivente ma secondo riferimento oppure riferirsi corretto a forma vivente della umanità anche in medesimo non naturalisticamente raziocinare.
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MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE:...

Dunque per e da naturale, naturalistica volontà di sapere, si può affermare:

la gaiezza (il termine inglese gay davvero è semanticamente uguale non identico a termine italiano "gaio") non ha alcun significato specificamente riferibile ad omosessualità anzi semmai ne sarebbe sconsigliabile per riferirsi a omosessualità;

il termine transgender, in cui "-gender" è semanticamente uguale a "-genda" di 'gendarme' o di 'agenda', sta a significare aver ruolo per azione non a scopo di azione e dunque può indicare della sessualità solo l'atteggiarsi anche unitamente a tattiche mimetiche ovvero di travestitismo;

il termine "tattoo" davvero è fatto per indicare superficie tattile cioè corrisponde gergalmente in linguaggio di uso in inglese ad italiano termine "tatto", per cui con "tattoo" propriamente si indicano estetiche non veritiere e sempre designificanti se rapportati a chi se ne fa su corpo.

Storicamente tramite corretta impostazione filologica si può identificare dunque evento subculturale, prepotente e coinvolgente per azioni di violenza extraculturale, cui usi linguistici deviati appartengono e che mostrano. Tale subculturalità è parte della storia dei termini ovvero delle fini di determinate civiltà o delle crisi di esistenza di queste stesse ma risulta del tutto assente ed impossibile nelle civiltà in cui natura e cultura sono naturalmente unite. Dunque chi tenta di negarlo mostra di esser vittima o colpevole di etnofobia contro cosmopolitismo greco e contro grecità, anche italiana.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Ho scritto in ultimo messaggio 'se rapportati' riferendomi appunto ai cosiddetti: "tattoo". Si potrebbe anche usare questo testo con inserimento esplicito:

il termine "tattoo" davvero è fatto per indicare superficie tattile cioè corrisponde gergalmente in linguaggio di uso in inglese ad italiano termine "tatto", per cui con "tattoo" propriamente si indicano estetiche non veritiere e sempre designificanti se appunto i cosiddetti "tattoo", ovvero tatuaggi, rapportati a chi se ne fa su corpo.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE:...

Dunque per e da naturale, naturalistica volontà di sapere, si può affermare:

la gaiezza (il termine inglese gay davvero è semanticamente uguale non identico a termine italiano "gaio") non ha alcun significato specificamente riferibile ad omosessualità anzi semmai ne sarebbe sconsigliabile per riferirsi a omosessualità;

il termine transgender, in cui "-gender" è semanticamente uguale a "-genda" di 'gendarme' o di 'agenda', sta a significare aver ruolo per azione non a scopo di azione e dunque può indicare della sessualità solo l'atteggiarsi anche unitamente a tattiche mimetiche ovvero di travestitismo;

il termine "tattoo" davvero è fatto per indicare superficie tattile cioè corrisponde gergalmente in linguaggio di uso in inglese ad italiano termine "tatto", per cui con "tattoo" propriamente si indicano estetiche non veritiere e sempre designificanti se cosiddetti "tattoo", ovvero tatuaggi, rapportati a chi se ne fa su corpo.

Storicamente tramite corretta impostazione filologica si può identificare dunque evento subculturale, prepotente e coinvolgente per azioni di violenza extraculturale, cui usi linguistici deviati appartengono e che mostrano. Tale subculturalità è parte della storia dei termini ovvero delle fini di determinate civiltà o delle crisi di esistenza di queste stesse ma risulta del tutto assente ed impossibile nelle civiltà in cui natura e cultura sono naturalmente unite. Dunque chi tenta di negarlo mostra di esser vittima o colpevole di etnofobia contro cosmopolitismo greco e contro grecità, anche italiana.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Non c'è dubbio che mostrare la non verità di situazioni falsamente naturali possa accadere invitando ad abbandonare riferimenti essenziali non cause ma origini di falsificazioni. Dunque la indagine filosofica così condotta perviene a descrizione di insignificanze e insensatezze, che però devono essere non solo individuate ma identificate filologicamente con atto filosofico e per questo non basta ricorso a dizionario enciclopedico-filosofico di assurdità perché si deve passare da nozione delle negatività ad informazione sulle negatività.
Non c'è dubbio che v'è nichilismo nelle categorizzazioni popolari di tipo sociale, civile, verbale, quali "gay", "transgender", "tattoo", per cui non esiste corrispondente vero essere sociale, civile verbale; eppure bisogna riconoscere alfine alterità verbale, civile, sociale, affinché la violenza subculturale sia smascherata nel profitto ai danni della cultura e dei reali saperi da questa sorgenti o risorgenti. Perciò di cotale negativa popolarità, volgarità e violenza, bisogna identificare realtà senza restare imprigionati in partecipazioni antifilosofiche alla politica faziosa, avendo attenzione di evitare le insidie della antipolitica che tenta di usare stesse fazioni politiche inconsapevoli.
Dunque bisogna riconoscere nella nullità comunicativa quanto di non nullo oltre ma alla base di quel comunicare vi sta.

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MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE... :

L'invito ad abbandonare il pensiero essenziale ha senso se tale pensiero non è sostenuto da pari intuizione essenziale. Si tratta cioè di naturismo che non potendo assolvere a nessun ruolo né còmpito e rifiutando consapevolezza dei propri limiti scade in antinaturalismo. Ma risoluzione vera sta nel mostrarne decadimento e optare nel naturalismo, perché l'antiessenzialismo vale solo per difesa momentanea.
La descrizione della realtà che propone liberazione dalla schiavizzazione da stessa realtà preposta è in verità riferibile non al mondo della organizzazione capitalista ma a parallela organizzazione capitalistica, che si protrae sfruttando liberismo ai danni di liberalismo e di fatto negando ideologie liberali, in ciò sostenuta da totalitarismo antilibertario. Avendo accortezza di constatarlo, si può notare la esistenza di una falsa protesta, che fa uso di fraintendimenti per celare proprio rifiuto ai danni del vero Occidente e contro il cosiddetto Villaggio Globale.

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MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE... :

Dunque filosoficamente si deve agire procedendo a sostituire nozioni vuote con informazioni non vuote.
La mancata definizione sessuale è fisiologicamente soltanto parziale, il mancamento se con infermità od anche malattie potendone essere aggravato, dunque ristabilire integrità fisica, di forma e di costituzione, guarire da malattie, rappresenta una occasione propizia per colmare quelle mancanze di definizione, che non sono mai indefinitezze totali; ma a riguardo esiste, negli ambienti che ho indicato tramite miei riferimenti critici anche a mondo della politica, una tenace voglia di rifiutare di porvi mente e di fingere perlopiù incubi che allontanano da comprensione di natura umana fino a fraintendere la forza vitale che non si lascia travolgere dalla passività dei tempi negativi e che vive i periodi biologici e sessuali lungamente cioè secondo esuberanza naturale. Il rifiuto accade pure fraintendendo durate di tempo, che sono confuse con le misure del tempo, in questo trovandosi il positivismo scientista a dare maggiori illusioni e a raddoppiare i guai, negando vera datità scientifica. La fisica dinamica ignora velocità effettiva del sole perché basa propri esperimenti usando sincronizzazioni su moti del sole offerte da sapienza tecnologica separata, per questo dire un giorno ed un anno non significa sempre ugual durata e quando accade uguaglianza non si tratta di ciclo naturale ma di ritmo in ogni caso provvisorio; identicamente la fisica statica ignora valenze di periodi di successioni astrali perché fondata su conformità a regolarità derivate da saperi tecnici distinti; la psicologia individua le durate del tempo vissuto dalla mente senza poterne valutare ampiezze effettive, per questo dire giovinezza e vecchiezza non equivale a numerare altrui periodi vitali e fisica e psicologia non assommano assieme ulteriori conclusioni. Ma questo e tanto altro non diverso da questo lo scientismo positivista lo ignora. Allora se la vitalità è confusa con la assenza di tanta vitalità, i fraintendimenti culturali o peggio subculturali generano confusione tra casi e casi. E da separatezze da natura, che si avvicendano le une sulle altre, allora la stessa idea di umanità e di possibile nuova umanità ne resta fraintesa; e tale estremismo è condizione di violenza suicida oppure omicida perché usato per coinvolgere, né sarebbe possibile violenza contro altri tanto obliosa senza esser di chi violento anche contro se stesso. Questo morire un poco o molto, non è solo civile culturale sociale, è, diventa proprio la morte che è parte del destino della vita, in quanto rifiutando tante ovvie comprensioni naturali accade fine di stirpi ed individui, popoli e nazioni, genti e tipi. Si deve constatare che esso, tal morire, è anche di moltitudini che vorrebbero o vogliono coinvolgervi anche altrui destino libero od esente, con tale coinvolgimento tentando di pregiudicare anche menzioni di cose, linguaggi e grammatiche, stessa gestualità e mimica.
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MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

MAURO PASTORE :...

Il pensiero essenziale privo di adeguata intuizione essenziale confonde in situazioni difficoltose travestitismo e sviluppo non ultimato, sintomi di malattie e rischi di malattie, patologie positive e negative, stati di malattia e malattia, per cui la furbizia appare ad esso debolezza e idiozia, il preservarsi... ritardo, la salute forte... malattia grave, le emozioni importanti... segni di decadimento, finanche la integrità mantenuta nonostante tutto appare ad esso in circostanze difficili... disfacimento, perché senza intuizione essenziale le circostanze ardue imposte dal mondo, anche dal mondo della droga di cui è parte l'abuso psicofarmacologico della malasanità, e dal terminare di rimedi civili senza l'iniziare di vita selvaggia, sottopongono il solo pensiero a inganni intellettuali gravi. Allora i tatuaggi diventano in tanta incomprensione... cicatrici, e gli anelli o altro di simile applicati al corpo in parti non controindicate per eccezioni od in gravi emergenze da sostituti per dirigere veleni ed energie ambientali negative lontano dal corpo diventano... catalizzatori di elettricità devitalizzante e armi che trafiggono.
E la baraonda di parole alienate, "trangender — transessuale — gay — tattoo (...)" diventano un campionario di antiessenzialità sostenute da essenzialità fraintese...

Eppure in tali circostanze, anche sociali, civili, verbali, non basta lasciare il pensiero senza fondamenti, bisogna ritrovare i fondamenti del pensare. Però ciò non è possibile negando il valore della cultura unita alla natura e della civiltà che non vive separatezze da natura.

MAURO PASTORE