venerdì 28 aprile 2017

Massacra, Laura, Il corpo cosciente

Soveria Mannelli, Rubbettino, 2015, pp. 194, euro 15, ISBN 978-88-498-4389-7.

Recensione di Marco Cavallaro – 25/04/2016

Il libro di Laura Massacra Il corpo cosciente affronta una questione che ha interessato la filosofia della mente di stampo analitico, e non solo, da quarant’anni a questa parte. Si tratta del problema di stabilire lo status ontologico specifico di quell’entità a tutti profondamente nota, eppur difficile da afferrare in termini filosofici, che è il corpo cosciente. Il ruolo del corpo cosciente è stato tradizionalmente interpretato sulla base della chiave di lettura di uno o dell’altro versante del dualismo mente/corpo.

Da una parte il fisicalismo, nella sua versione più estrema, si è reso responsabile di un occultamento del corpo cosciente in forza della sua riduzione a un sostrato materiale che per definizione è privo di coscienza. Il mentalismo, dall’altra, ha perpetuato tale occultamento considerando il divario tra sfera del mentale e mondo fisico come un limite invalicabile e postulando così l’esistenza di fenomeni coscienti disincarnati. L’importanza dal punto di vista filosofico della tematizzazione del corpo cosciente consiste precisamente nel superamento di tale forma di dualismo attraverso la riconciliazione delle dimensioni del mentale e del fisico in una categoria ontologica che, lontano dall’escluderle e tenerle separate, le riassume e sintetizza. 
L’autrice si propone quindi di analizzare quelle proprietà del corpo cosciente che lo rendono irriducibile, sia sul piano descrittivo-epistemologico sia su quello causale-ontologico, alle dimensioni, rispettivamente, del fisico e del mentale: ovvero la degenerazione funzionale e la duplicità d’aspetto. Per illustrare questi due concetti fondamentali viene presa in esame una ricca gamma di teorie che spaziano dalla filosofia analitica alla neurologia, dalla psicopatologia alla fenomenologia e antropologia filosofica. 
Nel primo capitolo Massacra chiarisce come il concetto di degenerazione funzionale attinente alla corporeità cosciente derivi dall’appellativo che il neuro-immunologo Gerald Edelman ha originalmente attribuito a determinati gruppi neurali funzionalmente predefiniti che possono assolvere, all’occorrenza, a funzioni differenti. Ad avviso dell’autrice, infatti, una tale proprietà può essere attribuita all’intero corpo cosciente. La polimorfia funzionale a livello neuronale è esemplificata dall’esistenza dei cosiddetti neuroni specchio che rivestono, secondo la teoria di Rizzolati e altri, una duplicità funzionale: gli stessi neuroni “scaricano” sia durante la percezione visiva di un movimento compiuto da un altro individuo, sia durante la propria attività motoria. Questo tipo di funzione viene caratterizzata da Massacra come un principio di attività semiotico-rappresentativa di costruzione di schemi simbolici, la quale, sebbene abbia luogo a livello fisico-neuronale, ricopre ruoli causali differenti da quelli meramente fisici. In tal senso va dunque spiegata la sopravvenienza epistemica del corporeo sul fisico. Per Massacra non si tratta per l’appunto di postulare un divario tra il fisico e il corporeo, ma di leggere quest’ultimo come un livello descrittivo autonomo all’interno della regione ontologica dei fatti fisici. La tesi dell’identità ontologica viene perciò mantenuta senza tuttavia ricadere in una qualsivoglia forma di riduzionismo particolarista. Le proprietà corporee rispecchiano, in altre parole, proprietà di secondo ordine sopravvenienti all’ordine causale della regione fisica di base, e per questo non sono riducibili ad essa.
Il capitolo secondo del libro di Massacra invita a ripensare il corpo come entità intrinsecamente cosciente. In tal senso viene introdotta inizialmente la distinzione tra disturbi psicologici e malattie mentali, laddove le prime sono immediatamente identificate con disfunzionalità a livello del substrato fisico-neuronale, mentre le ultime coinvolgono dissociazioni nella sfera della coscienza, dell’intenzionalità e delle funzioni simboliche. Il fulcro dell’argomentazione di Massacra è che persino nelle forme dissociative più estreme permane una coscienza di sfondo legata alla dimensione corporea nel suo complesso che Edelman definisce “scena”, la quale a sua volta è responsabile del processo di costituzione del “proto-sé”. Il proto-sé esprime il fenomeno per cui la dimensione spaziale così come la categorizzazione percettiva implicano un sistema preordinato di relazioni e funzioni facenti capo al corpo in quanto proto-forma della soggettività. La scena percettiva si caratterizza dunque come quel principio attraverso cui i vari stimoli sensoriali vengono ricondotti a categorie ben definite dando così luogo ad una rappresentazione unificata del mondo che per essere tale presuppone una preliminare distinzione tra un senso del sé e la percezione dell’ambiente circostante. Si tratta in altri termini della costruzione progressiva di una “soggettività del punto di vista” (p. 103) che è resa possibile unicamente dall’esistenza di un corpo cosciente.
Nel capitolo successivo Massacra intende criticare quelle teorie che contemplano una netta separazione tra cognizione e coscienza. Da un lato, si tratta di chiarire come coloro che fanno riferimento all’esistenza di intenzioni inconsce, come ad esempio Searle, Dennett e la stessa psicoanalisi, non pongano dovuta attenzione al fatto che, come precisa Massacra, “se l’individuo non è in grado di accedere al proprio contenuto intenzionale, ciò significa che egli si trova in uno stato mentale identico a uno stato non provvisto di alcun contenuto intenzionale” (p. 123-24); di conseguenza parlare di azione intenzionale inconscia è “una contraddizione in termini” (ibid.). Dall’altro lato, Massacra analizza in chiave critica il fenomeno della cosiddetta “visione cieca” (blind sight), ovvero di una struttura rappresentazionale nella quale è assente qualsiasi forma di qualità coscienziale o di categorizzazione concettuale, così come l’ipotesi dell’esistenza di un “contenuto visuo-motorio” che, a differenza del contenuto visuo-percettivo classico, non esibisce caratteristiche fenomeniche, ovvero proprietà della coscienza. In tal modo i contenuti della visione cieca risulterebbero identici a meri dati fisici grezzi, non mediati sensorialmente. Ma ciò corrisponderebbe a rinunciare allo stesso concetto di esperienza, e postulare la possibilità di un accesso extra-sensoriale allo stimolo, come nota Massacra, “attraverso un’attività simile alla divinazione” (p. 129).
Un’importante aspetto della teoria proposta da Massacra che emerge soprattutto nei due capitoli conclusivi del libro riguarda da vicino lo statuto ontologico dei qualia, ossia le qualità fenomeniche dell’esperienza grazie alle quali uno stato mentale è vissuto e non semplicemente dato come un mero fatto fisico. I qualia rimandano alla caratteristica essenziale di ogni esperienza di originare a partire da un punto di vista soggettivo. Dato che però la prospettività esperienziale è in stretta correlazione con il darsi di una corporeità cosciente, Massacra deduce che i qualia devono essere interpretati necessariamente come espressione dell’essere incarnato della coscienza. In tal senso non è corretto parlare di qualia in termini di proprietà esclusivamente mentali, come invece li intende il funzionalismo. Quest’ultimo, difatti, viene accusato di operare una sorta di riduzionismo ontologico parallelo a quello del fisicalismo grezzo, dato che nessuna spiegazione funzionalistica cattura il quid essenziale degli stati mentali qualitativi come dimostra l’argomento degli zombies, cioè l’ipotesi dell’esistenza di individui che si comportano esattamente come noi e che condividono gli stessi stati funzionali, ma i cui stati non hanno proprietà qualitativa.
Il capitolo conclusivo affronta una serie di questioni legate alla definizione del corpo semantico o cosciente (i due termini vengono utilizzati dall’autrice quasi intercambiabilmente). Una di queste riguarda la supposta differenza tra corpo cosciente e coscienza corporea che emerge dalla discussione dell’illusione della mano di gomma. La possibilità di percepire sensazioni corporee indotte in un arto che non fa parte del nostro corpo materiale ha confermato per alcuni l’ipotesi che la relazione tra il mio corpo, in quanto oggetto fisico-materiale, e le mie sensazioni sia un fatto puramente contingente. Massacra propone di superare la dicotomia tra corpo materiale e coscienza corporea, sottolineando il fatto che ciò che consente di unificare il campo percettivo in uno spazio relativo, ossia non allocentrico, e che in tal senso viene a costituire il centro in relazione al quale tutte le dimensioni spaziali vengono determinate, deve essere identificato propriamente con il corpo proprio cosciente. Le sensazioni corporee manifestano però sempre un duplice aspetto: da un lato, esse mettono il soggetto a contatto con il mondo esterno; dall’altro, operano riflessivamente fornendo informazioni circa le risposte spontanee da parte del soggetto relative allo stimolo esterno. Riprendendo così una tesi centrale della fenomenologia classica del corpo, Massacra mostra come le qualità relative ai fenomeni di orientamento corporeo afferiscono tanto all’oggetto intenzionale quanto all’esperienza soggettiva. Una tale duplicità d’aspetto non concerne tuttavia la sola esperienza, ma anche il corpo cosciente in quanto organismo vivente. L’autrice mette quindi a frutto la teoria del corpo biologico di Helmuth Plessner, la quale a sua volta riprende la lezione husserliana sulla costituzione dell’oggetto percettivo. La differenza tra corpo meramente materiale e corpo vivente risiede secondo il filosofo tedesco nella proprietà da parte di quest’ultimo di esibire una duplicità d’aspetto, ovvero “l’essere un esterno che rinvia a un interno” (p. 174). Da qui discende l’idea che la posizionalità del corpo vivente all’interno del mondo naturale sia da intendere tanto in termini spaziali quanto nel senso del prendere una posizione attiva nei confronti degli stimoli provenienti dall’ambiente circostante. La struttura dell’esperienza infatti, come precisa Massacra, “manifesta una apertura oltre i limiti delle azioni effettive del corpo, e nella interazione con gli oggetti nello spazio viene a rappresentare un campo di possibilità corporee” (p. 183). Non vi è in tal senso una causalità rigida per cui ad un dato stimolo sensoriale è possibile prevedere in maniera esatta la reazione del corpo, sia in termini biologici che coscienti-rappresentazionali. L’oggetto costituisce al contrario un’affordance, per utilizzare un termine di Alva Noë, ovvero un campo di possibilità funzionali che mutano da individuo a individuo.
In conclusione, il libro di Massacra stupisce per la ricca quantità di riferimenti a teorie e concezioni proveniente da diversi campi del sapere. Tale ricchezza ha il pregio di poter condurre il lettore a piccoli ma sicuri passi verso la comprensione della tesi centrale dell’autrice circa l’autonomia ontologica del corpo cosciente. Lungo il cammino si avrà oltretutto modo di apprezzare una varietà di esempi tratti dalla vita quotidiana, dalla psicologia e scienze della mente, così come dalla filosofia, i quali, oltre ad illustrare concetti di volta in volta centrali all’interno della linea argomentativa di Massacra, sapranno certo rendere ancora più appassionante la lettura di questo libro. Il corpo cosciente è un libro centrale per la comprensione di tematiche attuali all’interno del dibattito condotto dai filosofi della mente e delle scienze cognitive di stampo anglosassone, che certamente lascerà un segno anche nel panorama degli studi italiani che si rifanno a questa tradizione.


Indice

Prefazione di Silvano Tagliagambe

Introduzione

1. Teoria dell’identità e causazione corporea
1. Introduzione
2. Identità… mentali?
3. Le proprietà corporee tra ordini e livelli
4. Degenerazione funzionale come proprietà corporea
5. Fisico mentale o corporeo?
6. Qualia: proprietà incorporee?
7. Sopravvenienza epistemica del corporeo sul fisico
8. L’argomento della generalizzazione e la causazione «corporea»

2. Il corpo cosciente
1. La scena: ovvero l’indissociabilità tra corpo e coscienza
2. Dalla categorizzazione percettiva alla coscienza primaria
3. La razionalità vincolata della coscienza
4. Il corpo semantico

3. Cognizione, intenzione e coscienza corporea
1. Può esistere cognizione senza coscienza?
2. Intenzioni senza coscienza?
3. Cognizione incosciente o coscienza corporea?

4. Corpo mente e contenuto
1. Mente, corpo e contenuto non concettuale
2. Scenario come corpo cosciente
3. I qualia non sono nella mente funzionale

5. Il corpo semantico
1. I qualia e il corpo proprio
2. La dimensione riflessiva del corpo semantico
3. La duplicità aspettuale del corpo semantico
4. I gradi dell’organico e il corpo semantico
5. La duplicità d’aspetto del corpo e i due momenti della percezione
6. Qualia: gli «errori» del corpo semantico
7. Funzioni biologiche: adattamento o esattamento?

5 commenti:

MAURO PASTORE ha detto...

Argomentare su corpo cosciente e trattarne le implicazioni culturali e conoscitive in prospettiva e realizzazione ontologica ha esito obiettivo perché la decisionalità propria di ogni atto filosofico non ne esclude oggettiva neutralità entro soggettività alternativamente generalizzabile (si consideri a riguardo l'opera di k Jaspers).
Però dato che la recensione pone in causa la psicoanalisi, va precisato che è stato solamente l'uso tecnico di essa da parte della neurologia ad essersi sottratto al confronto con ciò che si può definire: coscienza del corpo.

In principio i medici psicologi usavano la psicoanalisi scientificamente non tecnicamente ma teoricamente e da costoro si era deciso di coinvolgere la medicina neurologica in uso tecnico non professionale, per ragioni di urgenza sanitaria ed emergenza umanitaria e con scopo di fissare un linguaggio tecnico adeguato per future interdisciplinarità. Il metodo scientifico della psicoanalisi fu principiato, realizzato e compiuto, ovviamente, da psicologi e tra questi non era S. Freud, che in qualità di neurologo e ricercatore scientifico aveva svolto alcuni còmpiti di interdisciplinarità ed era stato un pioniere delle ricerche sull'inconscio in questo àmbito soltanto, dunque aveva solo, sotto indicazioni di psicologi, fornito comparazioni utili alla definizione di una futura comunicazione reciproca. Aveva studiato gli aspetti neurologici della attività onirica e con ciò, nonostante sua neghittosità quasi continua e solo alfine completa ma non prevalente, aveva offerto (con intervento decisivo di ingiunzioni da parte di Autorità giudiziarie) valido apporto a future, altrui realizzazioni di scienza neurologica. Ma da tal S. Freud e da alcuni suoi colleghi, seguaci, interessati, era nata sorta di mitomania, che dava definizione non scientifica ma linguisticamente analoga, poi omologa, di essere di "azioni intenzionali inconsce". Invece le azioni dall'inconscio sono quelle degli istinti cioè senza possibile intervento di intenzionalità!! Il medico, scienziato, psicologo e psicoanalista, anche filosofo ad occorrenza, C. G. Jung si adoperò spesso perché le Autorità degli Stati non fossero confuse o perlomeno non restassero confuse dai mitomani che della umanità vorrebbero far immaginare animalità e razionalità come se le due cose fosser separabili in essa. Jung a riguardo ottenne tanti risultati ed i maggiori in India, al cui Stato fornì opportune conoscenze di tecniche, di scienza, di cultura occidentali allo scopo di aiutarne la legittima difesa da interventi esterni e violenti contro la autodeterminazione sia di non pazienti che pazienti in rapporto alla eventualità o realtà medica; ma anche in Europa ed anche in Germania dove ci si avvalse solamente dopo la fine della dittatura nazista della sua attività etica-professionale durante stessa dittatura.
Nonostante tanti successi passati non di uno solo, resta ancora necessario badare alle intellettuali distinzioni e difese summenzionate.

Anche la decisione e comunicazione e ricezione filosofiche sono contributi concreti alla giusta causa, perché questa si realizza dando facoltà al progresso scientifico entro la utilità della vita, per la quale la saggezza è condizione necessaria in mezzo alle traversie della violenza ed essendo nella filosofia la saggezza più adatta per gli scopi anche indiretti delle scienze. Allora gli studi che vi provvedono sono anche quelli filosofici. Indubbiamente tale si presenta quello di autrice di nome Laura e cognome Massacra, perché, in tutta evidenza lo si arguirebbe già da indice, l'autrice prospetta, direttamente, un quadro culturale favorevole ad eticamente e scientificamente opportune distinzioni fisiologiche, psicologiche, psicosomatiche, psicofisiche. Ma comunque queste distinzioni entro quest'ultimo stesso quadro si rendono necessarie ma non per storica e pratica inadempienza del vero metodo della psicoanalisi.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

In mio messaggio sopra ho scritto: k Jaspers, mi riferivo a Karl Jaspers (1883-1969).

La ultima frase del mio testo è leggibile meglio dandone opportuna intonazione, che forse oltre a dipendere da comprensione del precedente non risulta facile per qualsiasi modo di concepire ed intendere la lingua italiana. Perciò faccio presente che va intesa in tal senso:

' Ma, comunque, queste distinzioni entro quest'ultimo stesso quadro si rendono necessarie... Ma non per storica e pratica inadempienza del vero metodo della psicoanalisi!'

Certo... ho menzionato l' India e molti indiani potendo leggere non vi troverebbero penuria stilistica ma facilità, molti altri lettori invece differentemente; per questo si legga anche questa scrittura alternativa, tutto sommato preferibile:

' Comunque, queste distinzioni entro quest'ultimo stesso quadro si rendono necessarie, eppure non per storica e pratica inadempienza del vero metodo della psicoanalisi.'

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Negli ultimi decenni in Occidente quindi altrove si sono presentati o ripresentati o sono continuati gli stessi problemi etici che afflissero la Germania prima e durante dittatura nazista. Tali problemi, assai più pressanti dopo la Guerra Fredda ad Ovest che ad Est, in America trovarono soluzioni parziali o mancate risoluzioni da parte della attività di consulenza filosofica o di professione filosofica politica. Ritengo quindi utile aggiungere al mio commento precedente anche questo altro.

Il medico, psicologo e filosofo K. Jaspers, per fini di fondazione di pratica di medicina mentale e con scopo di stabilirne relativa etica professionale, aveva dimostrato scientificamente la plusvalenza di ogni fenomeno patologico negativo, quindi ci aveva aggiunto considerazione filosofica sulla polivalenza della positività patologica. Ciò era accaduto in Germania dopo attività medica e scientifica nonché filosofica di A. Adler (il fondatore della psicologia individuale): costui dopo aver indicato filosoficamente la negatività del sintomo del malessere per la naturale od altra difesa aveva dimostrato scientificamente la positività del sintomo della malattia per naturale od altra prevenzione. Durante queste attività anche e specialmente professionali lo Stato era finito in regime anarchico prima, sotto dittatura dopo; nonostante tutto nella Sanità nazionale tedesca quanto di precario prima e di irrealizzato poi non mancò di essere fissato e compiuto in Germania Ovest prima e poi in Germania Est durante riunificazione del Paese.
Si trattava di agire in base ai progressi scientifici risolvendo i problemi etici nuovi; ma la autentica, libera attività politica non solo tedesca finiva prima succube poi vittima. In questi fatti erano problematici anche i contrasti tra settori scientifici e tra àmbiti professionali.
La concorrenzialità ricercata da alcuni ambienti della neurologia coinvolgeva senza assenso la istituzione accademica della psicologia, entrambe quali scienze essendo non per esperimenti ma tramite esperienze. Inoltre v'era rifiuto da parte di alcuni ambienti della fisiologia, anche questa quale scienza potendosi definire esperenziale ovvero empirica cioè non sperimentale.
Non esistevano ancora studi di scienza antropologica (non etnologica) decisivi che illustrassero:

la natura intenzionale di ogni guarigione e la natura volontaria di ogni azione medica possibile;

e per questo motivo difendere vera etica della professione medica era difficile, poi arduo, anche a causa della suddetta concorrenzialità, cui poi aggiungendosene opposta, da parte di alcuni ambienti della psicologia, le Autorità trovarono modo di reagire attuando riequilibramento e con certo successo, restando però grave e fino ai nostri giorni il pregiudizio antipsicologico, che alcuni neurologi (lo stesso S. Freud ne era stato pessimo esempio negativo) estremizzarono abusando di menzione di tecnica psicoanalitica oppure di tecnica psicoanalitica stessa.

Applicato a questi eventi drammatici ed in vasta parte inconclusi, il quadro intellettuale offerto dalla considerazione filosofico-ontologica della entità del corpo cosciente ha necessaria valenza etica, in quanto azione determinante particolarmente. Esso mostra:
una evidenza criminologica, nella biologicamente motivata descrizione della degenerazione, evidentemente sintomatologicamente significante non fisiologicamente, essendo questo ultimo falso significato la pretesa della pseudomedicina e del falso intervento infermieristico;
una evidenza non criminologica, nella psicologicamente determinata descrizione della non ambiguità ovvero duplicità di aspetto fisico non intenzionale e unicità di particolare manifestazione fisica intenzionale, essendo ciò contestabile senza realmente porvi mente, cioè anche da inadeguati o falsi sostenitori diretti o indiretti di accuse o di false accuse.

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Argomentare su corpo cosciente e trattarne le implicazioni culturali e conoscitive in prospettiva e realizzazione ontologica ha esito obiettivo perché la decisionalità propria di ogni atto filosofico non ne esclude oggettiva neutralità entro soggettività alternativamente generalizzabile (si consideri a riguardo l'opera di K. Jaspers).
Però dato che la recensione pone in causa la psicoanalisi, va precisato che è stato solamente l'uso tecnico di essa da parte della neurologia ad essersi sottratto al confronto con ciò che si può definire: coscienza del corpo.

In principio i medici psicologi usavano la psicoanalisi scientificamente non tecnicamente ma teoricamente e da costoro si era deciso di coinvolgere la medicina neurologica in uso tecnico non professionale, per ragioni di urgenza sanitaria ed emergenza umanitaria e con scopo di fissare un linguaggio tecnico adeguato per future interdisciplinarità. Il metodo scientifico della psicoanalisi fu principiato, realizzato e compiuto, ovviamente, da psicologi e tra questi non era S. Freud, che in qualità di neurologo e ricercatore scientifico aveva svolto alcuni còmpiti di interdisciplinarità ed era stato un pioniere delle ricerche sull'inconscio in questo àmbito soltanto, dunque aveva solo, sotto indicazioni di psicologi, fornito comparazioni utili alla definizione di una futura comunicazione reciproca. Aveva studiato gli aspetti neurologici della attività onirica e con ciò, nonostante sua neghittosità quasi continua e solo alfine completa ma non prevalente, aveva offerto (con intervento decisivo di ingiunzioni da parte di Autorità giudiziarie) valido apporto a future, altrui realizzazioni di scienza neurologica. Ma da tal S. Freud e da alcuni suoi colleghi, seguaci, interessati, era nata sorta di mitomania, che dava definizione non scientifica ma linguisticamente analoga, poi omologa, di essere di "azioni intenzionali inconsce". Invece le azioni dall'inconscio sono quelle degli istinti cioè senza possibile intervento di intenzionalità!! Il medico, scienziato, psicologo e psicoanalista, anche filosofo ad occorrenza, C. G. Jung si adoperò spesso perché le Autorità degli Stati non fossero confuse o perlomeno non restassero confuse dai mitomani che della umanità vorrebbero far immaginare animalità e razionalità come se le due cose fosser separabili in essa. Jung a riguardo ottenne tanti risultati ed i maggiori in India, al cui Stato fornì opportune conoscenze di tecniche, di scienza, di cultura occidentali allo scopo di aiutarne la legittima difesa da interventi esterni e violenti contro la autodeterminazione sia di non pazienti che pazienti in rapporto alla eventualità o realtà medica; ma anche in Europa ed anche in Germania dove ci si avvalse solamente dopo la fine della dittatura nazista della sua attività etica-professionale durante stessa dittatura.
Nonostante tanti successi passati non di uno solo, resta ancora necessario badare alle intellettuali distinzioni e difese summenzionate.

Anche la decisione e comunicazione e ricezione filosofiche sono contributi concreti alla giusta causa, perché questa si realizza dando facoltà al progresso scientifico entro la utilità della vita, per la quale la saggezza è condizione necessaria in mezzo alle traversie della violenza ed essendo nella filosofia la saggezza più adatta per gli scopi anche indiretti delle scienze. Allora gli studi che vi provvedono sono anche quelli filosofici. Indubbiamente tale si presenta quello di autrice di nome Laura e cognome Massacra, perché, in tutta evidenza lo si arguirebbe già da indice, l'autrice prospetta, direttamente, un quadro culturale favorevole ad eticamente e scientificamente opportune distinzioni fisiologiche, psicologiche, psicosomatiche, psicofisiche. (Comunque, queste distinzioni entro quest'ultimo stesso quadro si rendono necessarie, eppure non per storica e pratica inadempienza del vero metodo della psicoanalisi.)

MAURO PASTORE

MAURO PASTORE ha detto...

Preciso che la affermazione:

la natura intenzionale di ogni guarigione e la natura volontaria di ogni azione medica possibile;

evidentemente non implica confusione tra medicina ed infermeria ma ne mostra distinzione;

ovviamente non essendo la medicina una causa che reca un effetto ma una possibilità costituita da un evento o da qualcosa, l'azione medica è realizzata dal volontario paziente su proposta volontaria del medico.

Ciò vale anche per uso di sostanze, del tutto inutili se obbligate o se non accolte volontariamente ed anche penose oltre che inutili o finanche disastrose se obbligate; e vale ciò anche per contatti con oggetti o per azioni fisiche, psicofisiche, mentali.

Insomma:

1)
la azione medica non è del medico ma del destinatario della medicina;

2)
la guarigione da danni o danneggiamenti al corpo è iniziativa del paziente non dell'infermiere.

(Io che ho scritto e precisato tutto questo preciso anche di provenire ed appartenere a cultura e pensiero naturali oltre che civili. Dunque non ho né potrei avere modi comunicativi o modalità di espressione che presentano la realtà naturale quale sorpresa o scoperta. Solamente dopo aver implicitamente manifestato le ovvietà naturali mi è possibile esplicitare le ovvietà naturali e queste esplicitazioni non mi sono mai spontanee perché non mi sono necessarie neppure per affermare qualcosa. Non si tratta di negare messaggi e comunicazioni ma di esistere in un senso anziché in un altro. Io affermando a mio modo non nego comprensione altrui e se aggiungo affermazioni ciò serve per spiegare, ugualmente a chiunque che spiega qualcosa.)

MAURO PASTORE