martedì 29 novembre 2005

Clair, Jean, De Immundo. Apofatismo e apocatastasi dell’arte di oggi.

Trad. it. di P. Pagliano, Milano, Abscondita (Carte d’artista, 63), 2005, pp. 101+t.f.t., € 16,00, ISBN 88-8416-104-5
[Ed. or.: De Immundo, Galilée, Paris 2004]

Recensione di Marco Enrico Giacomelli – 29/11/2005

Estetica

Il nuovo pamphlet firmato da Jean Clair è, in estrema sintesi, un intervento da autentico moralista, in certi passi addirittura un’invettiva specificamente collocata dal punto di vista politico. E senza dubbio è una presa di posizione influente sull’arte contemporanea, almeno a livello “divulgativo”, che talora cede alla vulgatadeclinata in una fraseologia che include espressioni del tipo “Si tratta di arte? […] Né arte né scienza: di che cosa si tratta?” (p. 22) oppure – rendendo ben poca giustizia al pensiero benjaminiano – “Il getto d’urina spegne l’aura” (p. 31).
In quest’ottica, Clair sceglie un tema che suscita profonde reazioni nel pubblico non specializzato, ossia l’immondo (Ungeheure) e l’abietto (abjectum). E sin dall’esergo, la posizione assunta dall’autore è palesata, poiché viene citata la celebre bolgia degli adulteri dell’Inferno dantesco, dove si intravede “un col capo sì di merda lordo” (XVIII, v. 116). E proprio da una serie fotografica di David Nebreda (Autoportraits, 2000), nella quale un capo umano è ricoperto da feci, prende avvio la teoria di esempi scelti da Clair; tali immagini sono ben lungi – almeno secondo lo studioso francese – dal “gioco delle maschere” (p. 11) imperante in altri tempi.
La ricognizione ha dunque come soggetto il disgustoso in un’accezione molto ampia, che Clair individua come “la categoria privilegiata dell’arte di oggi” (p. 12), di contro alla forma iconizzata nella frase di Gottfried Benn: “Gott ist Form” (cit. a p. 95). Le fonti nelle quali cerca sostegno l’autore sono innanzitutto Platone (Parmenide, 130d; Repubblica, IV, 439c-440a) e Plotino (Enneadi, I, 6), ma pure Freud (Contributi alla psicologia della vita amorosa), mentre gli esempi artistici coprono uno spettro che da Andres Serrano risale fino a Marcel Duchamp. In sintesi, il tentativo apotropaico messo in campo dall’autore consiste nel voler comporre ciò che si ritiene non-componibile, poiché destinato alla decomposizione o già definito informe (categoria, quest’ultima, analizzata da Rosalind Krauss e Yves-Alan Bois [L’informe. Istruzioni per l’uso, trad. it., Bruno Mondadori, Milano 2003], il cui testo non viene preso in considerazione dall’autore). “Ma – si chiede Clair – come comporre con la merda?”. Sono frasi di questo genere che fanno riflettere il lettore meno naïf sulla sua argomentazione e retorica. La quale rischia costantemente di tramutarsi in una captatio benevolentiae dal sapore addirittura qualunquista. E il sintomo più lampante di questa strategia argomentativa risiede soprattutto nei nomi non citati, nei testi non considerati, nei concetti non tematizzati. Per esempio, sulla scatologia è curioso che un intellettuale francofono non citi mai – tranne che per farvi riferimento quando si accenna al suicidio di Rudolf Schwarzkogler (cfr. p. 22 e n. 2) – gli scritti di Antonin Artaud e magari le pagine che vi ha dedicato Jacques Derrida, preferendogli le Memorie di Daniel Paul Schreber. Così come citi Agamben e non Foucault quando si accenna alla “biopolitica” (p. 23). O, ancora, che si liquidi l’opera di Joseph Beuys come un “mero ricalco nell’epoca attuale dell’istrionismo cinico dell’antichità” (p. 26) o che l’artista di Krefeld “gioca in realtà […] con l’ombra dei campi di sterminio” (p. 70)! Venendo a questioni più chiaramente teoriche, mi pare sia da provare con maggiori argomenti la tesi secondo la quale l’autore individua una differenza qualitativa fra la trasgressione di un Baudelaire o di un Poe e il “nessun sentimento di trasgressione […] negli artisti di cui ci occupiamo” (p. 52).
Non mancano tuttavia gli spunti interessanti, certo da riprendere e sviluppare ulteriormente, magari a partire da punti di vista differenti. Come il breve capitolo terzo, che prende in considerazione il concetto di disgusto tracciandone una sintetica genealogia a partire dal 1740, quando la società viene “deodorizzata” (cfr. pp. 34-35) con specifiche politiche rivolte al trattamento dei rifiuti e dei cadaveri. Un processo che, freudianamente, porta al distanziamento dell’organo olfattivo dagli organi sessuali; mentre con la “postmodernità” si assisterebbe a una progressiva inversione di tendenza, contraddistinta dal “disapprendimento di quel disgusto” (p. 36), e dunque (ma l’inferenza non pare abbastanza giustificata) a una regressione filogenetica e ontogenetica allo stato neonatale, alla “melma primitiva e informe” (p. 83). Per sfociare in una “condizione paranoica” (p. 75).
Un’ultima postilla per indicare che il testo contiene anche almeno un errore inspiegabile per chi si occupa d’arte contemporanea. Concerne infatti l’inglese Turner Prize, fra i più noti al mondo. Jean Clair scrive che l’edizione del 2000 è stata vinta da “Tracey Armin” [sic]; in realtà Tracey Emin vi ha partecipato nell’edizione del 1999 con My Bed (1998), giungendo nella cosiddetta shortlist, mentre il Premio è stato assegnato a Steve McQueen.

Indice

De Immundo

Indice dei nomi citati

Appendice iconografica

L'autore

Jean Clair, al secolo Gérard Regnier (Parigi, 1940), ha fondato i Cahiers du Musée National d'art modern. Collabora con diverse riviste di critica d’arte e psicoanalisi. Fra le sue ultime pubblicazioni in italiano: Marcel Duchamp. Il grande illusionista (Abscondita, Milano 2003), Balthus (Bompiani, Milano 2001), Balthus. Le metamorfosi di Eros (Moretti & Vitali, Bergamo 1999).

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