mercoledì 22 febbraio 2006

Artosi, Alberto, Breve storia della ragione. Dai presocratici alle multinazionali.

Napoli, Liguori, 2005, pp. 251, € 12,00, ISBN 88-207-3880-0

Recensione di Fabio Lelli – 22/02/2006
Parole chiave: Storia della filosofia (antica, moderna, contemporanea), Filosofia della scienza, Filosofia politica

1. Una “ragione” quale personaggio della storia dell'uomo e delle idee, uno stratega astuto che ha conosciuto più trionfi che tonfi, che sa essere un combattente multiforme, dalle molteplici tattiche. Questo è l'artifizio che dà il via alla narrazione di tanti secoli, “dai presocratici alle multinazionali”, come recita il sottotitolo, ed è il filo rosso che sostiene la struttura del testo. La ragione è intesa come un abbandono dell’ “abbondanza”, del reale esperibile, a favore di un nuovo “mondo vero”, più coerente, più omogeneo e, si dice, più vantaggioso.

2. Questa storia parte, in realtà, prima dei presocratici, dalla Grecia antica degli dèi e degli eroi, quella cantata da Omero, prima del famoso e celebrato passaggio dalla mitologia alla ragione. È un mondo dipinto con vivezza, anche attraverso nobilissimi strumenti (Dodds, Havelock, Vernant...), un mondo che non viveva di coerenza, un mondo nel quale gli dèi erano dèi e non “concetti”, e nel quale proprio la loro condotta umana significava il loro essere lontani da un levigato ritratto di perfezione ed uniformità. In sintesi, un mondo umano, umanissimo, che sarebbe cambiato per sempre con i primi sistemi dei presocratici, ed in particolar modo con l'essere perfetto di Parmenide.

Parmenide è l'artefice di questo “balzo”, il sacerdote di quell’essere perfetto che è e che non può non essere. Questa ragione in quanto astrazione è impoverimento di ciò che c'è, è sostituzione del mondo con una creatura della ragione, in questo caso un essere a dir poco bizzarro, veramente visionario. E ciò che sopravviene alla realtà che si vede, che si ascolta, che si tocca, che si odora e che si gusta, è considerato la “vera” realtà, e tutto il resto solo un inganno dei nostri umani sensi.

La ragione vuole poi passare “dal cielo alla terra” (p. 70), regolare anche il mondo umano, non rimanere solo un sistema metafisico. È la nascita di quella forma di potere che chiamiamo “democrazia”. La sua essenza, ciò che in essa permane immutato nei secoli, al di là delle trame delle sua storia millenaria, è la sua pretesa di “astrarre” dalle differenze individuali, considerando “uguali” tutti gli uomini. È forse per la pura “formalità” di questa sua caratteristica che la democrazia in Grecia poteva comunque trovarsi ad un passo dalla tirannia, tanto da non discostarsi da questa se non per l'estensione del “demos” fonte della sovranità, ed è forse per questo che è stata compatibile con la schiavitù (la celebrata isonomia di per sé significa poco se il cerchio degli “eguali” è così ristretto) e con le più profonde disuguaglianze sociali. Questo interessante spunto di riflessione politica ricomparirà al termine del percorso, nei capitoli dedicati alla contemporaneità.

La domanda “tormentosa” di Socrate, il celebrato “che cos’è?” forgerà invece quel modo tutto razionale di leggere anche la moralità. Socrate sapeva bene di mettere in crisi ogni uomo del suo tempo chiedendogli chiare definizioni delle nozioni comuni della vita sociale ed etica. Gli si poteva rispondere solo fornendo esempi, come accade ad esempio nell’Eutifrone, perché è così e non attraverso il meccanismo razionale della sussunzione sotto un concetto generale, che le cose erano conosciute. Anche in questo caso la voce di Socrate è la voce di chi vuole sostituire al mondo umano un nuovo mondo, più vero del vero, più pulito e brillante e dai netti confini.

Ma questa infaticabile critica della ragione poteva non solo portare alla rassicurante tonalità opalescente di un Parmenide, ma anche alla possibilità di toccarne i limiti, rivelandone la relatività e la capacità di ritorcersi contro ogni conclusione, come nel caso dei sofisti (“una parentesi di saggezza” si intitola significativamente il capitolo a loro dedicato), o conducendo all’amara consapevolezza di dover convivere con l’ombra dell’irrazionalità, come nel caso di Platone.

L’analisi razionale dell’anima in Platone rivela anche l’esistenza di quelle parti in essa che razionali non sono, e che pian piano aprono un abisso anche nel suo pensiero politico. Si passa infatti dal solare progetto della Repubblica a quello ben più cupo delle Leggi, dove la ragione viene giudicata insufficiente a reggere da sola il governo, e deve forzatamente essere affiancata da una grande quantità di norme: mezzucci in confronto alla potenza del puro sistema razionale della Repubblica.

Il male oscuro sfiorato da Platone ha un suo parallelo almeno nella “disperazione” di Hume, una spiazzante consapevolezza, il lavoro acutissimo di una critica razionale sì, ma talmente potente da togliersi da sola il terreno da sotto i piedi. La ragione non ama essere interrogata troppo a fondo.

A partire da Aristotele si dipana invece una delle strategie vincenti della ragione. La taxis aristotelica nel campo dello studio della vita significa infatti l'affermarsi di una oggettività “scientifica” che era tale per l'esclusione degli aspetti soggettivi e sensibili e forse anche etici del vivente: è l'indifferenza “superiore” dello scienziato che apre la strada ad una biologia ed una medicina che può essere priva di scrupoli proprio perché spersonalizzata.

Il filo rosso della “sterilizzazione” del vivente e quindi dell'umano viene poi inseguito nella filosofia moderna con quel Galileo che discetta di cosa succederebbe se fossero tagliati via i nasi, le orecchie e le lingue per eliminare quei fastidiosi sovrappiù non oggettivizzabili identificati nelle qualità secondarie; ma che soprattutto antepone la ragione ai sensi, immagina un mondo di idealità, appunto non vivo, e pone i pilastri per una scienza che può giungere ad essere la chiave per interpretare i segreti dell'universo, ma al prezzo di eliminare l'uomo stesso da quell’universo da conoscere.

3. Durante la sua storia la ragione ha conosciuto naturalmente alterne fasi, di affermazione e di critica, di esaltazione e di condanna. Basti pensare ai fasti dell’Illuminismo e all’ambiguità del Romanticismo, al mito del progresso scientifico perenne e alle aspre condanne della scuola di Francoforte. Ma è sempre rimasta lo strumento privilegiato di indagine, la “mappa” che ridisegna il mondo a sua immagine, ovvero l’immagine di un regolare e uniforme e impersonale reticolo. Questo procedere della ragione non ha età: è sempre stato tale e quale, perché “la ragione è sempre stata moderna e ha sempre preteso di proiettarsi all’intero pianeta” (p. 238), una tattica che va oltre categorie come “modernità” e “globalizzazione”. I noti fenomeni sociali, economici e politici di questa nostra contemporaneità, quali la mercificazione, il dominio del marchio, lo sfruttamento ecologico privo di scrupoli, e il mercato ultra-libero che forse è la causa di buona parte di questo poco rassicurante quadro, sono pienamente compatibili con le esigenze strategiche della ragione. Addirittura si pone il dubbio che questi siano prodotti dall’incedere della ragione, come nuovi mezzi per la sua affermazione. È un dubbio ben fondato se si prova a rileggere l’economia delle multinazionali e del libero mercato mondiale come una spaventosa applicazione della strategia della spersonalizzazione. I marchi poi, quelli studiati dalla Klein di No Logo, potrebbero essere letti come un miglioramento del levigato mondo delle idee platonico: idee talmente perfette e superiori da non essere neppure modelli perfetti di tokens imperfetti, ma sufficienti a sé stesse. Un’astrazione dell’economia non solo dall’homo, a meno che non sia oeconomicus, ma anche dai prodotti stessi, che diventano secondari rispetto all’immagine che si vuole vendere, talmente impalpabile da essere associabile a qualunque cosa.

4. Non si incoraggia nel testo una “filosofia della storia”, e la ragione non è intesa quale motore immobile, o sostegno metafisico,della storia umana (significativamente, non la si scrive mai con la maiuscola). La stessa narrazione sul filo dell’ironia lo sta a significare. Si tratta piuttosto di suscitare domande e riflessioni su ambiti storici (e storiografici) riletti per mezzo di una nuova prospettiva. Non si tratta nemmeno di una condanna dal sapore luddista della razionalità. Nelle pagine finali c’è un rimando a ciò che la razionalità ha significato per autori “saggi” quali Ortega y Gasset e Hobsbawn, e quello che potrebbe significare se solo si prospettasse più modestamente come “ragionevolezza”, se rinunciasse per lo meno alla sua presunta assolutezza. Come si è detto, non un testo di filosofia della storia, ma un affascinante ritratto di un affascinante personaggio che stimola moltissimi interrogativi, come la buona filosofia dovrebbe fare.

Indice

Prologo
Di dèi, sogni ed eroi
Primi passi
Il Grande Balzo
Il nome più bello
Una parentesi di saggezza
La tormentosa domanda di Socrate
Il lato oscuro della ragione
Il cadavere e il trattato
Di una torre, una pietra e altre meraviglie
Ragione e disperazione
Tonfi e trionfi
Occidente, Oriente, Nord, Sud
La ragione e l'eucalipto
Il marchio della ragione
Glomus
Congedo

L'autore

Alberto Artosi ha insegnato per molti anni Filosofia della scienza presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, ed è autore di una vasta produzione scientifica nei campi dell’epistemologia, della logica e dell’etica. È attualmente ordinario di Teoria Generale del Diritto nella Facoltà di Giurisprudenza della stessa Università.

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