sabato 30 aprile 2005

Costa, Mario, Dimenticare l’arte. Nuovi orientamenti nella teoria e nella sperimentazione estetica.

Milano, Franco Angeli, 2005, pp. 142, € 18,00

Recensione di Antonio Tursi - 30/04/2005

Estetica, Filosofia teoretica (filosofia della tecnica)

Dimenticare l’arte è un libro che va consigliato per la chiarezza espositiva e per la forza delle argomentazioni. L’autore, con la passione che da sempre lo contraddistingue, ripropone alcuni dei concetti chiave che è andato elaborando negli ultimi due decenni e li inserisce in una ricognizione d’insieme sul dibattito estetologico moderno e contemporaneo. Se i filosofi moderni, che a vario titolo sono ascrivibili all’interno della disciplina etichettata con il termine “estetica”, si sono posti il problema di trovare la vera definizione del concetto di arte, gli attuali estetologi, di fronte soprattutto al nuovo scenario mediale, si interrogano sull’esistenza o meno di quello stesso concetto. Se i primi hanno foggiato e utilizzato nozioni quali “espressione”, “stile”, “genio”, “bellezza”, “idea” per definire e delimitare il campo delle “arti belle”, i secondi si dividono tra coloro che constatano il dilagare senza limiti dell’economico-comunicazionale che invade e riconduce a sé l’ambito di ciò che è stato detto arte (ambito al quale essi guardano con nostalgia), e coloro che invece proprio nell’arte intravedono una barriera a quell’onda anomala e altrimenti irrefrenabile. Rispetto a tutti costoro si pone Mario Costa. Egli mostra l’infondatezza teorica e dunque la non applicabilità di tutte le nozioni via via elaborate dall’estetica moderna, dal Rinascimento al secolo appena trascorso. E, proprio riferendosi agli autori novecenteschi, indica alcuni degli errori più radicati nelle concezioni dell’arte: stabilimento di una Categoria assoluta di ordine generale; confusione tra l’artistico, il vitale e l’estetico; mancata individuazione del nesso arte-tecnica e conseguente incapacità di periodizzare tale nesso; estensione indebita di considerazioni fatte su un tipo di prodotto artistico a tutti gli altri; trasferimento indebito di considerazioni fatte su un modo della tipologia a un altro; attenzione esclusiva agli effetti dell’arte a scapito dell’attenzione all’arte stessa. Su questa base, rispetto al dibattito contemporaneo, Costa presenta la sua definizione di arti (al plurale) come estetizzazioni della tecnica. Una definizione che, da un lato, preserva l’inutilità dell’artistico, il suo non essere riconducibile all’economico, ma dall’altro, non ne eradica il rapporto decisivo con le neo-tecnologie, con il nostro attuale destino. Nella visione di Costa, l’arte non sprofonda negli abissi dei flussi, ma neppure li trascende. L’artista o meglio il ricercatore estetico-epistemologico fa il surf sull’onda elettronica.

Cosa si intende per estetizzazione della tecnica? “Estetizzazione non può essere un termine univoco ed assume anzi un significato diverso a seconda della tecnica e della pratica artistica di cui si tratta. […] Ciò significa che devono esserci tante estetiche, una per ciascuna tecnica e per ciascuna pratica artistica, e, a rigore, una per ciascun prodotto” (p. 73). Sono dunque gli eventi, gli avventi della tecnica che danno l’impronta alle pratiche e alle teorie dell’arte. Sono quella “necessità iscritta nell’ordine delle cose” (p. 125) che orienta i singoli nelle loro intenzioni e nelle loro realizzazioni. Ecco perché le esemplificazioni del concetto di estetizzazione della tecnica (cfr. n. 71, pp. 73-74) sono le più varie e dipendono in ogni caso dalla tecnica oggetto (finanche soggetto) di intenzionalità estetica. Conviene dunque accennare alla periodizzazione che Costa offre dello sviluppo tecnico. Egli distingue un periodo tecnico, uno tecnologico e, infine, uno neo-tecnologico. La tecnica (il martello, la pittura) è “l’epoca della mano”, degli utensili individualizzati e separati, che rispondono ai bisogni. La tecnologia (la luce elettrica, la fotografia) è segnata al contrario dal “familiarismo” delle tecnologie, dal loro costruire complessi, sequenze, ibridazioni che marginalizzano l’uomo. Le neo-tecnologie (il digitale, le reti, le bio-tecnologie), infine, completano e pervertono il processo iniziato con le tecnologie, costituendosi in “blocchi” autonomi dall’uomo e sé-operanti. Da questa prima distinzione ne scaturisce una seconda, quella tra arti tecniche, tecnologiche e neo-tecnologiche. Le prime immediatamente legate al corpo, le seconde traduttrici del soggetto e dunque descrivibili come linguaggi, le terze infine legate unicamente all’oggetto e le cui categorie forti sono l’“esteriorità”, i “significanti”, il “non-soggetto”, la “sensorialità”, la “fisiologia della macchina”, segnata dal flusso comunicazionale. A queste due distinzioni se ne lega una terza che concerne un elemento più specifico quale l’immagine. L’autore distingue tra un statuto antico e pre-moderno, uno moderno e uno post-moderno dell’immagine. Il primo caratterizzato da uno stretto legame tra l’immagine e il referente, l’io e la realtà ontologica. Il secondo caratterizzato utilizzando l’espressione di Paul Virilio: “blocco immagine”, inteso come auto-riferimento radicale, come rimando inesorabile da un’immagine all’altra. Il terzo, infine, caratterizzato con l’espressione “blocco comunicante”, inteso come sistema di tecnologie della comunicazione, che assimila e dissolve ogni immagine, offrendo in cambio unicamente una “possibilità di immagine”.

L’instaurarsi del “blocco comunicante” comporta però dei rischi, quali la sua chiusura su sé stesso, la derealizzazione, l’induzione forzata di una comunicazione che diviene mera pulsione. Rispetto a questa situazione, non sono però possibili né auspicabili l’esodo e la fuga in un altrove che non è dato. Queste tecnologie sono il nostro destino e il ricercatore estetico deve essere perciò colui che “scopre le carte”, che permette di osservare la fisiologia della macchina, “instaura[ndo] tra i media dei legami non pertinenti per una comunicazione priva di contenuto ma ad intenzionalità estetica” (p. 116). In questa frase si riassume tutta la proposta teorica di Costa, in un’estetica del flusso che permette di abitare (e non di fuggire) i flussi, in un’estetica che fa girare a vuota l’impianto e che in tal modo lascia che esso si manifesti completamente.

Cosa resta da dire? Due cose. La prima riguarda il titolo del volume. Non ci pare affatto che Costa dimentichi l’arte, anzi ci pare vero il contrario. Tutto sta in come si definisce quella parola formata da quattro lettere. L’autore propone la sua definizione che sicuramente non rientra affatto tra quelle rese disponibili dall’estetica moderna. Ma proprio questo dovrebbe far riflettere. È possibile dichiarare una dimenticanza nei confronti di un qualcosa che è stato già a sua volta dimenticato? L’estetica moderna non ha forse dimenticato un rapporto essenziale -- quello tra arte e tecnica -- che invece il mondo greco aveva ben compreso (seppure nella diversità epocale determinata dal diverso sviluppo tecnico)? Perciò, forse, il vero titolo di questo volume dovrebbe essere Dimenticare la dimenticanza dell’arte oppure Dimenticare l’arte (come definita nell’epoca) moderna.

Che Costa non si dimentichi affatto dell’arte è detto dalla sua stessa definizione del proprio lavoro: egli parla di una “teoria delle arti”, di una “filosofia dei prodotti artistici”, di una “filosofia delle arti” e, infine, di una “filosofia delle pratiche tecnico-artistiche”. I contributi all’estetica tecnologica e a quella neo-tecnologica sono rivolti a un esame puntuale di vari prodotti individuati come artistici. Questo è sicuramente apprezzabile se si raffronta il lavoro di Costa (il presente come i precedenti) con i lavori di altri suoi colleghi troppo spesso incapaci di incaricarsi delle concrete pratiche tecnico-artistiche, ma anche della storia dell’arte tout court. Al contrario, però, si deve dire che delimitare l’estetica a “una filosofia delle arti” non rende un servizio completo alla comprensione del nostro presente attuale. L’estetica, soprattutto nel Novecento, si è mostrata disciplina assai troppo indisciplinata (come dimostra la stessa riflessione di Costa sulla questione della tecnica), ma capace proprio per questo di permettere una comprensione, profonda e ampia nello stesso tempo, del mondo nel quale ci siamo trovati ad abitare.

Indice

1. Delle categorie dell’estetica e della loro liquidazione
2. Delle arti in quanto estetizzazione delle tecniche
3. Degli errori dell’estetica
4. Contributo all’estetica tecnologica
5. Contributo all’estetica neo-tecnologica

L'autore

Mario Costa insegna Estetica presso l’Università di Salerno e Etica ed Estetica della comunicazione presso l’Université de Nice – Sophia Antipolis. Da almeno tre decenni è impegnato nella definizione e nella promozione di un’estetica legata alle nuove tecnologie dell’immagine, del suono, della scrittura, della comunicazione. Su questi temi ha pubblicato, tra l’altro, i seguenti volumi: L’estetica dei media (Lecce, Capone, 1990 e poi Roma, Castelvecchi, 1999), Il sublime tecnologico (Salerno, Edisud, 1990 e poi Roma, Castelvecchi, 1998) e, infine, Internet e globalizzazione estetica (Napoli, Tempo Lungo, 2002).

Links

Intervista a Costa su Dimenticare l’arte: http://www.luxflux.net/n12/artintheory1.htm
Art Media, manifestazione sull’arte neo-tecnologica curata da Costa: http://www.artmedia.unisa.it/

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