mercoledì 24 agosto 2005

Ferrini, Cinzia (a cura di), Itinerari del criticismo. Due secoli di eredità kantiana.

Napoli, Bibliopolis, 2005, pp. 144, € 20,00, ISBN 88-7088-480-5.

Recensione di Francesco Tampoia - 24/08/2005

Storia della Filosofia (moderna)

Nella Premessa al volumetto, la curatrice Cinzia Ferrini informa che le quattro relazioni sono state presentate al seminario L’eredità kantiana - Nuovi percorsi della Kant - Forschung a Palazzo Serra di Cassano il 12 Febbraio 2004, in occasione del bicentenario della morte di Kant. Il seminario era stato preceduto da un’altra iniziativa dello stesso Istituto, che aveva visto impegnati, per un triennio, studiosi di Kant in uno scandaglio, ennesima rilettura ed esegesi, del lascito kantiano nell’arco degli ultimi due secoli.

Nella prima relazione, Parrini, tra i più noti studiosi di Kant, esordisce scrivendo che la filosofia di Kant, al di là del suo contenuto dottrinale, oggi è un invito a far sì che avvenga un riavvicinamento tra filosofia e scienza e, citando Windelband, ricorda che “comprendere Kant, significa andare oltre Kant”. Data per acclarata la crisi del sintetico a priori, oggi l’ultimo interrogativo da porsi è se esso “sia da considerare il crollo di un aspetto essenziale dell’edificio critico-trascendentale oppure un inconveniente marginale, emendabile senza troppe disastrose conseguenze” (p. 20). Nel sistema kantiano la scuola di Marburgo aveva privilegiata la tematica della conoscenza scientifica e per questo era stata aspramente criticata da Heidegger, interessato invece a scoprire le basi metafisiche del pensiero del filosofo di Königsberg. Ma, di fatto, l’evoluzione e l’approdo della scuola di Marburgo erano in direzione della filosofia delle forme simboliche di Cassirer. Nella sua misurata sintesi, Parrini si sposta da Cohen, fondatore del neokantismo, fino all’americano Friedman, con il quale la dottrina dell’a priori, dopo la netta e recisa critica dei neopositivisti, subisce una sorta di indebolimento, viene “liberalizzata” (p. 25). Qualcosa di simile aveva tentato il Cassirer, difendendo Kant dalle critiche ai giudizi sintetici, alla logica trascendentale, alle forme spazio-temporali. Ricco e fecondo di stimolazioni, secondo Parrini è stato, in seguito, il confronto, a mio giudizio da approfondire, tra kantismo e popperismo, specie nell’applicazione del principio di falsificabilità dei giudizi. Ancora sulla linea della liberalizzazione dell’intero impianto dei giudizi sintetici, Parrini cita, tra i contemporanei, de Fernandes, che ha proposto di interpretare le analogie kantiane della ragion pura non più come costitutive della conoscenza, bensì come regolative, in modo tale che causalità e determinismo siano intesi soltanto come principi regolativi, e che i giudizi sintetici, presi nel loro insieme, assumano chiaramente un valore debole. Qui Parrini, giustamente, non può esimersi dall’annotare che “non sarebbe peregrino ipotizzare, infatti, che la messa in soffitta di una lettura ‘forte’ del trascendentale e del sintetico a priori conduca a una depauperazione del criticismo così marcata da renderlo impotente di fronte allo scetticismo di tipo humeano” (p. 35). Posizione, mi sia consentito l’autoriferimento, da me sostenuta nel volume Il filosofo dimezzato(Roma 2000, cfr. cap. IV), in cui si dimostra che l’indebolimento del sintetico è posto dallo stesso Kant, diciamo dall’esterno, dopo la presentazione della logica, nella dialettica trascendentale con argomentazioni davvero sentite, quasi faustiane. Nella dialettica trascendentale, Kant, indossati gli abiti dello scettico, adotta quasi scolasticamente la dynamis scettica di Agrippa e Sesto, contrapponendo fenomeno a noumeno, tesi ad antitesi, non per escludere l’una o l’altra, ma per ammettere che ogni proposizione, anche antitetica, se formalmente corretta e ben costruita, non può essere privilegiata a danno dell’altra. La stessa matematica e la fisica, scienze mature, sono le prime a fornirci clamorosi esempi di antinomie, debolezza e scandalo della ragione. Ma il pensiero, pur sapendo che la soluzione di questi problemi non può aversi dall’esperienza, non si arresta, si avvita su se stesso. L'ambizione della scienza, che la fa slittare nella metafisica, la non scientifica tensione verso la spiegazione definitiva ha, pertanto, un valore regolativo quanto mai opportuno e insostituibile, diventa la condizione e la possibilità di critica e crescita della conoscenza, rappresenta lo sforzo di indirizzare il sapere verso la totalità. Tesi interpretativa, del resto, presente sin dagli anni successivi alla pubblicazione della Ragion Pura, nel dibattito sull’opera kantiana tra i vari Hamann, Herder, Reinhold, Schulze, Maimon. Ciò che sembra sfuggito alla critica più recente.

Ripartendo da Strawson fino a Friedman e ai nostri giorni, Parrini conclude: “Proprio a cavallo del nuovo millennio, Friedman è giunto a sostenere che solo mediante il riferimento a strutture epistemologiche di amplissima generalità, analoghe a quelle di cui aveva parlato Cassirer trasformando la nozione kantiana di apriori in quella più flessibile (ma – ahimé - anche più indeterminata!) degli ‘ultimi invarianti logici’ dell’esperienza, sarebbe possibile mantenere l’idea di una confrontabilità tra teorie scientifiche rivali o addirittura tra “rivoluzioni” concettuali nel senso reso famoso da Thomas Kuhn” (p. 44).

Non c’è dubbio che il sintetico a priori sia datato, storicamente datato, e oggi non si giustifica in alcun modo un ritorno a Kant; ma parimenti non c’è dubbio che il pensiero di Kant continua a circolare, alla maniera di un fiume carsico, dopo un bisecolare deflusso, nella filosofia del nostro tempo.

Accattivante, da porre nel novero degli interventi su Kant e la matematica, è il saggio di Mauro Nasti de Vincentis, sottotitolato Natura, estensione e limiti della matematica e la scienza fatta dai matematici prima e dopo Kant. Non rientra nei compiti di Kant accrescere il sapere matematico e difatti egli nulla aggiunge al sapere matematico del tempo, che accetta nelle definizioni e nello status della ‘scienza normale’; è suo obiettivo, invece, capirne la natura. La matematica, nelle sue principali branche di geometria, aritmetica e algebra, per Kant non è soltanto una scienza pura, è anche una scienza che ha a che fare con l’esperienza, che si esprime mediante giudizi sintetici a priori. Uno dei problemi più complessi della matematica è quello dei rapporti tra intuizione e costruzione dei concetti, che Kant pensa di risolvere con la nozione di schema trascendentale. La costruzione del concetto si attua mediante lo schema, e lo schema di un concetto non è altro che la rappresentazione del procedimento generale per mezzo del quale l’immaginazione produttiva rende possibile l’applicazione delle categorie ai fenomeni. Lo schema, quindi, è una regola a priori dell’immaginazione. A giudizio di Nasti de Vincentis, Kant ha compreso i due fondamentali aspetti della matematica docens e utens, della matematica, cioè, come dovrebbe essere e della matematica com’è di fatto. Si tratta dei due poli della relazione matematica-esperienza sensibile, del convincimento che la matematica è scienza semiempirica, confermato anche laddove Kant sostiene che la geometria e l’aritmetica sono scienze con un unico apparato di assiomi e postulati. La dottrina kantiana della costruzione e conoscenza di oggetti matematici include, pertanto, accanto alla ragione geometrica, la ragione algebrica, perché l’aritmetica e l’algebra, adottando il procedimento costruttivo, rientrano entrambe nella teoria delle grandezze.

A propositodi bipolarità tra concetto e intuizione, tra matematica pura e intuizione empirica Nasti de Vincentis porta l’intrigante esempio del decaedro, concettualmente plausibile, ma che, secondo la geometria euclidea, non possiede le condizioni necessarie di costruibilità. Come noto, gli ultimi tre libri degli Elementi di Euclide trattano dei poliedri regolari. Al termine del libro XIII, teorema 18, è scritto che “oltre alle cinque figure suddette (tetraedro, cubo, ottaedro, dodecaedro, icosaedro) non è possibile costruire nessuna figura che sia limitata da poligoni equilateri ed equiangoli tra loro uguali”. Per curiosità storica, l’errore di Euclide, e anche di Kant, è stato svelato soltanto nel 1947.

Accettando come vero il teorema XIII.18, Kant è convinto che il decaedro non sia costruibile, e capiamo facilmente che il suo errore consiste nel non essere in possesso della definizione precisa di poliedro regolare convesso, così come sappiamo che a volte le costruzioni euclidee, allo stesso modo del caso dei poliedri regolari, introducono tacitamente alcuni vincoli che non trovano riscontro nelle corrispondenti definizioni.

Segue infine nella relazione un interessante approfondimento sui rapporti tra la concezione kantiana della matematica e la matematica intuizionista del Novecento.

Il contributo di Dietrich v.Engelhardt ha un taglio ancora più specificamente storico, trattando di filosofia kantiana e scienze naturali, compresa la medicina. Approfondisce lo stato delle scienze intorno al 1800 in Germania, orientato in prevalenza su interpretazioni olistiche, cosmologiche, antropologiche e metafisiche, con ampio spazio a Schelling e Hegel. Di seguito presenta il punto sulla scienza del Romanticismo e ricorda oltre a Schelling, anche Goethe, Humboldt e Schopenhauer. Il fondamento della concezione metafisica della natura di questi filosofi è l’unità, affinità e immanenza di natura e spirito, di fisica e metafisica, organico e inorganico, di mondo esterno e coscienza umana, natura e cultura. Kant è attestato su un piano ben diverso, ed è criticato proprio per questo.

Più interessante per Dietrich v. Engelhardt è il rapporto tra filosofia kantiana e medicina, anche perché Kant si occupò direttamente di medicina e della complessa relazione tra corpo e anima: “La relazione fra medicina e filosofia corre dunque, secondo Kant, il rischio di configurarsi come l’attrazione fatale ma illegittima di una liaison dangereuse. La medicina, infatti, per Kant, è più vicina alla filosofia che alla teologia e alla giurisprudenza, perché la medicina è, come la filosofia, una ‘cultura morale (moralischeKultur)’, vale a dire un tentativo di ‘trattare in modo morale la fisicità dell’uomo (das Physische im Menschen moralisch zu behandeln)’” (p. 40).

In chiusura, riferendosi al dialogo tra filosofia e scienze che Kant ha cercato di tenere sempre vivo, Engelhardt ricorda che ancor oggi tale dialogo è essenziale per la medicina, tanto che nell’Encyclopedia of Bioethics è più volte citato il principio kantiano dell’autonomia tra quelli della tetrade bioetica: rispettare i diritti degli altri, procurare il bene, astenersi dal nuocere.

Stefano Poggi, infine, concentra la sua attenzione sulla Kritik der Urteilskraft, sostenendone la funzione di sintesi complessiva dell’intera filosofia critica, la funzione di cogliere l’intimo legame tra la conoscenza scientifica e la dimensione del pratico e dell’estetico in virtù della fondamentale unità della natura umana.

La fortuna della Terza Critica è stata alterna. Se è vero che per decenni con il neokantismo prevale la convinzione che il newtonianesimo sia il nucleo costitutivo della filosofia kantiana, con il passar del tempo nello stesso neokantismo è scoperta o riscoperta l’importanza dell’intreccio indissolubile di bello e buono a garanzia del processo conoscitivo. La Terza Critica, pertanto, va a coprire uno spazio, intravisto nelle opere precedenti, lo spazio della libertà e individualità che va indagato e approfondito. Il dualismo tra le prime due critiche appariva forte e non poteva non essere appianato; Kant, come egli stesso ha scritto, non poteva restare indifferente, bloccato su un intransigente modello newtoniano. Nel Novecento si è fatta strada l’idea di rifondare l’edificio della filosofia critica su una base più naturale, tale da soddisfare e valorizzare l’esigenza di conformità a un ordine e coerenza a un principio di unità e armonia che si impone al nostro sentimento nella forma dell’arte e dell’etica. Siamo nel momento storico in cui ha fortuna la distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito, leggi Dilthey, che però va superata con il richiamo a una terza facoltà.

La conclusione di Poggi sulla Terza Critica è: “Sia essa da considerare un’opera di filosofia della biologia oppure di estetica per un verso radicata nella Aufklarung e per un altro è proiettata verso la Romantik, in ogni caso vi è un dato di fatto di fondo di cui è assolutamente necessario prendere atto: se la Kritik der Urteilskraft è davvero il tentativo di Kant di assicurare una chiave di volta al proprio sistema, in essa viene nello stesso momento a mettersi in piena luce che ogni paradigma, ogni punto di riferimento, ogni fondamento che si voglia ricercare dalle parti delle scienze costituite non è per Kant più credibile, più utilizzabile. La filosofia critica come filosofia trascendentale è decisamente filosofia dei limiti della ragione umana nella misura in cui mette in luce che ogni fondamento per essere autenticamente tale nel senso di fondamento utilizzabile non può non essere autonomo” (p.140). Ma tale autonomia chiama un appiglio, un appoggio, la testimonianza della ragione morale, del Bene, e la testimonianza del sentimento, vale a dire della stessa esperienza estetica.

Alcune osservazioni conclusive. Mentre nel primo saggio si apprezza le capacità di sintesi unita a valutazioni personali e nel secondo la presentazione di aspetti in parte sfuggiti all’analisi critica sulla matematica in Kant, negli ultimi due pesa l’impegno assunto di dover sintetizzare due secoli di storia della fortuna di Kant al punto che spesso si ha l’impressione di essere di fronte a una elencazione.

Indice

Premessa di Cinzia Ferrini
Paolo Parrini, A due secoli da Kant: conoscenza, esperienza, metafisica della natura
Mauro Nasti De Vincentis, Sintesi a priori e conoscenza matematica
Dietrich Von Engelhardt, Kant e il rapporto fra scienze empiriche e filosofia della natura nel 180
Stefano Poggi, La Kritik der Urteilskraft nell’Ottocento e nel Novecento. Alcune tappe di una ricezione

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