mercoledì 20 luglio 2005

Minazzi, Fabio, Contestare e creare. La lezione epistemologico-civile di Ludovico Geymonat.

Napoli, La Città del Sole (La foresta e gli alberi, 8), 2004, pp. 463, € 35,00, ISBN 88-8292-257-X.

Recensione di Maurizio Brignoli – 20/07/2005

Filosofia della scienza, Storia della filosofia (contemporanea), Filosofia politica (marxismo)

Contestare e creare è una raccolta di saggi presentati da Minazzi in vari convegni organizzati nel 2001 per il decennale della morte di Ludovico Geymonat.
Minazzi ricostruisce lo stretto intreccio che intercorre fra la ricerca epistemologica di Geymonat e la sua riflessione morale e civile. Geymonat mostra la sua personalità e il suo coraggio fin dal suo esordio filosofico, Il problema della conoscenza nel positivismo (1931), volto a rivalutare il pensiero positivista nell’ambiente ostile del neoidealismo italiano. Geymonat è però poi l’unico studente filosoficamente ostile a Croce che, tuttavia, sottoscrive la lettera di solidarietà al filosofo di Pescasseroli dopo l’attacco sferratogli da Mussolini in conseguenza delle critiche crociane ai Patti lateranensi.
Importante nella formazione di Geymonat è l’incontro con la filosofia di Erminio Juvalta, che sottolinea l’importanza della coerenza intesa come criterio metamorale, tramite il quale è possibile valutare il comportamento del singolo e confrontare “oggettivamente” axiologie diverse. È impossibile separare l’esperienza intellettuale di Geymonat da quella civile, considerato che il valore della coerenza è per lui centrale sia in campo epistemologico, dove la coerenza inferenziale di un’argomentazione costituisce un momento irrinunciabile, sia in ambito etico-civile e morale. 
Secondo Geymonat, in una sintonia con Kant non esplicitamente rilevata, l’unitarietà metodologica connessa con l’analisi neoempirista non riesce a superare la scissione presente nell’uomo fra dimensione teoretica e pratica. Il rapporto fra l’adesione al neoempirismo e l’avvicinamento a Martinetti vengono a costituire due aspetti complementari di uno stesso atteggiamento critico-razionalistico, in cui la dimensione teoretica non esaurisce l’impegno esistenziale dell’uomo. È sulla base di questa singolare saldatura tra il neopositivismo e la riflessione etico-religiosa di Martinetti che Geymonat affronterà la guerra e la lotta partigiana. Geymonat rimane affascinato dalla concezione etica-aristocratica-metafisica martinettiana, secondo la quale tra gli individui esistono differenze etiche ontologiche radicali che danno vita a classi morali “superiori” e “inferiori”, che nulla hanno a che fare con un’appartenenza di classe sociale.
L’intransigenza etica di Geymonat rafforzata dall’esempio di Martinetti, uno dei pochissimi professori universitari che non giurarono fedeltà al fascismo, contribuisce, sul piano politico, all’abbandono dell’antifascismo liberalsocialista di “Giustizia e Libertà”, i cui rappresentanti si mostravano disposti a molteplici compromessi che comportavano una “doppia verità” etico-civile, pubblica fascista e privata antifascista, che non poteva essere martinettianamente accettabile. Geymonat decide allora di iscriversi al Partito comunista, chiedendo però una specie di “dispensa ideologica” dalla condivisione della filosofia ufficiale del partito, il Diamat staliniano, in quanto ritiene ancora di poter coniugare il neopositivismo viennese con la filosofia di Martinetti. Il dissenso filosofico riguarda più l’aspetto materialistico-dialettico del Diamat che non la concezione materialistica della storia che, per il suo stretto nesso con la dimensione della prassi, costituisce per Geymonat un interessante punto di riferimento. Appena finita la guerra, la sua onestà intellettuale gli impone di pubblicare il saggio Materialismo e problema della conoscenza (1946), in cui difende l’epistemologia di Mach contro il materialismo dialettico e, contemporaneamente, difende la posizione di Lenin contro la pretesa machiana di separare metafisicamente la dimensione della prassi da quella conoscitiva. Geymonat rimarrà comunque culturalmente isolato nel partito, che privilegerà la ricerca di un nesso tra marxismo e neoidealismo, mentre egli si batte in difesa della tradizione scientifica italiana filosoficamente sconfitta. Situazione che è specchio di un più ampio isolamento all’interno della tradizione culturale italiana, in cui la difesa della filosofia e della storia della scienza risultava perdente e minoritaria. Ciò spingerà Geymonat a una ancora più tenace battaglia culturale che cambierà in profondità la cultura italiana.

Minazzi si sofferma poi sulle “aporie della ragione” presenti nell’epistemologia geymonatiana. La formazione del giovane Geymonat avviene all’interno di un clima culturale in cui l’egemonia neoidealista, fortemente antipositivista, è dominante. Geymonat però, grazie alla laurea in filosofia e a quella in matematica, riesce a cogliere i limiti dei due ambienti: in quello filosofico vi è un’ignoranza dei risultati conoscitivi di quello scientifico e in quest’ultimo si educano dogmaticamente i giovani a una visione tecnico-scientista che non permette di cogliere la portata filosofica e culturale delle teorie scientifiche. È a partire dall’esperienza diretta di questa duplice alienazione culturale che in Geymonat germoglia la convinzione di porre le premesse per uno sviluppo unitario della riflessione filosofica e scientifica.
Un’altra scissione il giovane Geymonat la sperimenta nel rapporto con Juvalta che, se sul piano teorico aveva insegnato il valore dell’intransigenza morale, nel campo pratico era venuto meno al suo insegnamento prestando giuramento di fedeltà al regime fascista. Emerge la consapevolezza della presenza di una dicotomia fra l’ambito teoretico e quello etico-sentimentale. In Geymonat la contrapposizione fra teoresi e relativa critica all’assolutezza metafisica gnoseologica e conoscitiva si salda alla contemporanea difesa dell’assolutezza in ambito etico.
Vi è poi una più profonda e irrisolta contraddizione: quella tra la riflessione epistemologica e la parallela attenzione alla storicità della scienza. Geymonat si dedica a una diffusione del neopositivismo nella provinciale realtà culturale italiana, pur individuandone il limite principale nell’incomprensione del ruolo euristico della storia della scienza. È proprio questo interesse per la storia della scienza – testimoniato da studi quali Storia e filosofia dell’analisi infinitesimale (1947), Galileo Galilei (1956), Storia della matematica (1962) – che porta Geymonat a mettere in crisi l’astratto razionalismo epistemologico e metodologico del neopositivismo e a spingerlo alla ricerca di un nuovo razionalismo capace di spiegare la complessità della conoscenza scientifica e i suoi rapporti con l’epoca storica. Il Geymonat della fase “neoilluminista” vive quindi una nuova scissione teoretica fra un Geymonat-epistemologo e un Geymonat-storico della scienza: il primo è portato, privilegiando la dimensione metodologica, a mettere fra parentesi la dimensione storica e il secondo mette in crisi il sogno neopositivista di delineare una metodologia rigorosa e universale valida per tutte le discipline scientifiche.
Lo sforzo filosofico di ricomporre questa aporia porta alla Storia del pensiero filosofico e scientifico (1970-1976) e a Scienza e realismo (1977), in cui Geymonat approda alla forma definitiva della sua filosofia proponendo un’originale riformulazione critica del materialismo dialettico. Per Geymonat non ha più senso distinguere fra dimensione storica e teoretica, che si devono invece saldare in una trattazione unitaria. Emerge però, secondo Minazzi, un problema riguardante il rapporto fra la struttura dialettica della razionalità umana e la realtà materiale che viene conosciuta tramite le varie teorie scientifiche. Se Geymonat, tramite il materialismo dialettico, riesce a colmare lo iato fra dimensione epistemologica e dimensione storica e a cogliere l’articolata complessità del reale deve, d’altro canto, pagare il prezzo di approdare all’affermazione di una sostanziale identità tra le strutture storico-dialettiche della comprensione razionale del mondo e la realtà che viene indagata e conosciuta, approda cioè a una “metafisica dell’identità” che identifica le strutture dialettiche della razionalità con quelle della realtà stessa. Esito che secondo Minazzi si sarebbe potuto evitare con un ricorso al trascendentalismo kantiano.

La ricerca matematica costituisce una parte di quella “lunga marcia” che ha contraddistinto tutta l’azione culturale di Geymonat nel tentativo di superare la contrapposizione fra scienza e filosofia. Durante i suoi studi universitari si confronta con la miopia epistemologica e culturale del mondo matematico, speculare del resto a quella del mondo filosofico, dove ci si concentra esclusivamente sull’aspetto tecnico-algoritmico di una teoria scientifica, autocastrando la ricerca matematica e riducendola a un puro sistema calcolistico.
Si individuano qui del resto i segni di una storica sconfitta della cultura scientifica italiana, che trova la propria origine negli effetti di lunga durata della condanna di Galileo: il fatto che vi sia un vuoto che va da Galileo a Fermi è dovuto alla sconfitta della razionalità scientifica all’interno della cultura civile italiana, che ha portato lo scienziato a una ricerca esclusivamente specialistica accompagnata da una condanna della portata universale della conoscenza scientifica.
Nella tesi di laurea in matematica sul teorema di Picard, presentata in appendice, Geymonat è costretto a una ricerca rigorosamente “tecnica”, anche se riesce a far emergere comunque la tesi dell’intrinseca storicità della scienza frutto del suo positivismo. Negli anni Trenta Geymonat cerca di superare la scissione fra le due culture con studi tecnici matematici e più generali in campo filosofico, anche se è costretto a sviluppare la difesa del pieno valore culturale della ricerca scientifica sulle riviste filosofiche, visto che su quelle matematiche può solo offrire contributi tecnici.
Negli studi degli anni Quaranta Geymonat cerca di collegare alcuni aspetti matematico-algoritmici allo sviluppo storico dell’analisi matematica, anche se la sua adesione al neopositivismo lo induce a ridurre la dimensione epistemologica alla sola metodologia. Dopo i lavori degli anni Cinquanta dedicati agli spazi astratti sarà la storia della scienza a incrinare la sua riflessione epistemologica e a evidenziare l’insufficienza di una valutazione statica delle teorie scientifiche. Qui Geymonat sviluppa un interesse per la metamatematica di Hilbert sempre però in funzione antikantiana: se per Kant si trattava di indagare il fondamento filosofico della conoscenza scientifical per Hilbert il problema è opposto e si tratta di trovare una nuova tecnica di tipo algoritmico e non filosofico per indagare i fondamenti della matematica.

Indice

I. Geymonat epistemologo e partigiano: martinettismo etico e metodologia neopositivista
II. Le aporie della ragione nella riflessione epistemologica di Geymonat
III. Geymonat e il pensiero matematico
IV. Ludovico Geymonat studente a Torino
Appendice. Documenti inediti o rari concernenti la vita intellettuale e civile di Geymonat

L'autore

Fabio Minazzi (Varese 1955), ordinario di filosofia all’Università di Lecce e all’Università della Svizzera italiana a Mendrisio, è stato allievo di Ludovico Geymonat e di Mario Dal Pra all’Università Statale di Milano negli anni Settanta. Fra le sue ultime opere ricordiamo: La passione della ragione, Milano 2001; Le saette dei tartari, Milano 2004; Il cacodemone neoilluminista, Milano 2004; Teleologia della conoscenza ed escatologia della speranza, Napoli 2004; Attualità dell’antifascismo (con Giovanni Pesce), Napoli 2004.

Links

http://geocities.com/prc_pinerolo/geymonat.htm (rassegna stampa per il decimo anniversario della morte di Geymonat)
http://epistemologia.isfun.net (pubblicazioni internazionali di filosofia della scienza)

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